Cos’è il trekking? Per molti è un termine inglese sinonimo di “escursionismo”, ma molti altri non concordano con tale definizione o, perlomeno, non la ritengono esaustiva. Riteniamo quindi necessaria una breve premessa “storica” che può aiutarci a fare un po’ di chiarezza. Trekking (da trek) è un sostantivo inglese che ha diversi significati e che deriva da un termine boero (il boero era la lingua dei coloni olandesi del Sudafrica), trekken, che significa tirare e facente riferimento a viaggi su carri trainati da buoi oppure su mezzi disagevoli. L’origine di tale termine va ricercata nei viaggi migratori che i coloni olandesi intrapresero in Sudafrica fra il 1835 e il 1843, fra molte difficoltà, in seguito a problemi di vario tipo (difficoltà economiche, problemi con le autorità coloniali britanniche e conflitti con gli Xhosa, un gruppo etnico Sudafricano); tali flussi migratori (che videro lo spostamento di oltre 10.000 coloni) vengono ricordati con l’espressione “Groot Trek”, un evento che è considerato fondamentale nella storia sudafricana.
Il trekking: una sola parola, molte interpretazioni
Oggi trek e trekking sono due termini diffusissimi, ma, come accennato in apertura, le interpretazioni variano molto, anche a seconda del Paese in cui tali termini sono utilizzati. Secondo le definizioni dei dizionari di lingua inglese tali termini possono per esempio riferirsi a un viaggio lento e particolarmente faticoso in zone impervie con o senza bestie da soma (con carri o meno) oppure possono indicare un viaggio escursionistico in zone montagnose. Il termine può anche essere utilizzato molto genericamente col significato di viaggio avventuroso (si pensi per esempio alla celeberrima serie televisiva della Paramount, Star Trek).
Secondo alcuni, trekking può essere considerato sinonimo di passeggiata (walking) o di escursione giornaliera (day hiking); secondo altri autori invece il fare un trek vuol dire intraprendere un viaggio, di più giorni, a piedi o su bestie da soma, il cui tragitto può essere fatto partendo da un punto A per arrivare a un punto B oppure che può svolgersi partendo da un punto A al quale tornare dopo aver percorso un lungo giro.
Sulle varie sfumature e interpretazioni, comunque, si potrebbe discutere per giorni senza arrivare a qualcosa di concreto. Quale potrebbe essere quindi una definizione realistica di trekking? Senza la pretesa di mettere tutti d’accordo potremmo riassumere le varie interpretazioni e riferirci al trekking come a una forma di
escursionismo su percorsi naturali, spesso poco agevoli, ma comunque sicuri, da farsi a piedi, eventualmente (se è plurigiornaliero) pernottando in tenda o in rifugi.
Diamo per scontato che non si può parlare di trekking quando si compiono percorsi simili con l’ausilio di mezzi meccanici quali, per esempio, la mountain bike o la moto da cross. Anche l’impiego di animali da soma deve considerarsi al di fuori dell’usuale concetto di trekking (almeno in Europa).
Fatto sta però che, pur molto concreta, una definizione del genere mal si addice al cosiddetto trekking urbano oppure a quello che alcuni definiscono trekking estremo. Sorge spontanea una domanda: cosa possono avere in comune un trekking che “fa ritrovare i suoni e le voci che si perdono con la frenesia dei nostri tempi, permette di percepire gli odori dei cibi tipici, aiuta a capire la civiltà dei luoghi: trasforma i turisti in esploratori di una città che hanno visto cento volte ma che non hanno mai vissuto…” e un trekking che diventa uno dei “molti modi per confrontarsi con i propri limiti” e che ci fa avventurare in solitario nella desolata e torrida Valle della Morte, rischiando la disidratazione o il morso di un serpente a sonagli? Rispondere è facile: niente, se non, in molti casi, gli approcci sbagliati. Nel caso del trekking urbano c’è spesso, anche se non sempre, l’errata convinzione di essere delle persone sportive e dinamiche quando, in realtà, valgono per questa attività alcune considerazioni che abbiamo fatto per un’altra disciplina, il nordic walking, attività spesso scelta da persone la cui personalità è orientata al cosiddetto low-intensity training.
Per quanto riguarda il caso del trekking estremo, rimandiamo all’illuminante commento in calce alla pagina; qui ci limitiamo a dire che non è certo compiendo imprese estreme che si può migliorare come persone. Purtroppo il passaggio dal trekking sicuro a quello estremo è graduale e si sta diffondendo la cattiva abitudine di inserire passaggi veramente difficili e pericolosi in uscite tutto sommato facili. Quindi l’avvertenza è di informarsi sempre sulla difficoltà del percorso, non tanto ponendo attenzione alla difficoltà media, quanto alla presenza di punti ad alta difficoltà.
Trekking: l’equipaggiamento
Prima di parlare dell’equipaggiamento necessario per un’uscita di trekking, è doveroso ricordare che qualsiasi escursione deve essere accuratamente pianificata; quando si fanno uscite in montagna, infatti, si deve considerare che si può sempre andare incontro a eventi imprevisti. È quindi consigliabile pianificare ogni minimo particolare tenendo conto del percorso, del profilo altimetrico, della natura del suolo, del dislivello complessivo, della durata prevista; devono inoltre essere pianificate le varie tappe e la presenza di rifugi lungo il percorso.
Si devono inoltre tenere in debito conto le condizioni meteorologiche previste.
A seconda del tipo di escursione, chi pratica il trekking dovrà avere a disposizione un idoneo equipaggiamento ovvero, zaino, tenda da campo, sacco a pelo, saccolenzuolo (che in molti rifugi è obbligatorio), telo di nylon, fornello da campo, stoviglie e posate, scorte di acqua e di cibo. Ovviamente, chi pratica trekking dovrà sempre avere con sé un kit di pronto soccorso nonché un coltellino multiuso (il cosiddetto coltellino svizzero per intendersi).
Potranno tornare utili una mappa dettagliata dei luoghi oggetto di esplorazione, una bussola e, al limite, un ricevitore GPS.
Altri accessori importanti sono gli occhiali da sole, la crema protettiva, il fischietto (può essere estremamente utile per segnalare la propria presenza in caso di bisogno), il telefono cellulare (se siamo in gruppo si può prendere in considerazione l’idea di portare con sé anche i walkie-talkie).
Se si devono percorrere alcuni tratti su dei ghiacciai è obbligatorio avere con sé ramponi e piccozza, mentre se si fanno vie ferrate occorrerà essere dotati degli idonei accessori.
L’abbigliamento è ovviamente legato alla stagione, ma si deve comunque considerare che quando si fanno escursioni negli ambienti montani, le variazioni delle condizioni meteorologiche sono spesso piuttosto bruschi e non è infrequente che le condizioni climatiche vadano incontro a notevoli peggioramenti nel giro di poche ore.

Trekking (escursionismo in italiano) deriva dal verbo inglese to trek, che significa camminare lentamente o anche fare un lungo viaggio
In linea generale possiamo suggerire i seguenti capi:
- giacca composta da guscio impermeabile esterno in Goretex e da una giacca interna in Primaloft (a seconda dei casi si potrà scegliere uno o l’altra)
- maglia in pile
- maglietta intima che garantisca una buona traspirazione
- maglietta leggera a maniche lunghe
- calzini
- berretto
- calzini
- indumenti intimi di ricambio.
In questo elenco non compaiono le scarpe, un capo di abbigliamento talmente importante per chi pratica trekking che merita un articolo a parte: Scegliere le scarpe da trekking.
Allenarsi con il trekking?
Molti ci chiedono se la pratica del trekking può essere un valido mezzo di allenamento. La risposta è: dipende. Tralasciamo i casi estremi (in un senso e nell’altro) ricordati precedentemente e rifacciamoci alla definizione di trekking che riteniamo più corretta. Analizziamo il caso di un’uscita di trekking di due o tre giorni (il week-end), difficoltà media, 8 ore di percorrenza giornaliera. Un’impresa del genere può, a seconda dei casi, essere facilmente abbordabile o può trasformarsi in una prova massacrante.
Innanzitutto, come regola fondamentale occorre gradualità nell’approccio. Anche lo sportivo allenato può trovare difficoltà, se passa per esempio dalla solita oretta di corsa a otto ore di camminata in montagna. Questo è il motivo per cui amanti del trekking che non praticano nessun sport sono soliti sopravvalutarlo quando si confrontano con grandi sportivi che però sono alle loro prime esperienze di trekking. La buona notizia per lo sportivo è che con quatto o cinque uscite arriva velocemente a un allenamento decente (un po’ come bastano tre, quattro lunghissimi al runner che vuole provare la maratona). Senza gradualità, per un sedentario ogni salitella sarà una mazzata al suo fisico e al suo morale; finita l’escursione (se la finirà), soffrirà per almeno una settimana, dolorante e affaticato, e ci penserà bene prima di rituffarsi in un’avventura del genere.
Il secondo aspetto da non sottovalutare è che durante il trekking si è soliti portare con sé zaini; questo aspetto da un lato richiede una certa potenza nelle gambe, dall’altro può esaltare certe patologie, per esempio alla schiena. In ogni caso chi fa trekking giornaliero è solito sopravvalutare l’importanza di ciò che porta con sé: come cibo basta qualche barretta energetica e come liquidi, se non si trovano lungo il percorso (vedi ruscelli in montagna), bastano uno o due litri d’acqua, se la temperatura è normale.
L’ultimo punto fondamentale è la motivazione. Molti amanti del trekking superano le loro carenze fisiche con un’eccezionale motivazione; al contrario lo sportivo che viene coinvolto suo malgrado in un trekking lungo e faticoso senza avere un reale interesse all’attività potrà patire di un deciso calo della soglia di fatica, “apparendo” più provato di chi magari non ha mai fatto sport.
Fatte queste premesse, veniamo alla valutazione salutistica. Un primo grave problema di chi fa trekking è che in genere può praticarlo solo nei week-end o nelle vacanze. Una seduta settimanale di trekking può essere sicuramente piacevole, interessante e stimolante, ma lo è alla stregua delle uscite dei cosiddetti ciclisti della domenica che passano sicuramente una giornata divertente, ma che non possono affermare di essere dei soggetti allenati. Dato per scontato questo,
se è la sola attività fisica praticata, il trekking è una forma di low-intensity training perché manca la frequenza.
Il trekking può però essere un valido mezzo allenante quando lo si affianca a un’altra attività sportiva che viene praticata tutto l’anno e può servire nei periodi di scarico dell’attività (una o due settimane) come forma di mantenimento.
Trekking: a chi è indicato come primo sport
A volte il passaggio dalla condizione di sedentario a quella di sportivo può essere traumatico. Un’attività come il trekking (dove comunque i picchi di fatica sono gestibili in modo da essere sempre contenuti e dove è presente il concetto di “divertimento”) può essere utile come fase propedeutica allo sport. Il trekking è soprattutto consigliabile:
- a chi è in sovrappeso marcato;
- all’over 50 che vuole iniziare a fare sport;
- al bambino refrattario alla fatica che però per emulazione segue il genitore alla scoperta della natura.
Ovviamente in tutti questi casi è necessario il buon senso di scegliere percorsi facili e brevi.