Il rugby (in Italia detto talvolta palla ovale o, molto raramente, pallovale) è un gioco di squadra molto diffuso (in particolar modo nei Paesi anglosassoni e in terra francese) di cui esistono diverse varianti e sport derivati. La suddivisione più importante relativa al rugby è quella fra rugby union e il rugby league; il primo, nato ufficialmente nel 1845, è noto anche come rugby a 15, mentre il secondo, nato nel 1895, viene detto anche rugby a 13. Del rugby union esiste anche la variante a 7 (rugby sevens), nata nel 1883, molti anni dopo l’istituzione della versione a 15. Il rugby union è gestito dalla World Rugby (già International Rugby Board) mentre il rugby league è gestito dalla RLIF, la Rugby League International Federation. Le due federazioni non sono fra loro collegate. Il rugby a 15, a 13 e a 7 sono le varianti più diffuse di questo sport, ma non sono le uniche. Non vanno poi dimenticati gli sport che dal rugby sono derivati, ovvero il football americano, il football canadese e il football australiano.
Le due più importanti federazioni, la World Rugby e la RLIF hanno istituito, nel corso degli anni, diverse manifestazioni a livello internazionale; una delle più importanti è sicuramente il celeberrimo Torneo delle Sei Nazioni (la cui denominazione ufficiale è RBS Six Nations), un torneo annuale che vede coinvolte le nazionali di Francia, Galles, Inghilterra, Irlanda, Italia e Scozia. Nato nel 1883 come torneo a 4 (le quattro nazioni anglosassoni), si trasformò poi una competizione a 5 dopo l’ingresso della Francia (ci fu però un breve periodo in cui ritornò a essere un torneo a 4) per poi assumere, nell’anno 2000, l’attuale struttura a 6 squadre grazie all’ingresso dell’Italia.
Un po’ di storia
Anche se l’origine di questo sport pare essere un po’ avvolta nella leggenda, da informazioni certe si può sostenere che nel 1823 in Inghilterra, presso la cittadina di Rugby (dalla quale questo sport ha poi preso il nome), nel corso di una partita di calcio, lo studente William Webb Ellis prese in mano il pallone e cominciò a correre arrivando fino al fondo del campo avversario per realizzare la prima “meta” della storia. Sebbene il nome di Ellis sia successivamente rimasto nella storia di questo sport (come riconosciutogli dalla targa commemorativa presente sulle mura della più famosa scuola di Rugby), a quei tempi non era insolito vedere giocatori tenere la palla in mano dato che mancavano ancora regolamenti specifici nel football.
Verso la fine dell’800 il rugby cominciò a diventare ciò che conosciamo, differenziandosi dal football. Il 26 gennaio 1871 si formò in Inghilterra la Rugby Football Union che portò a una standardizzazione delle regole.
Il rugby ebbe rapida diffusione tra i territori dell’Impero Britannico. Nel 1886 nacque a Londra l’International Rugby Board (IRB) che è tutt’oggi il suo organo di governo; nel novembre del 2014 l’IRB ha preso il nome di World Rugby.
L’Inghilterra è la nazione da sempre legata al rugby. Oggi vanta il più alto numero di giocatori ed è stabilmente tra le migliori squadre. La palla ovale uscì presto dai confini inglesi, iniziando una diffusione mondiale. La prima nazione “straniera” che cominciò a giocare a rugby fu l’Irlanda; il gioco fu introdotto nel 1854 nel Trinity College di Dublino. Gli studenti furono decisivi anche in Scozia dove nel 1858 venne fondato il primo club scozzese.
Altra nazione europea che iniziò a praticarlo fu la Francia; il gran seguito di pubblico portò la nazionale francese a partecipare nel 1910 al torneo delle quattro nazioni britanniche che così divennero cinque. Si era all’inizio di quello che dal 2000 sarebbe poi diventato il Sei Nazioni, che vede oggi anche l’Italia tra le formazioni partecipanti.
A metà dell’800 il rugby si diffuse in Oceania. In Australia a inizio XX sec. i club praticanti erano più di cento. La nazione che fece diventare il rugby il proprio sport nazionale fu la Nuova Zelanda. Oggi è la nazionale più famosa e i suoi giocatori sono conosciuti come All Blacks. A essa è associata l’haka, una danza dei guerrieri maori praticata dai giocatori prima di ogni partita.
Il rugby si diffuse anche nel continente africano, trovando nel Sudafrica la propria nazione di riferimento.
In Italia il rugby ha oggi un notevole seguito come dimostrano i vari sold-out all’Olimpico di Roma durante il Sei Nazioni.
La storia del rugby in Italia ebbe inizio nei primi anni del ‘900, grazie anche a Stefano Bellandi che a Milano creò una sezione rugbistica.
Proprio grazie a lui, nel 1928 si arrivò alla fondazione della Federazione Italiana Rugby.
Le regole
Per le regole del gioco si rimanda alla scheda Regole del rugby.

Difficile apprezzare sport come il rugby dove “far male all’avversario” è nella logica delle cose
Rugby: un giudizio critico
Negli ultimi anni, in Italia è aumentata molto l’attenzione attorno al rugby; un sito che parla di sport dovrebbe esserne contento, ma francamente non ne gioiamo in modo particolare; sono tre i motivi.
Sport o tifo? – Per le sue caratteristiche, il rugby non è uno sport per tutti e come tale molti vi si avvicinano solo come tifosi: essere tifosi non significa però essere sportivi e c’è pochissima relazione fra seguire un evento sportivo (anche chi scommette lo segue) e praticare attività fisica. In realtà, si tratta di un fenomeno di spettacolo che fa audience come un buon film, soprattutto ora che è a lieto fine (l’Italia vince).
Non illudiamoci poi che il rugby sia migliore del calcio: nel rugby non ci sono gli ultrà semplicemente perché girano pochi soldi e non c’è l’enorme attenzione mediatica che caratterizza il calcio.
Violenza NON criminale – Difficile apprezzare sport dove “far male all’avversario” è nella logica delle cose. Uno sportivo che pratica uno sport che vive sul contatto fisico è probabilisticamente meno immune da quella violenza non criminale che questo sito cerca di estirpare dagli animi di tutti.
Stiamo parlando di “violenza non criminale” e ovviamente il “non” è fondamentale. Il violento non criminale è colui che tende a usare la forza per farsi giustizia da sé. Tutti gli sport pesantemente di contatto tendono a esaltare la violenza non criminale per il semplice fatto che la forza è vista sempre come un plus purché in funzione della giustizia.
Il rugbista non è un bullo, un pazzo o uno psicotico, ma è “in media” più incline a servirsi della forza per far valere i suoi diritti anche quando ciò non gli compete (per questo c’è già la legge). Si parla di giganti buoni per sport come rugby, boxe, football americano ecc. pretendendo che bastino le regole per rendere accettabile lo scontro fisico.
Le regole rendono solo normale, quasi quotidiano, lo scontro fisico.
E la salute? Il terzo punto comunque è quello che ritengo decisivo: il rugby non è uno sport salutisticamente accettabile perché non migliora significativamente il quadro fisiologico del soggetto:
- predispone al sovrappeso. Un rugbista per essere competitivo deve avere peso. Quando l’atleta smette, non diventa certo un fuscello.
- Predispone a problemi ortopedici. I danni causati dai traumi aumentano le probabilità di una cronicizzazione delle lesioni.
- Non è significativo per gli over 40. Visto che il rugby non può essere praticato sino alla fine dei propri giorni, di solito viene praticato proprio nella fascia d’età (20-40 anni) dove, nei riguardi della salute, il soggetto “guadagna” di meno dallo sport. Quindi deve ritenersi uno sport decisamente e unicamente agonistico.
Nella serata finale del festival di Sanremo di qualche anno fa (2013) Castrogiovanni ammise candidamente che magro non era e che aveva la pancetta.
Come si può chiamare sport un’attività nella quale uno con la pancetta può diventare un campione?