Il calcio è, senza ombra di dubbio, uno degli sport più amati dai bambini e da moltissimi dei loro genitori (soprattutto dai padri). Non a caso, nel nostro Paese le scuole calcio attualmente accreditate sono poco meno di 7.000 e ogni anno sono circa 300.000 i bambini che iniziano a giocare. Sicuramente sono cifre importanti e ci sarebbe da rallegrarsi per questo amore per l’attività sportiva (è un dato di fatto che lo sport faccia bene ai bambini, come spieghiamo esaurientemente nel nostro articolo Bambini e sport); purtroppo la realtà non è così rosea dal momento che, come spiegano alcuni istruttori di scuole calcio, “sono sempre meno quelli che lo fanno per divertirsi” e sono sempre di più quelli che “giocano perché vogliono arrivare”. Molte responsabilità per quest’ultimo punto sono da ricercarsi nei genitori che vedono per i loro figli un futuro da campioni, ma basterebbe una semplice analisi dei numeri per scoraggiare molte persone: solo un bambino su 5.000 arriva a esordire in serie A; se pensiamo che su 5.000 iscritti a una facoltà importante, ce ne sono almeno 100 che guadagnano come grandi professionisti (per una media di 30 anni di carriera, ben più lunga di quella di un calciatore) ben si capisce come i genitori farebbero meglio a indirizzare i loro figli verso la scuola piuttosto che verso il calcio professionistico.

Solo un bambino su 5.000 arriva a esordire in serie A
Calcio: uno sport divertente con pregi e difetti
Il calcio è uno sport divertente; le regole di base sono piuttosto semplici, ci sono degli avversari da evitare, c’è spirito di squadra e spesso una sana competitività (che, si badi bene, non dovrebbe mai essere esasperata, cosa che non tutti i genitori o istruttori comprendono appieno); quasi mai ci si annoia durante il gioco o l’allenamento.
Anche l’aspetto della socializzazione non è da sottovalutare; il calcio, in quanto sport di gruppo, insegna a condividere con i propri compagni di squadra molti dei momenti felici legati al gioco e all’allenamento e aiuta a creare delle amicizie che in diversi casi vengono portate avanti anche negli anni.
Da un punto di vista prettamente fisico, il calcio ha pregi e difetti; per certo aiuta a fortificare gli arti inferiori e rende piuttosto scattanti; in misura minore incrementa la resistenza e potenzia le capacità cardiopolmonari.
Per contro, il calcio non permette al bambino uno sviluppo efficiente della muscolatura delle gambe, essendo focalizzato più sulla potenza che sulla più salutistica forza resistente (le cosiddette “gambe da calciatore”); meno importante la critica di uno scarso sviluppo dei muscoli delle braccia, visto che, sempre salutisticamente parlando, non è così importante.
Anche dal punto di vista degli infortuni, il calcio è una disciplina con un certo grado di rischio; gli infortuni legati a questo sport sono abbastanza frequenti; si va da quelli meno gravi, come contusioni ed escoriazioni, a quelli che possono essere più seri come distorsioni, stiramenti o addirittura fratture. Sicuramente i più critici sono quelli ai legamenti e alle articolazioni del ginocchio che spesso hanno esisti irreversibili) per tutta la vita.
Per quanto concerne l’età, le scuole di pensiero su quando un bambino dovrebbe iniziare a giocare a calcio sono diverse; alcuni autori suggeriscono che i bambini dovrebbero iniziare in età prescolare; altri consigliano i sette anni e altri ancora addirittura fra i 9 e 10 anni, età, queste ultime, che alcuni autori ritengono invece la soglia massima per l’inizio dell’attività calcistica. Molte scuole calcio comunque accettano bambini a partire dai 4 anni; vista la giovanissima età prima di iscrivere il proprio figlio a una scuola calcio qualsiasi è opportuno informarsi con i responsabili per farsi un’idea della serietà della struttura e delle competenze educative e tecniche degli istruttori.
Bambini e calcio: i campioni sono pochissimi
Il calcio è uno di quegli sport in cui, più che in altri, i genitori riversano le loro speranze di far vivere ai propri figli quella vita da favola che loro non sono riusciti a vivere, complici anche i media che hanno sempre contribuito a “divinizzare” la figura del calciatore, simbolo di successo e ricchezza.
Curiosamente, a detta di diversi istruttori di calcio, sono le mamme quelle che spingono più su questo aspetto e talvolta sono proprie e vere “tragedie” quando il proprio figlio non viene fatto giocare o viene sostituito; una spiegazione di questo atteggiamento può essere legata al fatto che, storicamente, la stragrande maggioranza dei maschi hanno giocato a pallone da piccoli e pertanto i padri sono generalmente più obiettivi delle madri nel valutare i propri figli da un punto di vista tecnico (ovviamente ci sono sempre le eccezioni).