Cardiofitness è un termine di origine inglese che sta per cardiovascular fitness, locuzione che possiamo tradurre con benessere cardiovascolare; nell’uso comune con il termine cardiofitness si è soliti indicare una particolare tipologia di allenamento. Com’è noto, da un punto di vista medico, le finalità dell’allenamento sono quelle di realizzare l’adattamento del corpo umano al gesto atletico (si consulti a tale proposito il nostro articolo I principi dell’allenamento); tali finalità appartengono quindi anche al cardiofitness, pratica che prevede l’uso di più di un simulatore, attrezzi con i quali si imitano, dal punto di vista funzionale, specifici gesti ciclici che hanno appunto lo scopo di migliorare i nostri parametri cardiocircolatori e respiratori; quelli più soventemente usati sono il cicloergometro comune, il cicloergometro orizzontale, il cicloergometro da indoor cycling, il treadmill, lo step, il vogatore, il simulatore di sci da fondo ecc. Si deve specificare che non si può parlare di cardiofitness se si utilizza uno soltanto di questi attrezzi; l’allenamento di cardiofitness può quindi essere definito come tale se si utilizzano almeno due simulatori.
Cardiofitness e cardiofrequenzimetro
Come si può notare sono attrezzi molto diversi tra loro, ma, se usati per il cardiofitness, devono avere tutti una caratteristica comune: la presenza del cardiofrequenzimetro.
Non si può infatti parlare di cardiofitness se non c’è la presenza di questo particolare accessorio; infatti, secondo i canoni del cardiofitness, l’allenamento deve svolgersi entro un determinato range di frequenza cardiaca, oltrepassato il quale, l’esercizio fisico non solo è inutile, ma persino dannoso; il cardiofrequenzimetro è quindi l’angelo custode che sorveglia sul nostro muscolo più importante, il cuore; il cardio, come più usualmente lo si chiama, è infatti pronto ad avvertire l’atleta che lo indossa nel malaugurato caso che questi oltrepassi la fatidica soglia di pericolo che per molti è ancora rappresentata dal risultato dell’ormai vetusta formula FCmax=220-età (decisamente più moderna la formula di Tanaka: FCmax = 208 – 0,7 x età).
In alcuni siti Internet, poi, si trovano anche indicazioni su come si deve modulare l’intensità dell’allenamento indicando determinate percentuali di frequenza massima:
- 50-60% (attività moderata adatta a coloro che vogliono rieducare l’organismo all’attività fisica)
- 60-70% (attività finalizzata al dimagrimento o alla rigenerazione)
- 70-80% (attività intensa adatta a chi è già ben allenato e vuole mantenere la condizione fisica)
- 80-90% (attività agonistica; per chi vuole raggiungere risultati a livello agonistico).
Come se non bastasse, in altri siti si trova specificato che ci si dovrebbe allenare più di un’ora perché “lo sforzo diventa eccessivo per l’organismo e quindi dannoso” (con buona pace di chi si allena per la mezza o la maratona…).
Precisiamo subito che una tale visione rivela una sostanziale ignoranza della fisiologia umana in generale e di quella dell’allenamento in particolare. È inoltre indice di un approccio “pauroso” allo sport e, è cosa nota, la paura è una cattiva consigliera e impedisce di sfruttare al massimo le proprie potenzialità.
Questa premessa un po’ fra il serio e il faceto potrebbe far pensare che la nostra posizione sia di netta chiusura all’uso del cardiofrequenzimetro. Non è così e invitiamo alla lettura del nostro articolo a esso dedicato (Il cardiofrequenzimetro) per convincersi del contrario; in esso infatti affermiamo testualmente che “il cardiofrequenzimetro (o cardiofrequenziometro) può essere impiegato con qualche successo“. Non siamo quindi “contro” il cardio, siamo piuttosto molto critici con l’uso scorretto che si fa di questo strumento. Rimandiamo all’articolo sopracitato per capire per quali scopi lo si dovrebbe utilizzare; qui ci limitiamo a ribadire ancora una volta che il cardio non può e non deve essere utilizzato per proteggere il cuore e per dimagrire. Ricordiamoci che i professionisti non lo usano e che tarare gli allenamenti basandosi unicamente sul parametro della frequenza cardiaca impedisce un’ottimizzazione degli stessi allenamenti predisponendo, a lungo andare, al low-intensity training.

Cardiofitness è un termine di origine inglese che sta per cardiovascular fitness
Prevenzione degli incidenti cardiaci
Nelle palestre il cardiofrequenzimetro è utilizzato anche per tranquillizzare quella fascia di pubblico particolarmente ipocondriaca che teme per la salute del proprio cuore in relazione a uno sforzo fisico eccessivo. Mi è capitato più di una volta di sentire il personal trainer dire a una signora che si era appena iscritta che “l’uso del cardio è molto utile per non esagerare e non avere problemi al cuore!”.
Questa che appare una premurosa attenzione nei confronti del cliente a me pare un boomerang devastante, oltre che una grossolana imprecisione in termini di fisiologia cardiaca.
Psicologicamente, anziché tranquillizzare un ipocondriaco, è il miglior modo di giustificare le sue paure che sicuramente trasmetterà a coloro che gli stanno vicino (dai figli agli amici, al conoscente occasionale) attraverso il messaggio: lo sport può fare male al cuore ed è bene non esagerare.
Lo spirito di questo articolo è quindi quello di fare prevenzione in palestra non promuovendo semplicisticamente l’uso del cardiofrequenzimetro, ma anche e soprattutto promuovendo visite d’idoneità e controlli periodici che, dal punto di vista del gestore devono essere visti non come una scocciatura, ma come un’ulteriore fonte di business.
Come funziona il cuore
Vediamo come funziona un cuore sano.
Durante lo sforzo fisico i muscoli richiedono al cuore di far arrivare più ossigeno; in base a questa richiesta, il sistema cardiovascolare si attiva e trasporta l’ossigeno ai muscoli. Aumenta il consumo di ossigeno e, se lo sforzo è basso, per produrre energia viene utilizzata praticamente solo la via aerobica; all’aumentare dello sforzo, viene significativamente utilizzata anche la via anaerobica. Un’importante considerazione evidenziata da Noakes (1998) e Peltonen (2001) è l’assenza di fenomeni anginosi (dolori al petto) in atleti sani anche in condizioni di massimo sforzo a notevole altitudine. Anch’io (2002) evidenziai la pressoché totale mancanza di grave sofferenza cardiaca in atleti sani (ved. il capitolo 19 del mio Il manuale completo della corsa). Considerando che l’attività contrattile del cuore è danneggiata da una mancanza di ossigeno (cioè il cuore non sa contrarsi anaerobicamente) è evidente che deve esserci un meccanismo di controllo che, a causa dell’incremento del lattato percepito dal cuore, innesca un segnale di blocco al cervello che a sua volta blocca il reclutamento delle fibre muscolari deputate all’esercizio: il soggetto entra in crisi e il cuore è salvo.
Concludendo, un cuore sano ha naturali meccanismi di controllo che bloccano lo sforzo prima che esso possa danneggiare il cuore. Diventa pertanto fondamentale che nella popolazione passi il messaggio che fare sport può fare male solo a un cuore malato e che lo sport non può “causare” l’infarto. Altresì fondamentale è la prassi di una visita medica che non sia una semplice formalità e che vada al di là di ciò che prescrive la legge per la pratica amatoriale dell’attività sportiva, per esempio includendo anche esami del sangue che possano evidenziare un indice di rischio cardiovascolare elevato.
Per ulteriori dettagli si consulti l’articolo dedicato a La morte da sport.