La riabilitazione post-intervento è uno dei vari problemi postoperatori dello sportivo che si è sottoposto a un intervento chirurgico. Sfortunatamente è praticamente impossibile trovare un riabilitatore che sappia definire esattamente il cammino postoperatorio. In genere si procede per tentativi, usando in maniera non personalizzata mezzi standard (esercizi, potenziamento, stretching ecc.), sperando che il tempo faccia la propria parte. In realtà, la riabilitazione post-intervento dovrebbe essere un lavoro altamente scientifico al pari dell’intervento stesso; in quest’ottica sarebbe consigliabile che il chirurgo se ne faccia carico in prima persona indirizzando il paziente verso strutture di sua fiducia (ne va della credibilità dell’intervento!). Questo articolo vuole mostrare come sia possibile definire un protocollo di verifica per ogni tipo di intervento ortopedico-sportivo.
Protocollo di verifica non significa l’indicazione di come deve essere eseguita la riabilitazione (i cui mezzi, tempi e modalità dipendono evidentemente dall’operazione chirurgica), ma di come si deve giudicare la riabilitazione stessa. Infatti in ogni intervento (tralasciamo quelli agli arti superiori, ma per essi il discorso è analogo) sono evidenziabili i seguenti elementi comuni (eventualmente assenti):
1) Immobilizzazione completa. È il periodo in cui la parte operata richiede un’immobilità totale (per esempio un’ingessatura).
2) Carico parziale. Ovvio passo successivo che comporta l’uso parziale (per esempio con stampelle) della parte.
3) Cammino. Questo è un punto troppo spesso sottovalutato. Si giunge alla terza fase quando il cammino non presenta più problemi. Finché permangono difficoltà si è nella fase 2.
4) Determinazione degli esercizi-spia. Qui sta la vera novità del discorso. Quasi tutti i riabilitatori non conoscono una strategia per passare gradatamente dalla fase di cammino normale al gesto atletico completo. La frase classica è: “prova e vediamo che succede”. Questo atteggiamento è fonte di notevoli ritardi nella rieducazione perché spesso le “prove” sono più lesive che riabilitative.
Un esercizio-spia è un esercizio che mette in crisi il sistema operato esattamente come il gesto atletico, ma può essere graduato all’infinito (cosa che non si può fare con il gesto atletico in sé: o si corre, anche a basse velocità, o si cammina). Può trattarsi di un esercizio di stretching, di un esercizio di forza o di una combinazione comunque complessa. L’importante è che sia graduabile.
Scopo dell’esercizio-spia è di porre un limite superato il quale si può riprendere il gesto atletico.
5) Test del km. Sembra banale, ma la maggior parte dei problemi si evidenziano in un solo km di corsa. Pertanto superato lo scoglio degli esercizi-spia, si deve necessariamente provare. Se nel km di test si evidenziano ancora dolori, anche minimi, la riabilitazione deve proseguire fino alla loro completa eliminazione.
6) Guarigione. Superato il test del km si è clinicamente guariti e si potrà pensare a un lento e graduale ritorno alla consueta attività fisica.
Si noti come in questa scala non sia affatto previsto un gradino “potenziamento”. Il motivo è semplice: un reale e completo potenziamento è fondamentale per una ripresa dell’attività, non della guarigione. Infatti il semplice cammino è il più delle volte sufficiente a ristabilire un grado minimo per affrontare i passi successivi. Inserire il potenziamento già dalle prime fasi è quindi una scelta del riabilitatore, anche se è importante che l’atleta sappia che la sua guarigione non è affatto sinonimo di un ritorno all’efficienza muscolare completa.
Vediamo ora come si applica il protocollo a un intervento classico, l’operazione al tendine d’Achille.

La riabilitazione post-intervento dovrebbe essere un lavoro altamente scientifico al pari dell’intervento stesso
Il protocollo Albanesi per la riabilitazione post-intervento del tendine d’Achille
Su questa falsariga il riabilitatore dovrebbe stabilire un protocollo per un intervento qualsiasi e basare la riabilitazione di conseguenza.
1) Immobilizzazione completa – Può essere di una, due o più settimane, dipende dalla gravità della lesione.
2) Carico parziale – Anche in questo caso il numero di settimane è stabilito dal chirurgo. Il tempo delle prime due fasi è fondamentale perché quanto più è lungo tanto più si dovranno curare aspetti che l’immobilità esalta (diminuzione del tono muscolare, diminuzione della flessibilità ecc.). In ogni caso il soggetto è passivo in queste due fasi e ogni verifica della riabilitazione è prematura. I tempi di guarigione non devono essere stimati dalla fine dell’intervento, ma dal termine di questa fase!
3) Cammino – Questa è la prima verifica. Camminare senza problemi vuol dire aver recuperato pienamente la propriocettività e la mobilità articolare (tibio-tarsica soprattutto). Perché il protocollo possa procedere si deve essere in grado di camminare per una lunga passeggiata (almeno 3 km) senza avvertire dolore di nessun tipo. Non devono illudere semplici deambulazioni casalinghe o sul luogo di lavoro. Diciamo che viene ristabilito lo status di sedentario.
4) Esercizio-spia num. 1 – Veniamo alla parte interessante del protocollo. Il primo esercizio-spia è lo stretching del surale che deve essere eseguito a piedi scalzi (senza cioè il rialzo della scarpa che può favorirlo). Rimandiamo all’articolo corrispondente per l’esatta modalità. In sei ripetizioni da 30″ con 10″ di pausa non si deve avvertire dolore alcuno.
5) Esercizio-spia num. 2 – È uno degli esercizi classici della riabilitazione (come si vede bastano pochi esercizi di tutto un programma riabilitativo per stabilire i punti di verifica). Si tratta del potenziamento eccentrico a piedi uniti sul gradino. Con le piante dei piedi parallele (per i 2/5 appoggiate) su un gradino, ci si alza in punta di piedi e poi si scende arrivando con i talloni il più in basso possibile. Sei ripetizioni di 30 escursioni con 30″ di pausa. Anche in questo caso si può procedere solo se non si avverte nessuna forma di dolore.
6) Esercizio-spia 3 – Superato il punto 5, il riabilitatore classico parte con la classica prova: nulla di più sbagliato. Esiste un altro esercizio-spia che consente di definire se il carico della corsa è compatibile con lo stato attuale del tendine. Si tratta del potenziamento sbilanciato. Si pone il piede non operato su un gradino (con l’intera pianta) e il piede operato su quello sottostante nella stessa posizione del potenziamento eccentrico a piedi uniti (eventualmente usando un corrimano per il solo equilibrio, cioè senza appoggiarvisi). Si blocca la posizione con la pianta del piede parallela al gradino (cioè col tallone allo stesso livello del gradino) e la si mantiene. Dopo un certo periodo di tempo si avvertirà un dolore più o meno forte (il tendine è in tensione per mantenere lo status). Il test è superato se si mantiene la posizione per 2′ senza alcun dolore.
7) Test del km – A questo punto si può provare il test del km. Nel caso del tendine d’Achille non è però l’ultima fase del protocollo. Se viene superato, si può avviare una fase di riadattamento alla corsa (non allenamento!).
8) Esercizio-spia 4 – L’ultimo test è un’evoluzione del terzo esercizio-spia. Dopo aver eseguito i due minuti nella posizione indicata, si scende con il tallone nella posizione massima possibile e la si mantiene per un minuto. Se non si avverte nessun dolore, si può pensare a riprendere gradatamente l’attività sportiva con un programma crescente di corsa, il completamento del potenziamento muscolare ecc.