Ipertensione e sport: Non esistono dubbi sull’utilità dell’attività fisica nel trattamento dell’ipertensione arteriosa (la cosiddetta pressione alta). Diversi studi, anche recenti, hanno quantificato la diminuzione pressoria in 5-6 mmHg (sia per quanto riguarda la pressione sistolica che per quella diastolica), diminuzione concentrata soprattutto nelle ore diurne, prodotta da un allenamento aerobico assiduo e continuativo. Gli effetti benefici dell’allenamento sono dovuti a numerosi fattori tra cui i più importanti sono: 1) aumento del numero di capillari a livello muscolare e cardiaco (capillarizzazione) dove lo sviluppo del microcircolo coronarico allontana il rischio di angina e infarto. 2) Maggiore apporto di sangue e ossigeno a tutti i tessuti e in particolare al muscolo cardiaco. 3) Riduzione sia dello stress transitorio che di quello a lungo termine grazie al rilascio di sostanze euforizzanti che intervengono nella regolazione dell’umore (endorfine). 4) Riduzione delle resistenze periferiche sia grazie alla riduzione dell’attività di alcuni ormoni e dei loro recettori (catecolamine) sia grazie all’aumento del letto capillare. 5) Effetto positivo che l’attività fisica svolge sugli altri fattori di rischio relativi ad altre patologie che spesso si associano o causano l’ipertensione come per esempio il diabete, le dislipidemie e l’obesità.
L’esercizio fisico utile per la prevenzione e la cura dell’ipertensione deve essere di tipo aerobico o cardiovascolare: deve cioè essere un’attività fisica di endurance svolta a media intensità (40-70% del VO2max).
Tipici esempi di lavoro cardiovascolare sono la marcia, il jogging, la corsa, il nuoto di resistenza e il ciclismo. Per essere veramente efficace, l’esercizio fisico va ripetuto per almeno tre volte alla settimana. Il massimo effetto benefico lo si ottiene con 5 sedute settimanali, anche se le differenze, in termini di calo pressorio, non sono significative. In questo caso migliorano invece i benefici sulla riduzione del peso corporeo e l’efficacia del sistema cardiovascolare. L’attività, per essere efficiente, deve protrarsi per almeno 20-30 minuti, possibilmente senza interruzioni. Anche in questo caso i risultati migliori si ottengono con un impegno superiore (40-50 minuti). Al di sotto dei venti minuti gli effetti positivi calano considerevolmente (1).
Potenziali rischi della pratica sportiva nell’iperteso
La letteratura riporta una maggiore prevalenza di accidenti cardiovascolari durante l’esercizio fisico nell’iperteso rispetto alla popolazione generale. In effetti le variazioni emodinamiche che si verificano durante un esercizio di tipo isotonico come un aumento della frequenza cardiaca, della gittata sistolica e un aumento della pressione sistolica, comportano un notevole aumento del consumo di ossigeno miocardico e possono costituire un rischio rilevante per il soggetto iperteso soprattutto se è presente una ridotta riserva coronarica.
A ciò va aggiunto che lo sforzo aumenta la vulnerabilità ventricolare e che l’iperteso ha una maggiore prevalenza di aritmie ventricolari rispetto al normoteso.
Ancora non è confermata la possibilità che il training fisico produca nell’iperteso un ulteriore aumento della massa ventricolare sinistra già ipertrofica, molti studi hanno osservato che allenamento e ipertensione non producono effetti sommatori nei confronti dell’ipertrofia, anzi, l’allenamento sarebbe in grado di ridurre l’entità dell’ipertrofia nell’iperteso, probabilmente a causa di una riduzione del tono adrenergico più accentuata nelle attività di tipo aerobico (2).
Cardiopatia ipertensiva e cuore d’atleta
Oggi risultano essere ben chiare le modificazioni indotte sull’apparato cardiovascolare dall’ipertensione arteriosa, infatti sia l’impatto emodinamico, conseguente agli elevati valori pressori, sia la stimolazione di meccanismi neuroumorali in grado di modulare la crescita di cellule muscolari lisce, possono essere implicati nella genesi delle alterazioni strutturali cardiovascolari. L’aumento prolungato delle resistenze periferiche e del post-carico, tipico dell’ipertensione arteriosa, stimolano un progressivo ispessimento della parete del ventricolo sinistro.
L’aumento della massa cardiaca e la comparsa di ipertrofia ventricolare, utili meccanismi di adattamento nelle fasi iniziali della patologia, predispongono tuttavia alla comparsa di importanti manifestazioni cliniche come lo scompenso cardiaco, le aritmie ventricolari e la cardiopatia ischemica.
Il significato prognostico sfavorevole dell’ipertrofia ventricolare sinistra è valido sia quando la diagnosi è posta mediante ECG sia quando essa è evidenziata dalla metodica ecocardiografica che risulta più specifica e ripetibile nel tempo.
L’impiego dell’ecocardiografia ha permesso di descrivere diverse forme di adattamento geometrico del ventricolo sinistro all’aumento del carico pressorio. Si parla di ipertrofia concentrica quando lo spessore della parete cardiaca aumenta a spesa del volume della cavità ventricolare sinistra mentre si parla di ipertrofia eccentrica quando la parete del ventricolo sinistro tende a ispessirsi lontano dall’asse centrale della cavità.
Alla luce di tali considerazioni è evidente come la cardiopatia ipertensiva possa talvolta porre problemi di diagnosi differenziale con il cuore d’atleta dove il rimodellamento cardiaco è causato dall’aumento della portata cardiaca (che durante sforzo supera i 30 l/min) e della pressione arteriosa sistolica (che durante sforzo supera i 200 mmHg).
Il primo dei dati da valutare è proprio anamnestico, infatti non può essere considerato normale un quadro di aumento della massa ventricolare sinistra in un soggetto che da poco abbia iniziato un’attività sportiva o che pratichi sport in maniera incostante. Ulteriori elementi differenziali derivano dallo studio della funzione diastolica.
Nell’atleta, le fasi di rilasciamento e riempimento ventricolare non subiscono variazioni in presenza di ipertrofia fisiologica del ventricolo sinistro, addirittura il riempimento ventricolare sinistro è pressoché completo già in protodiastole (3), mentre le proprietà diastoliche del miocardio ventricolare sinistro sono compromesse nell’ipertrofia patologica.
Infine è da sottolineare come le modificazioni del decorso e del calibro dei vasi coronarici subepicardici, caratterizzati da aumento in lunghezza, riduzione di calibro e tortuosità, responsabili della riduzione di riserva coronarica nel soggetto iperteso, siano ben differenti dalle modificazioni normofunzionali del circolo coronarico indotte dall’esercizio fisico e caratterizzate da un aumento del calibro e da una riserva vasodilatatoria superiore rispetto ai soggetti non allenati.
Queste caratteristiche, assieme alla rapida regressione delle modificazioni morfofunzionali che si verifica con il detraining, contribuiscono a distinguere l’ipertrofia fisiologica del cuore d’atleta dall’ipertrofia indotta dai patologici incrementi dei valori pressori (4).
Conclusioni
Gli studi epidemiologici hanno da tempo confermato la relazione inversa tra pratica sportiva e livelli pressori. Sia in soggetti normotesi che ipertesi anche un’attività a modesto impegno cardiovascolare, purché praticata assiduamente, è in grado di sviluppare un significativo effetto ipotensivo. È buona norma praticare una completa visita medico-sportiva prima di iniziare una costante attività fisica per evitare di incorrere nei potenziali rischi che la pratica sportiva può indurre in un soggetto già a rischio come è un soggetto iperteso.
Crediti
- Dott. Luigi Ferritto
- Dipartimento di Medicina Generale
- Ambulatorio di Fisiopatologia dello Sport
- Clinica “Athena” Villa dei Pini
- Piedimonte Matese (CE)
- e-mail: luigiferritto@email.it sportandsearch@email.it
Bibliografia
1) “Ipertensione e attività fisica” tratto da www.my-personaltrainer.it.
2) Guiducci U., Tortorella G. in “Problemi cardiologici nella popolazione sportiva” ” da sz. 19 cap. “Cardiologia dello sport” da “Trattato di Cardiologia” volume 3° a cura dell’ANMCO.
3) Ferritto L., De Risi L. : “Il Cuore d’Atleta, oltre i limiti della natura”; (2008).
4) Guiducci U., Tortorella G. in “Problemi cardiologici nella popolazione sportiva” ” da sz. 19 cap. “Cardiologia dello sport” da “Trattato di Cardiologia” volume 3° a cura dell’ANMCO.
LA MAIL
Low-intensity training
Ho letto con molto interesse l’articolo “Ipertensione arteriosa e attività fisica” dove si afferma che la prevenzione e cura dell’ipertensione si attua con una costante attività fisica per almeno 3 volte la settimana per un minimo di 20 minuti (40-50 è l’ideale) di tipo endurance di media intensità (40-70% VO2max).80% VO2max.
Ho un po’ di confusione, mi sembra che il primo contraddica il secondo [quello sul low-intensity training; N.d.R.] (in termini di durata minima dell’allenamento e di intensità)…
Non c’è confusione. Il primo articolo riguarda solo l’ipertensione arteriosa, il secondo lo stile di vita migliore possibile. Molti ipertesi sono sedentari e non farebbero mai sport; il primo articolo indica loro il livello sufficiente per migliorare la loro patologia.
Livello minimo che non è però in grado di ottimizzare la strategia generale. Come condizioni non salutistiche non c’è solo l’ipertensione, ci sono anche il sovrappeso, il rischio cardiovascolare (infarto), il diabete ecc.
Quindi se ti piace fare sport e vuoi ottenere il massimo, riferisciti all’articolo sul low-intensity training.