L’infortunio sportivo rappresenta un serio ostacolo non solo nell’esercizio del proprio sport preferito, ma anche nel proponimento di seguire uno stile di vita corretto, cosa che richiede che l’attività fisica sia continua e regolare. Riceviamo molte mail di amici del sito che ci chiedono come uscire dal proprio infortunio. Nel 90% dei casi la soluzione è possibile trovarla in questo articolo perché si tratta di situazioni in cui la strategia di approccio al problema non è stata corretta. Vedremo pertanto come affrontare al meglio un infortunio sportivo; innanzitutto abbiate pazienza: leggete tutta la serie di articoli e solo successivamente scriveteci sul vostro caso. Riteniamo inoltre che sia fondamentale la lettura del testo L’infortunio nella corsa, infatti, senza la comprensione dei concetti esposti nel libro, la speranza di poter avere una lunga vita sportiva senza gravi infortuni è abbastanza ottimistica.
I tipici errori del runner
- Si esagera l’importanza dell’infortunio – In presenza di fastidi si cerca subito una soluzione. Si è infortunati quando i fastidi crescono da una seduta all’altra, impedendo un regolare gesto atletico. Se un fastidio al tendine dura per i primi 100 m del riscaldamento è prematuro parlare di tendinite, ma se il problema peggiora ogni volta allora si deve correre ai ripari. Per evitare di correre con un problema (se c’è un reale problema è opportuno rispettare un periodo di stop) la regola è la seguente: in presenza di un fastidio, di solito ci si deve fermare quando il fastidio tende a trasformarsi in dolore e la situazione peggiora all’allenamento successivo. Se invece la situazione resta stabile o tende a regredire, si può continuare a fare attività fisica, vuol dire che il nostro fisico ha reagito bene e si sta adattando.
- Si minimizza l’importanza dell’infortunio – Si è infortunati, ma si vorrebbe correre ugualmente. Posizione assurda per un amatore! In genere deriva dal non accettare la propria mortalità (spesso chi corre con piacere commette il gravissimo errore di ritenersi immortale). Come sopra, ma stavolta a maggior ragione, prima di correre con un problema è opportuno rispettare un periodo di stop.
- Non si è capita l’importanza dell’infortunio – “Ho la pubalgia, sono stato fermo 10 gg. ma non mi passa. Che devo fare?”. Occorre capire che per ogni infortunio il periodo di stop (indicato ne L’infortunio nella corsa) è variabile. Se per una peritendinite può essere di soli 10 gg. per una pubalgia può anche essere di 3-4 mesi.
- Non si ha una diagnosi – Non è possibile avere una diagnosi online. Se l’atleta è sufficientemente esperto può arrivarci da solo; nella maggioranza dei casi è necessaria la visita diretta di un terapeuta, perché solo con la visita diretta si possono avere TUTTE le informazioni del caso. Per approfondimenti sulla diagnosi leggete l’articolo L’infortunio: come affrontarlo.
- Si è sbagliato terapeuta – Non si inizia dal basso, ma dall’alto. Rivolgersi a un ortopedico sportivo è la mossa probabilisticamente migliore. Non si deve scegliere il medico perché disponibile, poco costoso ecc., ma in primis perché è competente! Un ortopedico sportivo è sicuramente quello che ha il più vasto orizzonte. Troppo spesso altri professionisti del settore (alcuni dei quali sono più orientati alla riabilitazione che alla diagnosi) vedono solo la loro fetta di competenza, usano sempre e comunque le loro soluzioni. Per approfondimenti leggete La scelta del fisioterapista e La scelta del medico sportivo.
- Non si sono capite le cause – Può sembrare paradossale, ma molti infortuni non si risolvono perché non si sono capite le cause che li hanno generati. Chi è per esempio in sovrappeso atletico e cerca di sconfiggere un fastidioso mal di schiena, senza aver capito che prima deve dimagrire (o ridurre le distanza di percorrenza) spreca il proprio tempo cercando di tamponare l’infortunio. Per approfondimenti rimandiamo all’articolo che tratta delle cause dell’infortunio.
- Si utilizzano cure “anatomiche” – Nel sito è evidente il nostro scetticismo su plantari, cure posturali, bite e tutto ciò che vorrebbe standardizzare la persona dimenticandosi delle sue capacità di adattamento (per esempio una dismetria degli arti di 1 cm è del tutto normale). In genere, probabilisticamente, tali discorsi possono essere validi per un principiante, ma non certo per un amatore che ha un infortunio dopo 2-3 anni di attività. Se voi ci credete, fatelo, ma non chiedeteci conforto a riguardo.
- Si utilizzano cure soft – Errore spesso derivante da uno sbaglio nella scelta del terapeuta. Inutile usare palliativi che non fanno altro che giocare sull’effetto tempo. Per approfondimenti vi rimandiamo al pezzo che tratta delle cure.
- Non si riesce a stare fermi – Si cerca di mantenere un grado di allenamento decente utilizzando altri sport. Nella maggior parte dei casi, quando il periodo di stop richiesto è inferiore al mese si hanno più svantaggi che vantaggi perché la struttura infortunata viene comunque sollecitata. A meno che l’atleta non pratichi già usualmente lo sport alternativo, è opportuno astenersi se il periodo di inattività è inferiore ai 30 gg. Per approfondimenti leggere La paura dello stop.
- Si riprende troppo in fretta – Non serve barare con sé stessi, anzi è una strategia disastrosa. La strategia di ripresa è chiara e non può essere ottimisticamente abbreviata. Per approfondimenti leggete l’articolo Infortuni: quando si è guariti?.
- Si è prevenuti nei confronti di determinate terapie – In particolare verso quelle costose o verso quelle chirurgiche. Cercare alternative facendo salti mortali che magari si riveleranno dannosissimi quando la soluzione c’è ed è certa non è consigliabile. Per esempio, in presenza di una grave infiammazione del tendine si possono spendere molte energie e risorse per capire la reversibilità del processo. Se però alla fine si stabilisce che ormai il tendine è degenerato non c’è che la soluzione chirurgica.
Correre “seriamente” senza infortuni
Con una battuta, è la stessa situazione di chi è in forte sovrappeso e vede la pubblicità della pillolina. L’idea di abbuffarsi senza controindicazioni lo solletica.
Scherzi a parte, esistono metodi che promettono l’invulnerabilità, ma sono metodi molto ottimistici perché rivendono esperienze individuali sperando che valgano per tutti. Il limite di validità di queste esperienze non supera mai il 5% della popolazione. Ovviamente quel 5% (a volte esagerando la percentuale) che ne ha beneficio poi diffonde la voce e mantiene in vita il metodo (effetto risultato). Peraltro, il fatto che questi metodi portino a correre in un certo modo fanno sì che in un altro 5% di atleti vi sia un peggioramento della situazione o della prestazione. Alla fine il bilancio è zero. L’infortunio nasce sempre da una esagerazione qualitativa o quantitativa del proprio fare sport (vedasi l’articolo La distanza critica). Può darsi che, nel caso del singolo soggetto, un certo fattore X migliori la situazione, ma poiché di questi fattori ce ne sono almeno 100, al massimo, in media, vale per l’1% degli atleti!
Supponiamo che io voglia inventare il programma Albanesi anti-infortuni. Che faccio? Prendo un fattore a caso che in qualche modo possa evitare che l’atleta commetta errori. Per esempio: le ripetute fanno malissimo. Evitatele e correrete senza problemi. Ebbene, in una buona percentuale di atleti si scopre che le ripetute (qualità) sono effettivamente la causa dell’infortunio (perché l’atleta non sa gestirle bene, non sa inserirle nel piano d’allenamento ecc.). Magari ottengo risultati pratici, ma scientificamente la mia “scoperta” è nulla.
L’articolo sulla postura completa quanto detto.