L’eritropoietina (EPO) è l’ormone glicoproteico che stimola l’eritropoiesi, regolando la produzione degli eritrociti (globuli rossi). L’EPO è sintetizzata soprattutto dal rene e in minima parte dal fegato e la sua produzione è regolata dalla concentrazione di ossigeno nel sangue. La stimolazione dell’eritropoiesi viene esercitata dall’eritropoietina nel midollo osseo sull’eritrone. L’eritropoietina effettua una selezione che elimina le cellule meno buone, consentendo solo ad alcune di seguire la linea di maturazione e di diventare eritrociti (apoptosi). Il risultato dell’azione dell’eritropoietina consiste sostanzialmente in un innalzamento della disponibilità di globuli rossi e di emoglobina. Uno degli stimoli maggiori all’aumento della secrezione di eritropoietina è rappresentato dall’ipossia; la carenza di ossigeno, infatti, stimola le cellule endoteliali peritubulari dei reni a rilasciare eritropoietina che va ad agire a livello del midollo osseo. La tendenza alla condizione anemica tipica di coloro che sono affetti da insufficienza renale cronica può essere spiegata con il fatto che in tali soggetti la produzione di eritropoietina diminuisce. La somministrazione di eritropoietina per scopi medici ha praticamente sostituito la vecchia e complessa pratica dell’emotrasfusione.
EPO sintetica
L’eritropoietina sintetica è prodotta con la tecnologia del DNA ricombinante (la locuzione DNA ricombinante indica una sequenza di DNA che viene ottenuta in modo artificiale combinando materiali genetici che hanno origini differenti) ed è prodotta da cellule mammarie in cui è stato introdotto il gene dell’eritropoietina. In genere è immessa in commercio in soluzioni da 1 ml che contengono 2.000, 3.000, 4.000, o 10.000 unità.
L’utilizzo dell’eritropoietina sintetica come farmaco è cominciato nel 1989; inizialmente l’EPO veniva utilizzata in soggetti dializzati affetti da anemia; in seguito il suo impiego è stato allargato anche a coloro che erano affetti da insufficienza renale cronica e sottoposti a trattamento conservativo.
Gli ESA – Tutti i farmaci che agiscono stimolando le cellule eritroidi immature sono definiti ESA, acronimo dei termini inglesi Erythropietin Stimulating Agents ovvero agenti stimolanti l’eritropoiesi.
Le prime tipologie di eritropoietina sintetica disponibili nel nostro Paese furono l’EPO α e l’EPO β; altre tipologie di EPO sono state commercializzate in altri Paesi, ma non in Italia (per esempio, la Dynepo, EPO di seconda generazione).
La frequenza delle somministrazioni di queste tipologie di EPO variava da 1 a 3 volte alla settimana.
In seguito, fu introdotto un altro tipo di eritropoietina ricombinante, la darbepoetina α; l’impiego di questa molecola ha permesso di ridurre significativamente le somministrazioni di EPO, contribuendo a migliorare la qualità di vita dei soggetti costretti a utilizzarla.
Nel 2007 è stato introdotto un nuovo farmaco, il CERA (Continuous Erythropoietin Receptor Activator, attivatore continuo del recettore dell’eritropoietina) noto anche come EPO di terza generazione. Il CERA è un farmaco costituito da una molecola di eritropoietina addizionata di una particolare catena proteica. La sua emivita è particolarmente lunga e grazie a questa caratteristica, il farmaco può essere somministrato una sola volta al mese.
Le somministrazioni di eritropoietina vengono effettuate tramite iniezioni sottocutanea, generalmente nella coscia o nella zona addominale.
Usi medici dell’eritropoietina
L’EPO è utilizzata nella pratica clinica per diversi scopi:
- principalmente per la cura dell’anemia di pazienti dializzati o nefropatici (a causa dei problemi renali non viene prodotta una quantità sufficiente di eritropoietina);
- per procedure di autotrasfusione per interventi di chirurgia;
- nell’anemia con insufficienza cardiaca;
- nell’anemia neonatale;
- per risolvere problemi morali (è per esempio il caso dei testimoni di Geova);
- in anemie causate da patologie tumorali.

Dal 1989 l’eritropoitina è disponibile come farmaco per i soggetti anemici sottoposti a emodialisi. In seguito i suoi impieghi clinici sono stati estesi ad altre problematiche.
EPO e doping nello sport – Effetti collaterali
Di eritropoietina si sente molto parlare anche in ambito sportivo (ricordiamo che l’assunzione di EPO è una pratica dopante); dal momento che si tratta di una sostanza prodotta dal nostro corpo e che viene impiegata per curare anemie, soprattutto in pazienti con patologie renali o tumorali, a molti atleti non è del tutto evidente la sua classificazione fra le sostanze dopanti o che comunque possono cagionare vari danni alla salute.
Iniziamo da quello relativamente meno importante. L’aumento da eritropoietina della concentrazione dei globuli rossi nel sangue circolante si contrappone all’adattamento che l’allenamento provoca nell’atleta e che consiste in una “emodiluizione” ossia in un relativo aumento della parte liquida del sangue (plasma) nei confronti di quella corpuscolata (globuli rossi).
In realtà, in molti atleti si dovrebbe verificare se l’ematocrito basso è un effetto derivante dell’emodiluizione o di un relativamente basso numero di globuli rossi (come spesso avviene).
All’aumentare dell’ematocrito e/o della durata del trattamento gli effetti collaterali dell’eritropoietina sono:
- Tendenza alla trombofilia, indipendente dal valore di ematocrito (inibizione dei fattori della coagulazione del sangue, per esempio la proteina S). Anche con ematocrito basso si potrebbero verificare dei trombi.
- Tendenza alla trombofilia, dipendente dal valore dell’ematocrito. Questo punto è lampante e riconosciuto da tutti gli addetti ai lavori; aumentando l’emoconcentrazione, è ovvio che possono formarsi trombi.
- Potenziale incremento delle resistenze vascolari nelle zone profonde del cervello, con possibile invecchiamento precoce delle strutture.
- Ipertensione arteriosa, con conseguente sclerosi vascolare (nei diversi distretti e organi corporei, come fegato, reni e polmoni), accresciuto rischio di infarto cardiaco ed encefalopatia ipertensiva.
- Convulsioni.
- Leucoencefalopatia (modificazioni della sostanza bianca cerebrale).
Queste controindicazioni dovrebbero spaventare chiunque, ma in documenti ufficiali si legge per esempio (facoltà di medicina dell’università di Verona): “è bene ricordare che la supposta correlazione fra utilizzo di EPO e morte improvvisa di alcuni ciclisti della categoria élite rimane, per ora, solo aneddotica. Ad oggi, le complicanze legate all’assunzione di EPO in soggetti sani sono poco note; la maggior parte degli studi, compiuti su pazienti in insufficienza renale cronica, ha comunque evidenziato la possibile comparsa d’ipertensione arteriosa, danni cerebrali e trombosi venose. Nondimeno, la recente osservazione di trasformazione tumorale fulminante in un paziente trattato con EPO ricombinante e di una forma drammaticamente fatale di policitemia a seguito di alterata produzione di EPO consiglia molta precauzione nell’impiego di questa sostanza“.
Cosa manca in queste affermazioni? Un dato numerico (che non siamo riusciti a trovare) che indichi il reale pericolo. In altri termini, poiché è fissato un limite di ematocrito a 50, può bastare questo limite (a prescindere che si assuma o meno l’EPO) a preservare la salute dell’atleta?
Il problema di fondo è che fissando un valore di soglia si dà per scontato che l’assunzione di EPO non provochi problemi quando si resta sotto questo valore. Il discorso sulle patologie soprariportate è ovviamente corretto se l’atleta passa da 46 a 60 di ematocrito (d’altra parte anche sostanze banali come la vitamina A in sovradosaggio sono “critiche”), ma se passa da 46 a 48? Per esempio, con un innalzamento da 46 a 60 la pressione arteriosa potrebbe schizzare da 120 a 180 con gravi danni alla salute, ma con un innalzamento da 46 a 48 passerebbe da 120 a 125 con danno probabilmente minimo.
È cioè necessario che siano scientificamente provati danni da piccoli incrementi per disincentivare chi utilizza l’EPO ai limiti del consentito per averne un vantaggio che, se ininfluente in assoluto, diventa significativo a livelli d’élite in cui pochi secondi possono far passare dal primo posto all’esclusione dal podio.
Come scoprire l’eritropoietina
I media danno notevole risalto al fatto che la rilevazione del doping da eritropoietina è cosa ormai facilmente praticabile. In realtà, le cose non stanno esattamente così.
Un vecchio studio franco-canadese (1996) mostra che la presenza dell’eritropoietina esogena è rilevabile fino a 7 giorni dall’ultima assunzione nel sangue e fino a 4 giorni nelle urine. I benefici permangono invece più a lungo (secondo il salto di ematocrito che ha generato).
Nel già citato studio dell’università di Verona inoltre si legge:
“Nei pazienti in terapia con EPO si osserva un rilascio dei reticolociti, i precursori dei globuli rossi, già 24 ore dall’inizio della terapia; l’incremento nel numero dei reticolociti raggiunge il suo massimo dopo 4-6 giorni e, senza ulteriori somministrazioni, la normalizzazione dei conteggi avviene dopo 8-10 giorni. L’aumento del rilascio di reticolociti può essere di tale entità da raddoppiare la quota circolante“.
Nel 2000, un’equipe del laboratorio francese di Chatenay-Malabry e diretta da Jacques De Ceaurriz ha proposto un particolare metodo di rilevazione dell’EPO attraverso le urine (lo studio fu pubblicato l’8 giugno 2000 sul mensile inglese “Nature”).
Il metodo si basa sull’analisi delle varie forme dell’eritropoietina (con proprietà elettriche diverse) che consente di evidenziare quella naturale da quella ricombinante. Anche in questo caso resta il problema della rapida scomparsa dalle urine dell’EPO.
Negli ultimi anni non sono stati fatti passi avanti particolarmente significativi relativamente ai test per l’EPO, tant’è che la WADA ha tentato una nuova strada: l’introduzione del passaporto biologico, una tecnica antidoping che consiste nel tracciare nel tempo i parametri ematici degli atleti. Questa tecnica (peraltro costosa e complessa da gestire) è una tecnica indiretta; attraverso il passaporto biologico non si rileva infatti la presenza di una sostanza dopante, ma si individuano le anomalie che tali sostanze inducono nell’organismo; ciò dovrebbe rivelare un’eventuale assunzione di sostanze proibite sia sul breve che nel medio e lungo termine.
L’adozione di questo strumento (che attualmente può essere utilizzato per rilevare in maniera indiretta l’utilizzo delle sole sostanze che agiscono sui parametri ematici, come nel caso dell’EPO) non ha mancato di suscitare numerose polemiche e la strada da percorrere sembra ancora molto lunga.
Attualmente sono in fase di studio nuove tecniche per l’individuazione dell’assunzione di EPO ricombinante e la novità più recente è costituita dall’apparecchiatura per imaging biomolecolare ImageQuant™ LAS4000 utilizzata nel corso delle olimpiadi di Londra 2012, ma, come detto, si è ancora lontani da una soluzione certa e definitiva della questione EPO.