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Enciclopedia delle terapie

In questo articolo riassumiamo lo stato attuale delle terapie per la gestione degli infortuni sportivi e del runner in particolare.

Terapie self

Le terapie self sono costituite da quegli interventi che il paziente può attuare da sé nel primo periodo successivo all’infortunio.

Antinfiammatori – Da usare solo nella prima fase (2-3 giorni) dei traumi acuti; altamente sconsigliati in quelli cronici in quanto, essendo anche antidolorifici, non fanno che “coprire” il problema consentendo un ulteriore (dannoso) sovraccarico sulla parte malata.

Cerotti antinfiammatori, bendaggi occlusivi con pomate antinfiammatorie, argilla, bagni in acqua con soluzioni saline ecc. – Hanno solo funzione drenante; possono sgonfiare una parte edematosa, ma non hanno una reale capacità disinfiammante.

Ghiaccio (crioterapia) – Utile solo nei traumi acuti; nelle patologie croniche è ottimistico sperare di risolvere (al massimo si può tenere sotto controllo) la situazione con l’applicazione di ghiaccio alla fine degli allenamenti.

Pomate antinfiammatorie – Se applicate con semplice lieve massaggio sono inefficaci (funzionano solo su ciò che sarebbe passato da sé!). Nessun ortopedico sportivo prescrive una pomata antinfiammatoria sulla parte dolente. Rispondono al bisogno psicologico del “cane che si lecca la zampa” ferita nella tagliola. Sono molto gettonate come automedicazione. Ultimamente, sono state potenziate (per esempio con formulazione al 2%, raddoppiando la precedente percentuale di principio attivo) e sono comparsi sul mercato nuovi prodotti come Cetilar). In ogni caso, se si vogliono impiegare, è necessario utilizzare una velina che le mantenga sulla pelle sufficientemente a lungo in modo da garantire la massima penetrazione.

Enciclopedia delle terapie

La crioterapia riveste utilità soltanto in caso di trauma acuto

Terapie soft

La classe delle terapie soft è costituita da tutte quelle terapie che hanno un’efficienza molto bassa. L’efficacia delle terapie antinfortunistiche si misura (o si dovrebbe misurare) con una formula molto semplice:

E=1-TG/TR

dove TG è il tempo reale di guarigione, mentre TR è il tempo necessario per guarire col solo riposo. Per esempio, una semplice peritendinite al tendine d’Achille richiede circa 15 giorni con il solo riposo assoluto; se si decide di curarla con la terapia X e il tendine guarisce in 10 giorni, si può affermare che il rendimento della terapia è del 33% (0,33).

Poiché gran parte degli infortuni più comuni hanno ormai un tempo standard di guarigione (per esempio una contrattura da 3 a 7 giorni a seconda della gravità, un’elongazione da 7 a 20 giorni ecc.), è possibile realmente capire quali terapie sono efficaci e quali no.

Purtroppo si deve rilevare che gran parte delle terapie ha un’efficienza molto bassa: idromassaggi, ultrasuoni, laser a infrarossi, ionoforesi ecc. sembrano essere semplicemente un insieme di palliativi con cui si fa scorrere il tempo sperando che sia proprio il riposo a effettuare la guarigione.

Molte patologie si risolvono in pochi giorni spontaneamente. Non ha perciò pregio il fatto che alcuni atleti nel loro caso specifico abbiano rilevato giovamento da una certa cura definita da noi “inefficace”. La nostra analisi prende in considerazione solo patologie che hanno un tempo di guarigione “naturale” di almeno 10 giorni. Considerate che l’effetto tempo è usato anche da molti terapeuti. Per una peritendinite uso dieci sedute laser, l’atleta non corre e il problema si risolve in 15 giorni; l’atleta deve però sapere che lo stesso problema si sarebbe risolto in 15 giorni con il semplice riposo.

Molti terapeuti non saranno d’accordo con l’impostazione critica di questo pezzo, ma è il frutto di un’esperienza pluriventennale non inquinata da alcun interesse commerciale o di altro tipo. L’ottimismo con cui molti terapeuti (ecco come sceglierlo) propongono in buonissima fede terapie non molto efficaci deriva soprattutto dall‘effetto fuga. L’effetto fuga è il meccanismo per cui il paziente si stanca della terapia che risulta inefficace e la tronca (o la sospende al termine naturale inizialmente proposto dal terapeuta) facendo credere al terapeuta che abbia avuto un ottimo effetto. Il terapeuta inserisce l’atleta nella sua statistica positiva e al prossimo caso riproporrà la terapia in oggetto!

Da una mia statistica almeno il 60% dei rapporti atleta-terapeuta si concludono con l’effetto fuga. Non per nulla l’ortopedia, dopo la psichiatria, è la disciplina medica che vanta il maggior numero di insuccessi.

Agopuntura – Poiché ha effetto antidolorifico, è indicata solo per accelerare guarigioni in cui è coinvolta la parte nervosa (sciatalgie e lombosciatalgie); da evitare su patologie infiammatorie perché l’effetto antidolorifico maschera il dolore e può portare a “correre sul dolore” (che non si sente), allungando all’infinito i tempi di guarigione.

Bite dentale – L’ipotesi che una cattiva occlusione sia responsabile di problemi ortopedici non è mai stata dimostrata e l’ottimismo deriva dal fatto che il bite può in alcuni casi curare disturbi vicino alla zona dentale (cervicalgia, cefalea ecc.).

Elettrostimolazione – I risultati antalgici (contro il dolore) sono molto modesti; nelle patologie di sportivi ben allenati, l’ulteriore potenziamento muscolare non ha nessuna funzione curativa. Utile per il recupero funzionale dopo inattività successiva a intervento.

Ionoforesi – Introduzione di un farmaco nell’organismo attraverso l’epidermide mediante una corrente continua prodotta da un apposita strumentazione. I risultati sono scarsi, non superiori a quelli dei moderni cerotti transdermici.

Massaggio – Indicato nella sola cura delle contratture muscolari e nella fase di recupero delle distrazioni muscolari (dopo le prime due settimane). Massaggiare bene è un’arte. Non fidatevi di personale non esperto.

Laser a bassa potenza – Nullo.

Ultrasuoni e terapie a onde elettromagnetiche – In letteratura alcune ricerche dicono che dovrebbero dimezzare i tempi di recupero nelle patologie indicate; ciò sarebbe possibile solo con applicazioni molto frequenti e lunghe della terapia. Usarli 4-5 volte alla settimana per 10′ vuol dire ridurre al 10% la loro efficacia, cioè in pratica ridurla a zero.

Elettrostimolazione

L’elettrostimolazione è utile quando si deve recuperare la tonicità di uno specifico gruppo muscolare, per esempio dopo un intervento chirurgico

 

Terapie hard

Sono terapie in genere a cui si arriva dopo la visita dall’ortopedico sportivo. Sono eseguite da personale molto qualificato: diffidate di chi non ha una sufficiente preparazione medico-scientifica perché non si possono applicare su tutti i pazienti nello stesso modo. La personalizzazione della terapia passa attraverso la piena comprensione della patologia e del paziente.

Chiropratica e osteopatia – Sono discipline meccaniche che non risolvono tutti i problemi (in particolare quelli da sovraccarico), ma solo quelli generati da disequilibri meccanici del corpo. Diffidate di chi vi propone un numero troppo elevato di sedute.

Fibrolisi – Indicata in tutti quei casi in cui esistono formazioni fibrotiche più o meno superficiali.

Infiltrazioni – Da praticarsi da parte del solo ortopedico/medico sportivo. Di solito con cortisonici: sono da valutare con cura per i pro e i contro, dipendenti dalla storia dell’atleta e dalla patologia. Da sconsigliare in situazioni croniche.

Laser ad alta potenza – Può essere utile nelle infiammazioni ben localizzate. Se dopo 3-4 sedute non vi è alcun miglioramento è inutile arrivare alle canoniche dieci sedute: la patologia non risponde al trattamento.

Litotritore – Ormai si usa un po’ per tutto, ma risulta efficace in una buona percentuale di casi (30-40%) solo dove esistono formazioni (calcificazioni, spine calcaneari ecc.) che possono essere distrutte con le onde d’urto.

Mesoterapia – Da praticarsi da parte del solo ortopedico/medico sportivo. Come nel caso delle infiltrazioni è sconsigliata in situazioni croniche.

Tecarterapia – Ha la sua patologia d’elezione nello strappo muscolare di cui dimezza i tempi di recupero.

Tecarterapia

Una delle azioni chiave della tecarterapia è quella relativa alla stimolazione della microcircolazione

Terapie out

Le abbiamo lasciate per ultime perché possono essere trattate sia nella prevenzione sia nella cura e riabilitazione di un infortunio: si tratta di

potenziamento muscolare, stretching e plantare.

Se per la prevenzione possono essere interessanti, quando si è infortunati la loro valutazione cambia e di molto. La novità che propongo è di considerarle, da un punto di vista logico, come del tutto inutili durante la fase che porta l’atleta alla guarigione. Prima di essere crocifisso dagli addetti ai lavori, cerchiamo di ragionare un attimo con la testa e godiamoci il paradosso dell’impiegato.

Il paradosso dell’impiegato – Arturo è un sedentario, giovane, sui venticinque anni, magro perché la natura è stata buona con lui e può abbuffarsi di bignè senza (per ora) ingrassare. Fa un lavoro totalmente sedentario: otto ore davanti a un terminale. Come se non bastasse, quando torna a casa, cena e poi si butta sul divano a guardarsi la televisione. Insomma: più antisportivi di così si muore. Un giorno, impazzisce. Decide di incominciare a correre e, sfruttando la sua giovane età, tenta un’impresa impossibile: il giro del parco cittadino, cinque chilometri, metro più metro meno. Parte molto piano per evitare scoppiature e soprattutto quell’odioso fiatone che rende il runner così penoso. Stimolato dalle giovani fanciulle che gli corrono accanto, non si accorge dei chilometri e dopo circa mezz’ora è in vista del traguardo e può permettersi anche un incredibile sprint finale di cento metri o più. L’indomani ha le gambe a pezzi, ma la terribile sensazione dura solo qualche giorno: la domenica successiva è pronto a ripetere l’impresa.

La morale – Direte voi: che c’entra con le terapie out? Secondo voi Arturo è muscolarmente potente? Ha fatto stretching? Ha usato un plantare (chissà dove ha preso le sue scarpacce!)? La risposta è: NO. Cosa significa tradotto in termini concreti? Potenziamento, stretching e plantari, se possono prevenire, non possono curare. Infatti Arturo senza questi mezzi è riuscito a correre senza alcun dolore durante l’azione di corsa (mitico lo sprint finale…) e la domenica successiva era pronto e pimpante.

Perché queste terapie si chiamano out? Perché devono essere al di fuori del ciclo di cura. Il ragionamento da fare al medico è questo:

Se Arturo ce l’ha fatta a correre per cinque chilometri, dottore io sto fermo, ma mi riporti a essere un sedentario che riesce a correre senza dolore per cinque km, poi si parlerà di potenziamento, di stretching e di plantari.

Plantare – Il plantare non ha nessuna funzione curativa, ma solo preventiva. Quindi: prima guarite dal problema e poi pensate a un plantare. Il plantare può essere indicato per tutti coloro che hanno problemi all’inizio della loro vita sportiva per chiari problemi d’appoggio.

Stretching – È stato ormai dimostrato che lo stretching non previene né cura le patologie. Notate la finezza: è importante nel recupero post-infortunio quando l’atleta è guarito e deve riprendere.

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