Il concetto di distanza salutistica è particolarmente interessante. Vediamo di cosa si tratta. Un vero sportivo non può non considerare l’aspetto salutistico dello sport che pratica e per chi si dedica alla corsa è naturale chiedersi quale sia la distanza più salutistica. Per la risposta occorre considerare alcuni punti ormai scientificamente consolidati: 1) i benefici della corsa non sono eterni, ma vengono meno al massimo dopo 12 mesi che si è cessata l’attività; 2) i principali eventuali danni della corsa riguardano l’apparato locomotore. Il primo punto è alla base del mio concetto di wellrunning, il correre per vivere meglio, il correre per sempre. Un’attività amatoriale di cinque o dieci anni per poi tornare fra le fila dei sedentari non è poi un grande aiuto alla nostra salute. Il secondo punto da una parte ci rassicura che la corsa non fa male al nostro cuore (come spesso pensano i principianti timorosi di eccedere) e dall’altra ci dice che per ognuno di noi esiste una distanza critica superata la quale, nella singola seduta, aumentano enormemente le probabilità di innescare un infortunio. Alla luce di questi due punti esaminiamo le distanze più comuni del fondo.
Ultramaratona
È abbastanza evidente che l’ultramaratona non può essere una distanza salutistica. Innanzitutto molti runner vi giungono impreparati (relativamente alla distanza) e ciò significa fare del male al proprio corpo (uno dei principi cardine dell’allenamento salutistico è che si corre una distanza quando si è preparati a essa); inoltre è l’unica distanza per la quale esistono anche danni non ortopedici. In letteratura vi sono ricerche, accettate anche dai sostenitori delle ultramaratone, che parlano di effetti collaterali non da poco:
- diminuzione preoccupante del colesterolo totale (ricordiamo che una sua diminuzione sotto i 130 mg/dl facilita lo sviluppo di tumori);
- indebolimento del sistema immunitario (con lo sviluppo di infezioni più o meno ricorrenti);
- casi di depressione (si inverte cioè l’effetto della corsa).
In altri termini, come per moltissime altre situazioni, non è affatto vero che aumentando all’infinito il fattore positivo sotto studio (la corsa) questo resti positivo.
Inoltre si possono esprimere anche dubbi psicologici sull’atleta. In genere chi corre le ultramaratone vuole provare a infrangere limiti, personali o assoluti. Come ha scritto in un suo libro l’ultramaratoneta Karnazes, “vuole arrivare dove non è mai arrivato nessuno”. Purtroppo questo ragionamento aumenta arbitrariamente il valore dell’impresa per il semplice fatto che arrivare dove non è mai arrivato nessuno quando nessuno o pochi provano ad arrivarci non è una grande impresa. Se un atleta vuole arrivare dove non è mai arrivato nessuno perché non prova a correre i 10 km in 25′? Preso atto che la sua caratura atletica su distanze inferiori è modesta e non migliorabile, l’ultramaratoneta si illude di avere una maggiore visibilità allungando la distanza.
Dopo tutte queste considerazioni non c’è nemmeno bisogno di dire che solo una percentuale minima di runner ha una distanza critica compatibile, per esempio, con una 100 km. Sperare di essere fra questi è veramente ottimistico se non si hanno dati oggettivi che il proprio fisico è inossidabile (non basta cioè crederlo!).
Maratona
Meno del 10% della popolazione ha una distanza critica uguale o superiore ai 42 km. Ciò significa che meno del 10% può correre la maratona per sempre. La buona notizia è che i problemi salutistici non ortopedici evidenziati per le ultramaratone non si verificano per la maratona.
Restano però gravi problemi di tempo; molti allenamenti durano anche due ore e i lunghissimi arrivano a tre e oltre. Ciò porta molti runner a sottoallenarsi nella speranza che basti quello che hanno fatto. Questo quadro non intacca il fascino della prova, ma sicuramente non la elegge a regina del salutismo.
Mezza maratona
La curva della distanza critica è proprio centrata attorno ai 24 km per gli uomini e 20 per le donne, quindi circa il 50% della popolazione può allenarsi per la mezza maratona senza quei problemi ortopedici di cui al punto 2.
Il 50% non è però del tutto rassicurante; se si tiene conto che molti allenamenti per la mezza maratona superano abbondantemente l’ora, si comprende anche che per allenarsi bene per questa distanza occorre una disponibilità di tempo nella giornata che supera quella soglia psicologica che uno sportivo amatore dedica all’attività fisica. In sostanza la situazione della mezza è un miglioramento di quella della maratona, ma non è ancora ottimale.

Un vero sportivo non può non considerare l’aspetto salutistico dello sport che pratica e per chi si dedica alla corsa è naturale chiedersi quale sia la distanza più salutistica
10 km
Finalmente ci siamo:
i 10 km sono la distanza salutisticamente migliore.
Innanzitutto perché l’essere ben allenati a essa comporta automaticamente l’arrivare ai livelli che la ricerca medica (dallo studio di Harvard in poi) ha definito essere quelli più salutistici (le 6-8 ore di allenamento settimanale); non a caso il mio Fit People Test si basa proprio sui 10 km: a prescindere dall’età e dal sesso, una persona che non riesce a percorrere 10 km in un’ora non si può certo dire in forma!
Inoltre per preparare la distanza è sufficiente una disponibilità temporale nella giornata che è in genere comunque allocata per chi vuole fare sport (un paio d’ore fra preparazione, allenamento, doccia).
Altro dato importante, la distanza combina meccanismi aerobici con situazioni anaerobiche; in altri termini, consente al fisico di rimanere “giovane”. Che senso ha correre a 80 anni la maratona in 6 ore, se poi quando “corro” 100 m ci impiego 30″ ed evidenzio tutta la mia vecchiaia?
Solo un 5% fra gli uomini e un 10% fra le donne non riesce a reggere i 10 km (la distanza critica è cioè inferiore), per allenarsi ai quali bastano tre allenamenti settimanali. Non resta che consigliare a questi soggetti di indagare i propri problemi ortopedici o i loro piani di allenamento (per esempio, molti risolvono i problemi ortopedici correndo appunto tre volte alla settimana anziché sei!); se ci sono problemi al ginocchio o alla schiena non ha senso ignorarli solo perché a 40 anni si sta bene: a sessanta si starà molto peggio e a nulla varrà prendersela con il destino, soprattutto se gli si è data una grande mano non facendo nulla. Non ha cioè senso la teoria del “runner naturale”, un soggetto che può correre, mentre la maggior parte delle persone incappa prima o poi in infortuni. Chi esprime simili concetti quasi sempre ha una piccola patologia invalidante: non volendo ammettere di essere “non sano” preferisce dare la colpa alla corsa!