Le cause dell’infortunio nello sport posso essere tantissime e si possono scrivere (e vengono scritti) libri a riguardo. Non è però difficile scoprire che è altrettanto possibile raggruppare molte cause sotto una sola importantissima componente psicologica: l’ambizione. Pensiamo, tanto per fare un esempio, a chi usa scarpe ultraleggere per correre la maratona (o, peggio, anche per effettuare gli allenamenti di preparazione alla gara) pur di guadagnare qualche secondo oppure al tennista che si sottopone a pesantissime sedute in palestra per migliorare la forza del proprio braccio. Gli errori quantitativi e/o qualitativi sono spesso compiuti per la necessità di raggiungere un obbiettivo. Se l’obbiettivo è sfidante, ma realistico, le probabilità di infortunio restano accettabili, se è irrealistico e l’atleta fa di tutto per cercare di centrarlo, l’infortunio è quasi certo. Nel caso specifico del runner si può enunciare la seguente regola:
la probabilità di centrare l’obiettivo e quella di infortunarsi durante la preparazione sono complementari all’unità.
Detto in termini più semplici, se ho il 50% di probabilità di centrare l’obiettivo, ho il 50% di probabilità di infortunarmi; se invece le probabilità di realizzare l’obiettivo sono il 90%, la probabilità di infortunio scende al 10%.
Ovviamente si tratta di una regola empirica che ho però verificato moltissime volte. Quando un atleta mi parlava di un obiettivo praticamente impossibile (per esempio, correre la maratona in 3h nel giro di 3 mesi quando il suo record, fatto dando l’anima, era 3h18′), o dopo poche settimane capiva e abbandonava ogni velleità oppure s’infortunava prima della gara.
Per questo è saggio usare la politica dei piccoli passi e porsi sempre obiettivi sfidanti, ma molto realistici, per esempio con una probabilità almeno dell’80% di realizzarli.
Insomma, in altre parole: lasciate che a rischiare siano i campioni.