Senza arrendersi mai
Si è quello che si è… provati dal tempo e dal destino, ma sempre decisi a lottare, cercare, trovare, senza arrendersi mai.
(Ulisse – Alfred Tennyson, 1809-1892)
La Mail
Dopo circa 20 anni di un bellissimo rapporto con la corsa, mi sto disamorando e la cosa non mi piace. Iniziai a correre per dimagrire, avevo alle spalle 10 anni di ginnastica aerobica ed adoravo sentire i muscoli agili e caldi con il sangue che ti scorre veloce nelle vene. Con la corsa queste sensazioni si sono amplificate anche grazie al fatto di correre in campagna. Poi sono venuti gli allenamenti mirati, le gare, qualche vittoria a livello locale ecc.
Però ora mi pesa, non mi diverto più, direi che “non gioco più”, è come un lavoro. Quindi c’è qualcosa che non va nel rapporto con la corsa . Dopo uno stop di tre mesi per infortunio la ripresa non c’è, ma non solo a livello fisico, mi alleno senza passione, vado a fare le gare perché sono nel giro degli amici ma la fatica non mi appaga più! Ho pensato:
1 – Mollo la corsa, si vive anche senza, ma l’aspetto salutistico dove lo metto?
2 – Mollo la compagnia con cui corro e mollo le gare (ma essendo la gran parte dei miei rapporti umani, uomo compreso, concentrati nell’ambiente del podismo rimarrei sempre invischiata).
3 – Ciclismo – e qui c’è il “problema tempo”; in due ore non si fa un granché senza considerare che non saprei nemmeno da che parte cominciare, so solo andare in bici. Come ne usciresti tu? Carla.
Il direttore
Quello che ti succede accade a tanti, non a caso la vita media di un runner è attorno ai 5 anni. Molti si stufano semplicemente perché non amano quello che fanno, ma perché vi sono stati trascinati dai risultati che hanno ottenuto. Per risultati non parlo di vittorie, di gare ecc., ma di qualunque gratificazione se ne abbia: i chili persi oppure amici trovati oppure la sensazione di sconfiggere lo scorrere del tempo per un’efficienza fisica mai avuta. In realtà, dietro a quelli che noi chiamiamo hobby c’è spesso un immediato riscontro pratico. Un riscontro poco spirituale, e alla fine effimero. Se vuoi, anche la preoccupazione per la propria salute è troppo pratica. Ci vuole qualcosa di molto più intimo per continuare per sempre ad amare qualcosa (e allora un hobby diventa un oggetto d’amore). È quella vocina che ho descritto in quella pagina che forse non hai letto.
Faccio molte cose, ma in quello che faccio cerco di metterci un po’ di spiritualità. A volte parlo con runner che mi snocciolano tempi e gare: capisco che dureranno poco perché non c’è nulla di intimo in quello che fanno. Se spiegassi loro che non è che conti correre a 4’/km oppure arrivare prima di Tizio o di Caio, sono sicuro, non capirebbero. Per esempio, non capiscono perché gareggi ormai poco rinunciando a premi o a giornate socializzanti in favore di una corsa nei miei campi, da qui a lì, con il cronometro che segna un secondo meno di 17′. So benissimo che da qui a lì non è scientifico, ma è molto più motivante perché “sono contento di farlo”.
Non a caso, parlando del fondo progressivo l’ho definito il miglior allenamento per il wellrunner. Parti magari stanco, poi le gambe incominciano a ingranare e alla fine, magari per un refolo di vento fresco in faccia, ti viene voglia di tirare l’ultimo mille, al massimo, per scoprire che sai ancora soffrire.
Molti mi hanno accusato di dare scarsa importanza alla spiritualità, ma non è così. In genere confondono un sentimentalismo che dovrebbe giustificare anche le azioni più assurde con la vera spiritualità, la profonda conoscenza di ciò che si vive. Senza conoscenza non c’è spiritualità, quindi quando c’è confusione (come quando si è accecati dalle passioni) non si può parlare di spiritualità. Molte persone hanno passione per questo o per quello, ma non hanno amore. Sicuramente molti runner hanno più passione di me per la corsa, non mancano una gara e parlano solo di corsa, ma spesso sono i primi a mollare perché la passione è effimera, l’amore è eterno.
Tu dici “mi alleno senza passione“, io non corro per passione, corro e basta; quando ho voluto vedere i miei limiti mi sono allenato come un professionista, oggi corro e basta, magari sfidando in un’impossibile gara una bicicletta che trovo sul percorso oppure andando pianissimo con un amico che ha appena cominciato a fare sport. Ma amo correre. C’è un timer interno che mi porta a farlo. Come in tutte le cose che ho fatto e che faccio c’è una profonda gratitudine per quello che mi hanno dato e le faccio anche per dir loro grazie di avermi fatto diventare come sono.
Tu mi chiedi come ne uscirei, ma forse non posso risponderti perché io non ci sarei mai entrato. In fondo mollare ciò che si è amato è incominciare a smettere di amare la vita e io non penso proprio di farlo. Se poi il mille finale ti è venuto lentissimo che importanza ha? Ci ridi sopra e ti riprometti di riprovarci il prossimo giorno che il sole ti spingerà ancora al massimo le tue gambe.
Nessun premio, nessun applauso, solo la voglia di vivere.
L’immagine
Slowy Gonzalez
Quando si dice che fare sport aiuta a restare giovani fisicamente e mentalmente…
Allego una foto purtroppo non perfetta in quanto reperita su quotidiano; il signore in questione è Manuel Gonzalez Munoz (Mexico) categoria M95, classe 1912, ha corso vincendo l’oro nei 100 m ai mondiali master di Riccione con il tempo di 46″02.
Ho spedito la foto in quanto l’ho trovata molto comunicativa e mi ha fatto provare belle sensazioni personali, ha generato in me tante riflessioni, ed un bel sorriso che spero coinvolga anche voi!! Complimenti per il sito che migliora continuamente!! L.
Ti ringrazio della foto perché mi dà modo di comporre uno dei miei soliti commenti controcorrente (ma equilibrati, spero!). Infatti quando ho letto la tua mail non sono rimasto particolarmente colpito. Probabilmente perché la mia visione dello sport e della vita è più critica e prevede una certa “dignità”. Prima di commentare l’impresa di Munoz, un aneddoto.
Qualche anno fa a settembre ho partecipato a una corsa FIDAL vicino a dove abito; tiravo una grande promessa dell’atletica italiana (ha circa 60 anni, ma per le prossime olimpiadi dovrebbe vincere l’oro nei 10000 m) che voleva fare il personale. Al via non si poteva non notare lo squallore rispetto a una decina di anni prima, quando alla stessa corsa (ma in provincia di Pavia è l’intero movimento che è in crisi) partecipavano numerosi fortissimi atleti amatori. Con il tempo del terzo classificato (un altro amico del sito) dieci anni prima arrivai oltre la ventesima posizione. Gianbattista però era “nuovo” ed era motivato, grande gara, 4’24″/km record con una volata alla morte inseguendo un ragazzo che ci aveva fatto da riferimento per gli ultimi km. Consegnai il cartellino, meccanicamente, come ogni volta. Dopo la doccia ce ne stavamo andando quando mi chiamarono per la premiazione, ottavo degli over 50. Il solito sacchetto… Dieci anni prima gareggiavo nei quarantenni e non vinsi nulla, ma vuoi mettere la soddisfazione di arrivare a un minuto da gente che era stata in nazionale vent’anni prima! Quella volta a parte il fiato che avevo speso per incitare Gianbattista, avevo solo partecipato e non meritavo certo nessun premio.
Mentre facevo la doccia, incontrai un mio avversario diretto (quei due o tre di pari forza con i quali ci scanniamo quando diamo il massimo). Lo scellerato mi raccontò la sua esperienza (senza allenamento, ci tenne a precisare) del Mont Blanc: 163 km in 44 ore circa, gli ultimi 30 km in 10 ore. “Però – precisò – ho ripreso bene e ho già corso 4 gare!”.
Io penso che a molta gente manchi la dignità della propria impresa e che scambi la partecipazione per vittoria. Questa frase dovrebbe averti fatto capire perché Munoz non mi abbia colpito. Nelle categorie master spesso si gareggia “unici” e basta arrivare e si vince un mondiale. Sono certo che molti arzilli novantacinquenni avrebbero battuto facilmente Munoz. Perché ne sono convinto? Perché il record mondiale dei 100 m M95 è del giapponese Haraguchi con l’incredibile tempo di 21″69!!!
La ricerca ci fa correre…
La ricerca è del Center for Health Promotion and Education di Atlanta.
- Correre per meno 15 chilometri alla settimana è inutile: l’attività fisica è troppo blanda per essere utile contro le patologie cardiovascolari.
- Se la distanza raddoppia iniziano i benefici su colesterolo HDL, pressione sanguigna, glicemia e trigliceridi.
- Se si arriva a circa 75 km alla il rischio di disturbi cardiaci e circolatori è dimezzato.
- La resistenza delle ossa delle donne che hanno sempre corso risulta, rispetto a quella delle donne sedentarie, maggiore del quaranta per cento.
- Il dato originale della ricerca è che, facendo un po’ di conti, ogni minuto della vita trascorso correndo ne aggiungerebbe altri tre al tempo che resta da vivere.
Sono le notizie che sosteniamo da anni nel sito; peraltro sono concetti noti da diversi decenni, quindi l’aspetto interessante non è tanto la notizia in sé quanto che questa informazione sia stata evidenziata su un quotidiano.
Mi aspetto la risposta di un giornalista sedentario che scovi una ricerca in cui si sostiene che la corsa faccia malissimo…
Per ridimensionare certi fanatismi della corsa e dello sport, ecco una barzelletta…
Un sacchettaro ha un’apparizione nel sonno. È San Pietro, al quale chiede: “Scusa, San Pietro, ti prego, lo so che ti sembrerà esagerato, ma potresti dirmi se nell’Aldilà organizzano gare di running alla domenica? Non posso dormire senza sapere se quando verrà il mio giorno potrò ancora gareggiare, qualunque gara, dagli 800 alla maratona, salite, campestri…”.
E San Pietro: “Veramente non saprei dirti, l’addetto allo sport è San Tommaso, ma voglio aiutarti, andrò a chiederglielo e poi ti riapparirò in sogno”.
Passano alcuni giorni e San Pietro riappare in sogno: “Ho buone notizie per te. In Cielo organizzano gare di corsa tutte le domeniche.”
Il runner non ancora soddisfatto: “E premiano?”.
“Certo, sacchetti con premi in natura!”.
“Grazie San Pietro, grazie”.
Dopo un attimo di esitazione San Pietro aggiunge: “Dimenticavo, c’è anche una brutta notizia… Che numero hai di tessera?”
“Perché?”
“Sei già iscritto alla gara di domenica.”
“Ah bene, sai dirmi quanti ne premiano della mia categoria?????”.
Broken dreams (sogni infranti)
Teo mi segnala un “interessante” intervento sul forum di Stefano Baldini. Un po’ di malavoglia (non amo i forum), sono andato a leggermi l’intervento e devo ammettere che l’ironia di Teo era ben più che giustificata.
Premesso che i numeri del forum di Stefano, campione olimpico, mondiale, europeo, umanamente gentile, good-looking ecc. sono molto bassi, a riprova che i forum interessano a una percentuale minima di persone (spesso le più disponibili alla discussione, termine che io leggo come polemica, litigio ecc.), devo dire che l’intervento è l’espressione non di veri valori sportivi, ma di una personalità che cerca solo visibilità attraverso lo sport, proprio quella visibilità che il nostro sito cerca di combattere perché alla fine sfocia in un “integralismo” che non fa certo bene al movimento. Amare la corsa va bene, ma “esaltarsi per essa” un po’ meno perché non si sarà mai in grado di contagiare il sedentario che non ci vede come persona equilibrata che propone qualcosa di positivo, ma, appunto, come esaltato, fanatico, esagerato.
Lo scrivente si lamenta che all’arrivo della maratona di Milano non ha ricevuto la medaglietta (non conosco le dimensioni, ma il vezzeggiativo è per ridurre il valore “etico” della “cosa”). È abbastanza evidente che è di quelli che trasforma la partecipazione in vittoria. Riporto una frase che colpisce per la sua toccante epicità: nonostante i crampi, traumi, malori, perseveranza, ottimismo, perché sapevamo che dovevamo tagliare il traguardo a tutti i costi…
Chi accusa malori o traumi (?) durante una maratona non è certo un eroe, è solo una persona che ha sbagliato completamente preparazione. E poi, quell'”a tutti i costi”…
Non c’è solo la maratona nella vita. (Beh Direttore, sii comprensivo, il ragazzo era sotto shock, ha fatto un po’ di casino, insieme ai traumi ha messo anche l’ottimismo… – N.d.R.).
Il racconto continua con la fatidica medaglia che appena tagliato il traguardo la potevamo indossare con onore, un simbolo della preparazione di mesi, di sogni, di autostima, di spirito sportivo, di successo e di gloria!
Cavolo, si è anche preparato mesi per poi avere malori e traumi!
Detto per inciso che onore e sogni sono tipici del romantico, personalità che per il Personalismo è decisamente negativa, la parola magica della frase è autostima. Lo ripeterò fino alla nausea: se cercate la vostra autostima in una prestazione sportiva, siete messi male perché sarà sempre fragile, di cartapesta. L’autostima non deve dipendere dai risultati, ma da un equilibrato amor proprio.
Che successo è terminare una maratona, un’impresa riuscita anche a un anziano di 92 anni?
Dov’è la gloria, visto che l’atleta resta sempre e comunque un signor Nessuno?
>dov’è la mia medaglia??? e mi aspettano due tipi per darmi un pezzo di carta… dicendomi questa è la medaglia… un pezzo di carta… senza valore… (mi hanno detto pure che se voglio me ne avrebbero dati due)… senza data… senza nome della città… un puro e semplice e misero foglio, il sogno durato 42 km si e’ volatilizzato… come cenere al vento… tutti i sogni degli atleti hanno preso il volo…
Bellissimo, degno del miglior Manzoni o… di una grande pagina umoristica. In effetti mi fa ridere pensare che tutte le medaglie e le coppe che mi danno semplicemente per aver partecipato le riciclo ad altri gruppi o le butto perché sono ingombranti e “inutili”…
In un post successivo lo scrivente annuncia che la medaglia gli sarà recapitata a casa. Soddisfatto conclude che: “Lo sport vince sempre!!!”.
Sottoscrivo il commento di Teo: Mah! Io credo proprio che non sappia cosa sia lo sport…
Wellrunness
La visione del running che il sito propaganda (wellrunning) ha suscitato moltissimo interesse e molte mail. Ne ho scelte due, in antitesi. I commenti in nero sono i miei.
Ciao dottore,
massima sintesi: come posso applicare la “regola del tre”, senza provare una 100 km?
Semplice. Se corri la maratona a 5’/km dovresti correre la 100 km in 10h30′ a 6’18” al km. Tu parti a questa velocità e vedi fin dove arrivi. Se non tieni più il ritmo, ritirati. Il ritiro è un’onta solo per gli sciocchi e in una visione punitiva dello sport e della società. Quando serve per preservare la nostra salute non è consigliabile, è doveroso. La stessa cosa dovrebbero fare tutti quei maratoneti che, partiti per correre la maratona in 3h, arrivati al 32-esimo km crollano e arrivano sulle ginocchia in 3h20’…
Mi affascina la gara, corro la maratona in 3h30′ e per preparare la 100 Km faccio riferimento alla preparazione di Orlando Pizzolato. Ovviamente è molto impegnativa, in alcune doppie sedute è durissima, e a parer tuo, è deleterio correre così… ” Se non si è preparati, astenersi da sforzi simili “, oppure, ” bisogna avere il coraggio di ammettere che la maratona non è per tutti “, e ancora,” non è eroico correre una maratona e finirla a tutti i costi, anzi..”, queste sono considerazioni che ti appartengono, ma bisogna pur cominciare da qualche parte e se non provo non potrò mai conoscere i miei limiti e quindi migliorarmi in funzione di essi…
Nel mio libro (Il manuale completo della maratona) traccio il percorso ideale alla maratona. Questo percorso passa attraverso l’ottimizzazione di diversi fattori, i più importanti dei quali sono il peso e il proprio tempo sui 10000 m. Chi non corre i 10000 m in 40′ è inutile che pensi di poter correre la maratona in meno di 3h10′, chi non riesce a correrli in 50′ si può solo illudere di correre la maratona in meno di 3h50′ ecc. Purtroppo queste banali equazioni sfuggono ai runner che, come giustamente dici, “sono affascinati” dalla grande impresa.
Quindi perché non mettersi alla prova per sapere quali sono i propri limiti su 10 km? Che bisogno c’è di continuare ad allungare? Forse proprio per illudersi di non avere limiti, di non invecchiare ecc. Ma i propri limiti si deve pure accettarli. Del resto se un Tergat arriva alla maratona con rispetto e dopo anni di carriera, come è possibile che un sedentario dopo magari neanche un anno pretenda di correre la maratona “scoprendo i suoi limiti”?
A mio modesto parere, trascuri chi non ha ancora una certa condizione, ma vorrebbe applicarsi in tal senso…un passo alla volta. Io nel sito non ho trovato molte indicazioni al riguardo, ma il popolo dei maratoneti è composto prevalentemente da corridori in fase di crescita, che hanno personali di 4h 4h30′ e 5h… Meglio incitarli a migliorare, con pazienza, anziché minimizzare il loro sforzo, riducendone l’importanza.
Infatti, ma devono capire che migliorare non significa massacrarsi di km. Ieri parlavo con un runner che mi diceva che era scoppiato dopo 15 gg. della preparazione della maratona per correrla in meno di 3h. Io gli ho fatto presente che condizione necessaria (ma non sufficiente!!!) per correre la maratona in meno di tre ore è di correre i 5000 m in circa 18’30” (lui li corre attorno a 19’45”!): gli è crollato il mondo addosso e ha voluto che gli spiegassi i motivi fisiologici del mio asserto.
Una maratona conclusa, sempre, è una straordinaria iniezione di autostima e di fiducia (a volte l’unica) in percorsi di vita non propriamente “esaltanti”…
Questo, se mi permetti, non lo condivido. Sinceramente penso che l’autostima di una persona non debba dipendere dai risultati che ottiene nella vita. Ma soprattutto non può barare con sé stessa e scambiare la partecipazione con vittoria. Ti assicuro che è molto più difficile migliorare il proprio personale sui 10000 m di un minuto che finire una maratona. Ti invito a questo proposito a leggere nel manifesto del wellrunning la differenza fra wellrunning e sacchettarismo.
Non ci conosciamo, ma penso che anche per te l’amicizia sia un valore importante. Tu pensi che io stimi i miei amici runner a seconda che finiscano o meno la maratona? Che corrano o no la maratona (alcuni di loro non l’hanno mai corsa!)? Li stimo perché nelle cose che fanno buttano sempre il cuore oltre il traguardo, a volte anche cadendo e non ottenendo nulla. Focalizza: non è necessario essere maratoneti per sentirsi a posto con sé stessi. Prova questo test: corri 1000 m al massimo. Al massimo vuol dire non da maratoneta, ma partendo quasi come se fossero cento m, un suicidio agonistico. Dopo 200-300 m hai un fiatone terribile, le gambe verso i 500 si fanno di marmo, ma tu continui; verso gli 800 gli occhi vedono tutto nero, ma tu vai avanti. Alla fine arrivi e ti butti per terra esausto, con le spalle che ti fanno male tanto è l’acido lattico accumulato. Quanti maratoneti o ultramaratoneti sanno sopportare simili livelli di fatica? È più facile rallentare e fare un km in più…
L’autostima a cui mi riferisco, è quella componente che spesso sbiadisce a causa di routine e monotonia troppo presenti oggigiorno. A parer mio, in molti casi, partecipazione e vittoria sono la stessa cosa, (sedentario 40nne che si avvicina alla corsa e spinto dall’entusiasmo, partecipa ad una maratona, concludendola…se questa non è iniezione di fiducia…), soprattutto quando la scoperta di sensazioni come la corsa offre spiragli di luce nel grigiore quotidiano…
Non so se hai letto il corso sull’amore nella sezione di psicologia.
Quello che tu dici è corretto, ma non è che una “pezza alla vita”, mentre in realtà si può avere di più. Una semplice analogia; se sei ammalato hai due strade: o prendi farmaci che ti curano i sintomi (sintomatici) per avere meno fastidi oppure assumi farmaci che rimuovono le cause della malattia. Probabilmente in entrambi i casi (se i farmaci funzionano) starai meglio, ma spesso, se assumi dei sintomatici, la malattia dura di più e a volte si ripresenta perché la causa non è stata rimossa.
Io nella vita sono per l’uso di farmaci causali perché i sintomatici danno una sicurezza effimera.
Il grigiore quotidiano si sconfigge con l’amore in qualcosa e con la capacità di amare. L’errore che compie il runner che fa della corsa uno strumento di autostima è che è diventato schiavo del suo oggetto d’amore. La corsa diventa una droga della quale non può più fare a meno. E droga significa schiavitù. Nel momento stesso in cui il mal di schiena o un serio infortunio non gli permetteranno più di correre ricadrà vittima del suo grigiore. Dovrebbe invece usare la corsa per capire che il trucco è semplice: per uscire dal proprio grigiore basta amare qualcosa senza esserne schiavi e, cambiando i suoi occhi verso il mondo, vedrà che ci sono tante cose da amare. Non ha quindi importanza finire una maratona, anche correre a perdifiato 1000 metri e poi buttarsi sull’erba è una cosa bellissima.
Credimi, esistono queste situazioni, e sono tangibili, associate talvolta a personalità non fortissime, spesso vulnerabili e bisognose di ” scosse “, e la corsa è un veicolo sociale straordinario…
E non è meglio rafforzare la propria personalità, anziché illudersi di averla forte e crollare nella vita quotidiana. Certo, mentre si prepara una maratona ci si può stimare, ma si corre un’ora al giorno. E le altre 23???
….
Se per partecipare ad una maratona bisogna aver un tempo di previsione iniziale di 4 ore, ben pochi oserebbero avventurarcisi… Giusto valorizzare anche chi, caparbiamente, arriva in fondo e dal giorno successivo pensa già al futuro, con il cuore gonfio di gioia e perché no, d’orgoglio…
Nelle tue parole c’è il tentativo di riscatto: per te la maratona è una specie di rivincita sociale in cui vorresti vedere riconosciuto “socialmente” (cioè da me e dagli altri) un valore. Io non ci sto perché, se così fosse, l’autostima di una persona dipenderebbe dai risultati e dall’approvazione altrui, mentre a mio avviso dipende dall’impegno del soggetto ed è indipendente dagli altri. E l’impegno del soggetto verso sé stesso si vede, come ti ripeto, anche su 1000 m, non c’è bisogno di fare 42 km.
Non ne faccio un problema di tempo: che uno corra la maratona in 2h30′ o in 5h30′ non cambia nulla. Ma se la corre per esser valorizzato, allora non ci sto. Del resto: se il valore è nel correre la maratona e l’autostima è un fatto personale, perché il runner non parte una domenica mattina da casa sua, si fa 42 km e poi si riempie di gioia e di orgoglio? Ma invece ha bisogno di una manifestazione ufficiale, di un riconoscimento? Ecco, io non ci sto perché in realtà il runner cerca l’approvazione degli altri e la sua autostima dipende dagli altri; non è che così si costruisce una personalità forte e positiva. E a me interessa insegnare alle persone a essere più forti, più amanti della vita, più positive.
La corsa è la madre di tutti gli sport
Wellrunness II
Ciao Roberto,
è molto che non ti scrivo, da più di un anno credo. Ti ho incontrato e conosciuto alla presentazione del tuo libro sulla Dieta Italiana (per fortuna che mi ricordo, altrimenti vista l’assonanza delle nostre idee, direi che qualcuno mi ha clonato!). Non ti scrivo per vedermi pubblicato (se volessi non avrei comunque nulla in contrario).
Sono ormai molti anni che pratico running e altro a un livello piuttosto intenso, con risultati personalmente molto interessanti; senza ambizioni di “mostrarmi” sfruttando la corsa come mezzo di visibilità all’esterno. Non voglio annoiarti, ma voglio raccontarti l’evoluzione positiva che ho avuto nei confronti dello sport.
Ho 34 anni, correvo (jogging) già 10 anni fa al di fuori di allenamenti per il basket. Però vedevo la corsa come mezzo per stare in forma, essenzialmente mi pesava meno la fatica della corsa che il finire fuori forma.
A un certo punto ho cominciato a interessarmi di più della fisiologia, dei meccanismi e delle tecniche di allenamento. Siamo a 6-7 anni fa, abitavo in Canada dove nonostante l’elevato numero di gente soprappeso, chi fa sport lo fa seriamente (osservazione corretta: alla fine anche da noi si capirà che non esiste una via di mezzo).
Frequentavo centri di fitness (correre all’aperto durante l’inverno era fattibile, ma a volte per settimane intere si stava tra –20 °C min e –10 °C max). Quindi corsa su tappeto. Ma tappeti di un livello che non ho mai più trovato quando ho lasciato il Nord America… (notare: il giudizio negativo che si dà del tappeto è spesso legato alla scarsa qualità, un parametro che nel benessere è importantissimo, ma spesso sottovalutato). Ho così iniziato a fare 10-12 km per 3 volte la settimana, altri 3 giorni facevo circuit training con pesi.
Sono tornato in Italia e ho continuato a correre però all’aperto. Poi ho conosciuto il tuo sito (penso che fosse il 2000, se c’era già – è nato nell’aprile 2000). Ho attinto informazioni, le ho confrontate con altre fonti. Ho capito il tuo rigore e la tua precisione. Nel frattempo mi è nato il banale interesse per la maratona. Banale lo dico oggi, uno che è abituato ai 12-13 km per 3-4 volte la settimana e non conosce ripetute e medio (fa appunto solo jogging), vede nella maratona un’impresa il cui obiettivo è il portarla a temine. L’ho fatta e non la farò mai più. Poi ti spiego perché.
Ho ovviamente continuato a correre e a concentrarmi su mezze e 10k. Sono soddisfatto di 1h 26′ (1h 40′ 3 anni fa) sulla prima e 39’21” (43′ 3 anni fa) sulla seconda, tempi ripetuti (circa) in varie occasioni. Non escludo di poterli migliorare. La maratona è bella se stai sotto le 3h o almeno 3h10″, altrimenti “sottocorri”. Non concepisco correre più lento di oltre 30″ sul proprio tempo reale del momento sui 10k. Per divertirsi realmente in una maratona ci vogliono 4 allenamenti settimanali e una sessantina di km alla settimana (sì, è veramente il minimo per correrla vicino ai propri limiti fisiologici).
Ovviamente anche fisicamente sono migliorato. Peso 3-4 kg in meno di quando avevo 17-18 anni, ma sono molto più tonico, forte e resistente.
Obiettivi: è un anno che sto allenandomi col nuoto in parallelo alla corsa e sto iniziando la bici; il triathlon (ci avrei scommesso: spesso la visione dei triathleti è coincidente con quella del wellrunning) è il prossimo traguardo. Istintivamente preferisco sviluppare altro invece di affinare la corsa solamente. Entro l’anno 2004 vorrei partecipare a un paio di manifestazioni brevi ma intense (triathlon sprint, 750m nuoto, 20k bici, 5k corsa) e poi deciderò come procedere. Ecco perché non mi interessa più proseguire nella maratona, magari in futuro.
Cosa è “servito” Roberto Albanesi in tutto questo? Prendere coscienza concreta dei propri limiti, pregi e potenziali aree di miglioramento/di debolezza. Trarre quindi conclusioni e programmi che necessariamente saranno rivisti in futuro.
Il tuo libro sulla dieta italiana (letto 3-4 volte e alcune parti anche di più) non è stata solo una lettura, l’ho studiato. E cerco di applicarlo. Come fare a dire se ci riesco? Beh ho una giornata piena dal punto di vista lavorativa (ho un ruolo di responsabilità in una multinazionale ed opero in tutta Europa), settimanalmente faccio una quarantina di km di running (3 volte), due sedute di nuoto e una di altro (ora bici, in altri periodi circuit training ecc). Ho una famiglia che necessita tempo (se si fanno figli è perché si ama passare il tempo poi con loro! Parole sante, ma quanti oggi fanno figli per amore?), una moglie che lavora ecc. Ma non sono mai stanco…
Senza prendere coscienza delle proprie condizioni e del contorno non si combina niente.
A proposito dell’apparire. I miei amici (più frequente con conoscenti) sanno della mia passione per lo sport e ogni volta che ci si vede si casca sul fatto che corro ecc. Ti dico in tutta sincerità che ho già avuto più volte la tentazione di dire che non faccio più niente. Sono stufo di essere osservato (tutti ingrassano, io mai e quando ci si vede a cena di certo non mangio meno degli altri…). E poi: ma dove lo trovi il tempo di fare tutto, ma non sei mai a casa con la famiglia, ma non lavori mai ecc. Mia moglie dice che è tutta invidia acidissima, io mi sono veramente stufato; gli amici si scelgono, ma a volte si frequentano non solo amici veri (pochi) (sottoscrivo il pochi).
L’unico rammarico? Vorrei più tempo libero. Hai ragione bisogna sceglierselo il lavoro in base alle proprie esigenze, ma non sempre è così semplice.
Questa email non è concisa e stringata, ma volevo dirti tutto questo: la storia (probabilmente uno tra mille e più che ti leggono) di una persona che cerca di lasciare il meno possibile al caso (questo è uno dei segreti per essere felici).
Con grandissima stima, Stefano.