L‘ultramaratona è per definizione una corsa la cui distanza supera quella classica della maratona (42.195 m). La 100 km su strada è attualmente l’unica specialità di ultramaratona per la quale sono previsti i cosiddetti primati, come deliberato dalla IAAF al momento dell’istituzione dei record mondiali di alcune specialità di corsa su strada (10-15-20-21,097-25-30 km, maratona, 100 km). Già da molti anni, il fenomeno delle ultramaratone è numericamente in aumento, anche se, a onor del vero, riguarda una percentuale veramente minima di runner agonisti. Per quanto l’aspetto qualificante delle gare di ultramaratona sia, ovviamente, la distanza prevista, per quanto concerne l’aspetto della difficoltà della gara, sono anche gli altri gli elementi che entrano in gioco (la difficoltà del percorso, il periodo di svolgimento, la particolare situazione climatica di un Paese ecc.).
Ultramaratona: le gare più famose in Italia
Le ultramaratone vengono organizzate in molti Paesi del mondo; nel nostro Paese fra le più importanti, senza la pretesa di essere esaustivi, vanno senz’altro citate la 100 km del Passatore (nota anche come Firenze-Faenza, è forse l’ultramaratona italiana più nota a livello internazionale), la Magraid (ultramaratona di 100 chilometri che si disputa, nell’arco di tre giorni, nel territorio della steppa della provincia di Pordenone toccando vari comuni), la Pistoia-Abetone (una delle ultramaratone più vecchie in assoluto; si svolge tradizionalmente l’ultima domenica di giugno; la partenza è nella piazza del Duomo della città di Pistoia e l’arrivo all’Abetone in piazza delle Piramidi, a quota 1.400 metri, dopo 50 km dei quali 31 di salita), la Nove Colli Running (una competizione di circa 200 km che si svolge a Cesenatico), la 6 ore di Curinga (un’ultramaratona nota anche a livello internazionale che si svolge a Curinga, un comune in provincia di Catanzaro) e la Strasimeno (ultramaratona con partenza e arrivo da Castiglione del Lago, in provincia di Perugia; nonostante sia relativamente recente – la prima edizione risale al 2002 – la Strasimeno ha saputo conquistarsi in breve tempo una notevole popolarità fra gli ultramaratoneti).

All’edizione 2019 della 100 km del Passatore sono partiti in 3.133 e arrivati in 2.688
La nostra posizione
Chi ci segue da tempo sa che il nostro sito è stato sempre critico nei confronti dell’ultramaratona; il motivo della nostra critica sta nel rapporto fra corsa e salute: chi corre per vivere meglio (wellrunning) non può che impiegare strategie che abbiano come fine di correre il più a lungo possibile e l’ultramaratona in queste strategie non trova posto.
Ultramaratona e salute
Se si analizza la vita media di un runner si scopre che la distanza settimanale che la massimizza è attorno ai 60-70 km. Infatti occorre equilibrare due fattori in controtendenza:
- l’allenamento. Più il soggetto è allenato e maggiori sono i giovamenti per il proprio fisico.
- i traumi. Più ci si allena e più aumentano le possibilità di infortuni all’apparato locomotore.
Quando si supera una certa distanza (o meglio, tempo di percorrenza; vedasi più avanti) non si rischiano soltanto i propri muscoli, tendini o articolazioni (per questo concetto ci si può riferire semplice alla distanza critica individuale). Diventano più probabili anche alterazioni a livello generale. Ho riscontrato in parecchi ultramaratoneti livelli di colesterolo insolitamente bassi (sotto a 130 mg/dl aumentano le probabilità di contrarre tumori); stesso discorso per molti ormoni. Del resto lo studio di Nieman (1987, condotto su 2.300 runner) non è mai stato messo in discussione, anzi è stato confermato da ricerche successive: la probabilità di ammalarsi raddoppia per coloro che corrono più di 90 km alla settimana. La depressione del sistema immunitario è evidente (si approfondisca il concetto leggendo Corsa e sistema immunitario).
Altre ricerche evidenziano anche una netta depressione dell’umore nell’ultramaratoneta. Bisogna quindi chiedersi: perché?
Distanza o tempo?
Prima di rispondere alla domanda, è necessario precisare che, a rigor di logica fisiologica, più che la distanza in sé, conta il tempo di percorrenza, almeno relativamente ai fattori negativi della corsa.
(1) In un soggetto allenato si può ritenere salutistica una prestazione che non duri più di 4 ore.
Per tale motivo la maratona è la distanza limite del wellrunning. È infatti più comodo parlare di distanze che non di tempi di percorrenza, anche se il discorso perde un po’ di rigorosità.
La (1) ci dice che un atleta a livello mondiale nella maratona può correre salutisticamente anche una corsa di 60 km, mentre un atleta scarsamente dotato o poco allenato che termina la maratona in 4h30′ dovrebbe limitarsi al massimo a distanze di 30-35 km.
Ultramaratona e psicologia
Dopo diverse maratone, l’atleta si accorge che non è proprio un’impresa così titanica correre per 42 km e allora si lancia verso una nuova sfida. Molto spesso si accorge di non essere sufficientemente competitivo sui 10000 m o sulla maratona. Altre volte gli sembra tutto troppo facile (la tipologia del masochista: la corsa è sofferenza, per purificarsi non si sa da cosa) e ha bisogno di nuove prove per dimostrare non si sa che (basare la propria autostima su un risultato è psicologicamente devastante e predispone a una personalità di cartapesta).
Il protagonismo nel caso dell’atleta che corre la 100 km per vincerla o per fare un tempo rilevante è giustificato, ma purtroppo molti scelgono la 100 km per essere competitivi non in assoluto, ma solo rispetto all’amico che li batte regolarmente sulla maratona corsa in 4h. Il protagonismo (cioè la ricerca della visibilità tramite la corsa) è negativo quanto più basso è il contorno. Un atleta che vince le olimpiadi e fa il giro del campo con la bandiera è condivisibile e può indurre negli spettatori emozioni notevoli. Un atleta che vince un campionato provinciale dei 5000 m dove corrono in tre e fa il giro del campo con la bandiera dei colori sociali è un povero…
Molti ultramaratoneti hanno contestato questo paragrafo, con la motivazione che corrono le 100 km per loro stessi. Se fosse vero, non si vede perché debbano partecipare a manifestazioni ufficiali arrivando a 7 od 8 ore dai primi/e: se per loro l’importante è vincere la sfida, potrebbero farlo da soli. Partono da casa e, al più seguiti da coniuge o amici (la crisi incombe sempre!), arrivano al centesimo chilometro dove festeggiano il loro successo. Tanto per distruggere un sogno: prendere 8 ore dal primo/a (480 minuti in 100 km) è come prendere 4’48″ su un km, cioè correrlo in 7′ quando il recordman mondiale lo corre in 2’12″. Forse possono ingannare gli amici che nulla sanno di corsa…
NOTA – Il discorso di “correre da soli” ovviamente non vale per i 5000 m, i 10000 m e probabilmente fino alla maratona. Come tutti sanno, nelle gare brevi il contatto con l’altro fa migliorare le prestazioni perché ci spinge a dare il massimo. Nell’ultramaratona provare a seguire qualcuno di solito è completamente devastante perché la strategia migliore è sicuramente adottare il proprio ritmo. Quindi chi corre veramente l’ultramaratona per sé non ha bisogno di una gara, ma, alla Forrest Gump, può uscire di casa e correre…
La 100 km
Veniamo ora alla 100 km. Sinteticamente, potrebbe correrla chi ha i seguenti requisiti:
- ha corso diverse maratone senza essere incorso in infortuni significativi durante la preparazione (significa cioè che ha una distanza critica di almeno 42 km).
- Ha meno di 50 anni; inutile negare che l’età diminuisce le capacità di recupero dell’organismo.
- Ha un IMC inferiore a 22.
- Riesce a gestire una mole di chilometri mensili decisamente alta; un buon test è di effettuare due lunghissimi di almeno 35 km in due giorni successivi, il primo svelto (se RG è il ritmo gara sulla maratona, a RG+10″) e il secondo almeno lento (diciamo RG+30″ al massimo).
- Ha un equilibrio psicofisico notevole o è seguito da un’équipe medica che lo blocchi quando esagera;
- Può ottimizzare la prestazione.
L’ultimo punto è fondamentale. Alcuni passano alla 100 km (come altri passano alla maratona dai 10000 m) spinti dal concetto di record fasullo. Secondo le tabelle comparative (per esempio la calcolatrice di Riegel) è possibile valutare la potenzialità dell’atleta. Se uno corre i 5000 m in 19′, dovrebbe correre i 10000 m in 40′ circa. Se li corre in 50′ la prestazione è per lui pessima. Tali tabelle permettono di non barare con sé stessi. Chi ha un record sulla mezza di 1h19′ secondo Pizzolato (ma anche secondo me e tutti gli addetti ai lavori) vale circa 2h50′ in maratona. Se fa 2h58′ è una grande prestazione? Ovviamente no, visto che “vale” 2h50′. Così nella 100 km uno che corre in 7h corre la maratona in 2h20′ (arrotondo per semplificare i calcoli). Quindi il fattore moltiplicativo se uno è allenato è 3 (regola del 3). Un atleta che corre la maratona in 3h30′ dovrebbe correre la 100 km in 10h30′ circa. Se la corre in molto più tempo vuol dire che non è abbastanza allenato e correre una distanza da non allenati non è saggio.
Conosco personalmente due atleti che sono centochilometristi, il primo si trascina fra ultramaratone con qualche proiezione su gare più brevi (evidentemente dei test di velocità…), correndo i 10000 m in circa 45′ quando prima li correva in 34-35′; l’altro, runner da molti anni, da quando ha deciso di passare alla 100 km è durato due anni: ora lo si trova mentre cammina nelle non competitive, ormai incapace di correre. Non ha nessuna rilevanza che molti corrano la 100 km; l’importante è sapere che qualcuno ci rimette le penne…
Un’ultramaratona è come una corsa di Formula 1: dovrebbe essere fatta da atleti particolarmente predisposti.
Chiunque lo faccia in condizioni diverse, non lo fa certo per la propria salute.
Per “spaventare” ulteriormente chi volesse dedicarsi “occasionalmente” alla 100 km, occorre rilevare che la preparazione di un’ultramaratona modifica il carburante del corpo spostandolo verso i grassi; ciò rende l’atleta particolarmente lento sulle distanze classiche.
L’amico del sito Vito Intini campione italiano della 12 ore. Intervista con il neocampione.