Umidità e corsa: perché parlarne? Semplice, perché l’umidità è uno di quei fattori che deprimono la prestazione. Tutti conoscono le difficoltà che si incontrano nel correre in un’afosa giornata d’estate, ma pochi conoscono veramente i meccanismi che portano alla penalizzazione prestativa. Sostanzialmente sono due. Il primo riguarda la nostra termoregolazione e diventa significativo quando abbiamo necessità di raffreddare il nostro corpo. Per termoregolarlo il nostro organismo suda; in condizioni normali l’evaporazione del sudore sulla pelle è possibile e, poiché tale fenomeno sottrae energia sotto forma di calore, ci raffreddiamo. Quando l’umidità sale, il processo di evaporazione è ostacolato; addirittura se l’umidità relativa è del 100% (cioè l’aria è satura di vapore acqueo), il sudore gocciola e non evapora e noi ci surriscaldiamo. Ciò ci fa sudare ancora di più, portando l’organismo in situazione di disidratazione, una condizione pochissimo performante e addirittura pericolosa per la salute se lo sforzo fisico si protrae a lungo (non fate come quei runner che si portano la borraccia da un litro d’acqua per correre per 20-30′).
Non sempre però condizioni di umidità eccessiva sono collegate a copiose e penalizzanti sudorazioni. Si pensi a un 1500 m, l’atleta può sudare molto, ma non tanto da andare “in riserva idrica” o da surriscaldarsi. Un altro esempio che ci fa capire che deve esserci una seconda causa è la penalizzazione, comunque evidente, che si subisce in una fredda e nebbiosa giornata invernale: nessuna abbondante sudorazione, nessuna disidratazione, eppure si va più piano: perché?
L’ossigeno
La strada sbagliata – Un modo di studiare come le condizioni meteo influenzano la prestazione è quello di riferirsi a modelli fisici molto semplici, partendo magari da quello che spiega il fenomeno dell’evaporazione dell’acqua fino alla saturazione dell’aria (100% d’umidità). In realtà, le condizioni meteorologiche sono il risultato di condizioni dinamiche molto complesse e può essere fuorviante cercare di ridurle a poche grandezze collegate fra loro con formule tutto sommato semplici. Per esempio, tutti i barometri misurano la pressione e tendono a correlarla con condizioni di umidità: in condizioni di pressione alta leggiamo gran secco, mentre in condizioni di pressione bassa pioggia, un modo un po’ grossolano di prevedere che tempo farà. In realtà spesso le condizioni nella parte alta dell’atmosfera (quelle che stabiliscono la pressione) non sono per nulla correlate con lo stato al suolo, cioè nella zona fino a 2 m in cui corre il runner. Basti pensare alle grandi pianure europee, nelle quali in condizioni di pressione alta (invernale o estiva, anticiclone delle Azzorre) si possono avere eccezionali condizioni di umidità (afa o nebbia) per il semplice fatto che la pressione alta impedisce all’acqua che evapora dal suolo di raggiungere gli strati alti dell’atmosfera, soprattutto in assenza di vento.
La strada giusta – Dal paragrafo precedente risulta quindi che, almeno nelle vicinanze del suolo, temperatura, umidità e pressione atmosferica sono variabili non sempre correlabili; risulta pertanto sensato, se si vuole studiare l’influsso di una di esse sulla prestazione, fissare le altre due, per esempio chiedendosi: a pari condizioni di temperatura e di pressione, è meglio correre in una giornata umida o in una giornata secca? Quanto si perde nel caso peggiore?
La pressione parziale dell’ossigeno – In una miscela di gas come l’aria la pressione totale è la somma delle pressioni parziali dei vari gas che la compongono (legge di Dalton).
Fissata la temperatura e a pari pressione atmosferica (P), se Pacq (pressione parziale del vapore acqueo) aumenta, deve diminuire la pressione parziale dell’ossigeno.
Più l’aria è umida e più la pressione parziale dell’ossigeno è minore. Questa situazione è analoga a quella dell’altura, dove la pressione parziale è minore perché minore è la pressione totale. Intuitivamente, si comprende come una minore pressione parziale voglia dire una maggiore difficoltà dell’ossigeno a passare dall’aria al sangue. Ragionare in tali termini è però riduttivo perché un determinato fenomeno fisiologico va studiato sempre quantitativamente. Ciò significa indagare ulteriormente se il nostro corpo è veramente penalizzato da una diminuzione della pressione parziale o se, come avviene per altri fenomeni, la situazione è ininfluente finché non si scende sotto una certa soglia (cioè equivale a chiedersi se il fenomeno è lineare o a gradino).
Come per l’altura, occorre riferirsi al meccanismo con cui l’ossigeno passa nel sangue e cioè alla funzione dell’emoglobina. Se l’emoglobina si legasse all’ossigeno a prescindere dalla sua pressione parziale (o meglio si legasse sempre con la stessa percentuale fino a che la pressione parziale non scende sotto una certa soglia), la penalizzazione non ci sarebbe; in realtà non è così. Osservate l’immagine soprastante (si deve ricordare che a livello del mare e in condizioni di umidità assente la pressione negli alveoli è di circa 100 mm Hg, consultate l’articolo sulla corsa in altura per ulteriori dettagli): diminuendo la pressione parziale dell’ossigeno, l’emoglobina lega meno ossigeno e la corsa ne è penalizzata. In sostanza si ha una sorta di effetto altura.
Quanto si perde? – Correndo in condizioni di forte umidità (90% e oltre) si perde fino al 2%, se la temperatura è abbastanza alta (sopra i 20 °C), il che significa che un atleta che corre i 1500 m a 2’20″/km può perdere fino a 3″/km, mentre uno che li corre a 4’/km perde fino a 5″/km.
A temperature più basse la saturazione del vapore acqueo arriva molto prima e la penalizzazione è minore (c’è meno acqua nell’aria); purtroppo però si può avere il fenomeno della nebbia che, praticamente, porta l’umidità sopra al 100%: quando respiriamo introduciamo molto vapore acqueo e la pressione parziale dell’ossigeno negli alveoli crolla, tanto che non è raro osservare penalizzazioni ben superiori ai 5″/km.

L’umidità è uno di quei fattori che penalizzano notevolmente la prestazione
La gara della vita
Queste considerazioni possono sembrare molto teoriche, ma vogliono spiegare al runner come un’ottima conoscenza dei meccanismi della corsa, possa aiutare a capirsi. La prestazione dipende da molti fattori, alcuni dei quali (come le scarpe da gara) completamente controllabili. Altri invece lo sono solo in teoria (lo stato di forma), altri (condizioni meteo, tracciato, avversari) sono piuttosto casuali.
Il record si ha quando gran parte (se non tutti) dei fattori importanti per la prestazione sono in fase.
Questo articolo mostra come alcuni fattori normalmente non vengano presi in considerazione perché si tende a giudicarli quantitativamente (fa caldo o fa freddo, è umido oppure no); altri addirittura (come la pressione atmosferica) non sono nemmeno percepiti o misurati.
Se si è molto fortunati si può anche scendere sotto a un obiettivo di 5″/km (ovviamente ciò non vuol dire che si debba partire sempre ottimisti, correndo la prima parte semplicisticamente a ritmi folli). Personalmente su un allenamento standard (6×1000 con 1’30” di recupero), effettuato almeno un centinaio di volte “da allenato”, ho un primo tempo di 3’20″2, ben 5″ più veloce del secondo in poi… Probabilmente quel giorno non solo la pista, i compagni di allenamento, lo stato di forma ecc., ma anche le condizioni meteo erano… stratosferiche.