Ultramaratone e regola del tre è un titolo che può lasciare un attimo interdetti, ma nel prosieguo dell’articolo tutto diventerà estremamente chiaro, anche se alcuni, forse molti, non concorderanno con le nostre considerazioni. Chi segue da tempo il sito, conosce la nostra posizione sulle ultramaratone (il termine indica una corsa la cui distanza supera quella della maratona): checché se ne dica, si tratta di competizioni che dovrebbero essere corse solo da atleti agonisticamente ai massimi livelli. Purtroppo, ormai da tempo, si assiste a una vera e propria corsa al chilometraggio: atleti tutto sommato modesti in maratona passano alle “cento km” o a gare simili. Spesso dietro a questa scelta non c’è un senso di sfida personale (se uno vuole sfidare sé stesso perché non migliorare il proprio tempo in maratona?) quanto piuttosto la ricerca di una visibilità che la “normalità” della maratona ormai nega. Sono oltre 38.000 i maratoneti italiani: tagliare il traguardo di una maratona è pertanto qualcosa di estremamente “normale”; ovvio che chi non riesce a fare il tempo, ma vuole comunque apparire, comincia a fare un pensierino alle ultramaratone.
Personalmente riteniamo che sia molto più difficile migliorare il proprio record in maratona di 5′ (soprattutto per atleti che hanno un personal best intorno alle 3h30′) che correre una cento km con il solo scopo di arrivare (per esempio in maratona, se si corre per il tempo, non ci si può nutrire con cibi solidi e l’aspetto energetico è fondamentale, mentre durante una cento km l’atleta che vuole solo arrivare può fare rifornimento come e quando vuole).
La regola del tre: come evitare “un suicidio salutistico”
Da un punto di vista salutistico correre una cento km da poco allenati è un suicidio salutistico, uno di quei casi in cui la corsa non fa bene (si badi bene: anche correre una maratona fa male, se non si è allenati a farlo; a questo proposito risulterà estremamente interessante la lettura del nostro articolo Correre fa male?)
Questo concetto è sicuramente approvato anche dai sostenitori delle ultramaratone. Quindi la domanda fondamentale è:
come si fa a sapere se un soggetto è allenato per la cento km?
Semplice: dal tempo che fa.
Come tutti sanno dal tempo sui 10000 m si può stimare con una certa approssimazione (che non va mai al di là dei 10′) il tempo che l’atleta, ben allenato, può fare sulla maratona.
È incredibile come tale trasposizione non si faccia anche per le ultramaratone. Si scoprirebbe che il 90% e oltre degli atleti che le corre non è ben allenato.
Il tempo su una 100 km deve essere al massimo tre volte quello che l’atleta ha nella maratona.
Se l’atleta nella maratona ha 2h30′, la cento km al massimo deve correrla in 7h30′; un atleta da 3h in maratona deve correre la 100 km in 9h ecc. Fra l’altro questi tempi sono “buonisti”, perché gli atleti top (che sono allenati!) rispettano ampiamente la regola del tre.

L‘ultramaratona è per definizione una corsa la cui distanza supera quella classica della maratona (42.195 m)
La regola del tre e le conseguenze pratiche sulla visibilità
La regola del tre nacque un giorno in cui un neo ultramaratoneta mi raccontò entusiasticamente che aveva concluso in modo eroico la sua prima 100 km in poco meno di 12 ore. Dopo un attimo di riflessione, gli risposi in tutta franchezza: “mi sembra un tempo pessimo, visto che hai 3h15′ in maratona, avresti dovuta correrla sicuramente in meno di dieci ore”. Il runner (?) mi tolse quasi il saluto, ma sono sicuro che rifletté su quello che gli avevo detto perché non corse più cento km: si era reso conto che la sua prestazione non era neppure lontanamente paragonabile a quella che otteneva solitamente in maratona.