Nel 1989 Peronnet e Thibault (ved. Handbook of Sports Medicine and Science, Running – Hawley, ed. Wiley) pubblicarono un’interessante ricerca, partendo dalla quale anni dopo Pizzolato elaborò il test dei 7 minuti. Secondo i ricercatori francesi, un atleta allenato raggiunge il suo massimo consumo d’ossigeno dopo 3′ e lo mantiene al 100% per circa 7′, per l’85-90% per 60′ e l’80-85% per 120′. In Italia le ricerche dei due francesi furono riprese soprattutto da Orlando Pizzolato che le trasformò in un test citato per la prima volta nel 2005 nel suo testo Correre secondo Orlando Pizzolato, senza attribuirsene comunque la paternità. Un runner può essere descritto da parametri derivanti dalle sue prestazioni (per esempio il suo primato sui 10000 m) oppure da parametri fisiologici. Questa seconda strada affascina soprattutto medici e fisiologi sportivi che hanno come obiettivo la predizione della prestazione a partire da parametri tipici dell’atleta, misurati in laboratorio o con efficienti prove sul campo. Purtroppo questa strada non è semplice e ha dato origine a molta confusione, sia per il proliferare del numero delle grandezze considerate sia per la loro non sempre precisa definizione. Inoltre è importante rilevare che anche grandezze usualmente impiegate (capacità aerobica, potenza aerobica, resistenza aerobica, capacità anaerobica) non sono indipendenti, ma possono comunque essere ricondotte alle tre grandezze fondamentali del fondista. Ricordiamo che queste sono:
- il massimo consumo di ossigeno (VO2max)
- la soglia anaerobica (SAN)
- la soglia aerobica (SAE).
Relativamente alle grandezze 2 e 3 esistono molte diverse strade per la loro determinazione. Per esempio, per misurare la soglia anaerobica è possibile ricorrere all’usuale test di Conconi oppure usare il tempo sui 10000 m (in minuti, M, e secondi, S) e la mia formula: SAN=35.000/(60*M+S).
Per esempio, un atleta che vale 40′ sui 10000 m ha una soglia di 35.000/2.400=14,583 km circa. Per la SAE un’ottima approssimazione si ottiene dal tempo sulla maratona (ammesso che il soggetto sia allenato e tenga un’andatura regolare).
Anche il prelievo del lattato è significativo, dal momento che la soglia anaerobica corrisponde a 3,5-4,5 mmol/l di lattato (convenzionalmente 4, Mader) e quella aerobica a 1,8-3,2 mmol/l di lattato (convenzionalmente 2).
Purtroppo, per la determinazione del massimo consumo di ossigeno non esistono metodi semplici.
Viene a questo punto spontaneo cercare un test sul campo che ci consenta di indagare questa grandezza.
Per trovarlo, occorre fare alcune premesse fisiologiche:
a) i vari sistemi energetici non lavorano in serie, ma in parallelo; sono sempre attivi, si influenzano reciprocamente e mettono a disposizione energia che i muscoli utilizzano;
b) quando il sistema aerobico è sollecitato al massimo devono essere pertanto attivi anche gli altri sistemi energetici;
c) in particolare in condizioni di massimo consumo di ossigeno sono presenti quantità di lattato non trascurabili.
Da queste considerazioni Peronnet ha mostrato che in prossimità del massimo consumo di ossigeno l’atleta è in grado di sostenere lo sforzo per circa 7′. L’attivazione massima del sistema aerobico è possibile se si utilizza anche energia proveniente dal sistema anaerobico e corrisponde a una quantità di lattato variabile fra le 5 e le 8 mmol/l (convenzionalmente 6,5).
Il test dei 7 minuti
Pertanto è del tutto logico definire un test che misuri indirettamente il massimo consumo di ossigeno dell’atleta come la velocità che riesce a tenere per 7′ (massima velocità aerobica).
Notiamo che il test di Cooper sui 12′ (o la sua traduzione sui 3000 m), senza basi fisiologiche precise, è quello che in passato si è più avvicinato al test dei 7 minuti. È chiaro che nel test di Cooper (troppo lungo) entra già il concetto di soglia anaerobica, cioè la capacità dell’atleta di lavorare con quantità di lattato che non variano sensibilmente (attorno appunto alle 4 mmol/l).
Pure sbagliato sarebbe tentare di tradurre il test dei 7 minuti in una distanza fissa; i 3000 m possono andare bene per atleti a livello mondiale, ma non certo per un amatore che in 7′ percorre circa 1500 m! Se si vuole tradurre il test in distanza occorre sceglierla in modo che sia congrua con il test: 1500, 2000 ecc. fino a 3000 m. L’importanza dei 7 minuti è dimostrata dal fatto che amatori eccellenti sul miglio (corso attorno ai 5′) diventano appena passabili sui 3000 m (corsi in un tempo superiore ai 10′).
NOTA – Perché il test sia affidabile, la velocità deve essere costante e si può aiutare l’atleta con indicazioni ogni 100 m. Se la prima metà è corsa nettamente più veloce della seconda, il risultato non è significativo.

Il test dei 7 minuti è un test semplicissimo, ma è anche quello che dà maggiori informazioni sulle potenzialità del runner
Il calcolo del massimo consumo di ossigeno: le tabelle
In letteratura si trovano tabelle che danno il VO2max in funzione della distanza percorsa in 7′; ovviamente le tabelle sono simili, ma non uguali (a causa degli errori sperimentali della misurazione del VO2max dell’atleta e del fatto che prova dei 7 minuti e misurazione sperimentale del VO2max con altri metodi non sono contemporanee) ed è facile confondersi fra i vari contributi. Molto più semplice analizzare le varie tabelle (alcune piuttosto recenti) e desumerne una semplice formula.
Secondo la mia esperienza la relazione migliore che consente di passare dal valore della distanza D corsa in 7′ al VO2Max è quella che uso da tempo (Albanesi, 2003):
VO2max=29*D
dove VO2max è il massimo consumo di ossigeno in ml/kg/min e D la distanza in km. Per esempio, una distanza di 2000 m (cioè equivalente a un ritmo di 3’30″/km) equivale a un VO2max di 58.
Il test dei 7 minuti non ha solo un interesse scientifico, ma, insieme alla SAN e alla SAE, permette di definire completamente le caratteristiche dell’atleta.
Consideriamo il rapporto:
(1) R=4.500/T
dove T è il tempo dei 10000 m espresso in secondi. In teoria R (espresso in km) dovrebbe essere uguale alla distanza del test dei 7 minuti.
Per un atleta a livello mondiale con un tempo sui 10000 m di 26’30”, il test dei 7 minuti dovrebbe dare 2.830 m. Cosa che in realtà è molto probabile che accada (in quest’analisi non ci interessa la precisione al singolo metro, ma gli ordini di grandezza dello scostamento dal modello).
Per un buon amatore con un record di 36’20” dovremmo trovare un test attorno ai 2.083 m. In realtà, si scopre per esempio che il test dà 2.160 m, ben 80 m in più. Se invertiamo la formula, troveremmo che un amatore con un test a 2.160 m dovrebbe correre i 10000 m in 34’45” circa, un dato irrealistico. La mia esperienza mi porta a dire che questa situazione si ha nel 90% degli amatori. Ciò significa che per vari motivi (genetica, scarso allenamento, sport non aerobici praticati in giovane età, eccesso di muscolatura, eccesso di grasso ecc.),
la maggioranza della popolazione non è portata per le lunghe distanze
o, in alternativa, che le prestazioni degradano molto più velocemente che nel campione. I risultati della maggioranza degli amatori sono qualitativamente migliori quanto minore è la distanza (diciamo dai 1.500 m in su, perché per distanza inferiori entrano in gioco altre variabili fisiologiche non propriamente “resistenti”).
Nell’analisi delle cause si potrebbe mettere al primo posto l’allenamento, cosa sicuramente sensata perché nell’amatore l’allenamento aerobico è sicuramente inferiore a quello del campione. Ma, stranamente, si trova che anche per un 10% degli amatori la (1) è rispettata. Sono quelli che vengono definiti atleti lenti. Un mio compagno di allenamenti corre i 10000 m in 38′ e ha un risultato sul test di 2.000 m scarsi, in accordo con la (1).
Come riscontro pratico della (1), provate il test e confrontate poi il vostro record sui 10000 m con quello “teorico” desunto da T=4500/R (in km). Se è molto “distante”, significa che le vostre caratteristiche aerobiche sono piuttosto scadenti (si veda l’articolo sulla tipologia fisiologica dell’atleta) e vanno migliorate, se ambite a migliorare i tempi sui distanze dai 10000 m in su, distanze per le quali la parte anaerobica è trascurabile (è cioè impensabile correrle utilizzando in modo significativo le proprie capacità anaerobiche).
Chi ha caratteristiche aerobiche decisamente scadenti dovrebbe, fra l’altro:
a) preferire ai progressivi, i medi lenti su distanze superiori ai 10 km;
b) effettuare ripetute brevi con recuperi di corsa e sedute di ripetute lunghe;
c) privilegiare la quantità alla qualità;
d) verificare il proprio peso.