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Sindrome invisibile da carico (uno studio su 22 casi)

Partiamo dalle infiltrazioni – Alcuni ortopedici ritengono le infiltrazioni di cortisonici la panacea di tutti i mali mentre altri le guardano con sospetto, se non addirittura con atteggiamento negativo. Se è vero che in alcuni casi possono migliorare notevolmente il quadro clinico, in altri possono addirittura peggiorarlo. È pertanto importante capire come agiscono e quando si possono usare con successo. In genere sono preferite perché si pensa che l’azione locale del cortisonico non produca gli stessi effetti collaterali dell’impiego sistemico (cioè generale, tramite pastiglie o per iniezione intramuscolare o endovenosa). In realtà una massiccia concentrazione locale di farmaco produce comunque un’alterazione delle strutture riceventi, tant’è che si parla di possibile sclerotizzazione dei tessuti trattati troppo pesantemente. In soggetti operati si riscontrano ancora i “rimasugli” di infiltrazioni eseguite mesi prima con una decolorazione tipica da cortisone. In sostanza quando i benefici di un’infiltrazione superano gli svantaggi? Quando:

  • la patologia non è cronica, ma acuta. Trattare una patologia cronica con infiltrazioni è masochistico.
  • La patologia è perfettamente determinata. Usare l’infiltrazione come tentativo senza una diagnosi certa può rivelarsi un boomerang.
  • L’operatore è esperto e riesce ad accedere esattamente al punto sede della patologia. Spesso prima di infiltrare vengono richieste radiografie e/o ecografie. Effettuare un’infiltrazione con approssimazione del punto d’azione, oltre a non sortire effetti, danneggia spesso tessuti sani.

Non è questo il caso della sindrome invisibile da carico (vedasi articolo generale). Si parla di sindrome invisibile da carico quando il soggetto lamenta una sintomatologia dolorosa susseguente a esercizio fisico senza che si riscontri nulla di anomalo dai normali esami prescritti in campo ortopedico. Nell’articolo corrispondente abbiamo analizzato alcune possibili cause; rileviamo ancora una volta come tale sindrome sia molto frequente in runner che hanno passato i 35 anni e che svolgono un carico allenante notevole o in condizioni non ottimali (percorsi, calzature ecc.).

Parlandone con un medico (sportivo praticante, ma non ortopedico) che mi mostrava come l’atleta “non avesse nulla” (cioè gli esami erano del tutto negativi o presentavano modesti versamenti), mi disse che aveva risolto una patologia simile che lo riguardava con l’uso di cortisonici sistemici.

Il ragionamento è banale e si fonda su alcune considerazioni immediate.

1) In moltissimi soggetti il trattamento con cortisonici per periodi di 7-14 gg. non provoca nessun effetto collaterale e, del resto, sono farmaci usualmente prescritti per gran parte della popolazione, a prescindere dalla pratica sportiva.

2) La sindrome invisibile da carico ha fra le possibili cause una stress reaction o fenomeni autoimmuni (una specie di allergia alla corsa per il troppo correre! Se questa ipotesi sembra fantascientifica pensiamo alle dermatiti da contatto sviluppate dopo anni dalle casalinghe per contatto con detersivi irritanti); in entrambi i casi si può pensare che la normale attività (cioè riposo sportivo e vita usuale da sedentario) possa comunque stressare la parte che continua a essere sollecitata: si pensi per esempio a chi soffre di un problema al ginocchio e sta per ore seduto con le gambe flesse o addirittura accavallate o chi ha un problema alla caviglia e deve salire e scendere scale o portare pesi.

Dal colloquio con il medico pavese sono venuto a conoscenza di altri 22 casi di sindrome invisibile da carico; alla fine (dopo settimane e mesi di cure tradizionali ed esami negativi), trattati con cortisonici sistemici, ben 15 di questi hanno risolto un problema che durava da mesi nel giro di una settimana.

Sintetizzando, si possono riassumere i 22 casi in questi consigli.

Quando si può pensare al cortisonico sistemico – Nei seguenti casi:

  • si è in presenza di una sindrome invisibile da carico di una struttura tendinea od osteoarticolare. Nel caso di una tendinite ben visibile da un’ecografia, di un rotuleo degenerato ecc. è assurdo cercare nel cortisonico la risoluzione del problema (spesso per evitare un intervento).
  • Non si è particolarmente sensibili agli effetti collaterali a breve del cortisonico. A breve significa quelli legati a una somministrazione di 7-14 gg. al massimo. Chiedete al vostro medico per i ragguagli, una volta che ha scelto il farmaco.
  • Si è a riposo sportivo, con grande cura della parte anche a riposo. Non ha senso assumere farmaci per gareggiare (fra l’altro, i cortisonici sono nella lista doping), tanto meno i cortisonici che possono avere spiacevoli effetti collaterali su soggetti predisposti.

Quando non è il caso di usarlo – Nei seguenti casi:

  • come per le infiltrazioni locali, in caso di patologie croniche l’uso di cortisonici sistemici è contrario a ogni logica medica.
  • patologie acute chiaramente diagnosticate e con esami che confermino la diagnosi
  • sensibilità del soggetto agli effetti collaterali del cortisonico patologie invisibili di tipo muscolare
  • soggetti non a riposo (sportivo e/o lavorativo). Nelle sindromi invisibili da carico un errore comune è pensare che possano essere praticati sport alternativi che usano comunque la parte.

Nei 15 casi positivi al trattamento, i miglioramenti si sono avuti entro 7-8 giorni. Non ha nessun senso prolungare il trattamento oltre i 14 gg.

Sindrome invisibile da carico (uno studio su 22 casi)

La sindrome invisibile da carico è l’evoluzione o la complicanza di infortuni tutto sommato modesti

Due ultime fondamentali avvertenze

1) Non fate da soli. Di cortisonici ce ne sono tanti, alcuni dei quali anche nella formulazione ritardata (Bentelan, Kenacort ecc.); ogni famiglia ha effetti collaterali diversi e anche risultati diversi. Rivolgetevi al vostro medico sportivo o al medico curante per ottimizzare la cura e controllare gli eventuali effetti collaterali.

2) I cortisonici sono nella lista doping, per cui non gareggiate (del resto se uno è infortunato…). Tenete presente che alcuni hanno una vita media nell’organismo di settimane, per cui anche in questo caso chiedete al vostro medico.

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