Le discussioni sul ritiro di uno sportivo sono spesso puramente etiche, dimenticando che il ritiro fa comunque parte della strategia della corsa. Affermazioni come “io non mi ritiro mai!” oppure “ma cosa continui a fare, ritirati!”, rivelano una sostanziale ignoranza dei meccanismi della corsa e/o un tentativo di trasporli in chiave etica o psicologica. La prima affermazione è tipica di chi vede il ritiro come un’onta, spesso dimenticando che chiunque si ritiri potrebbe facilmente arrivare alla fine (a meno che non abbia una gamba spezzata!), magari semplicemente camminando. Il non farlo è spesso un rispetto per gli organizzatori e, se vogliamo, per il pubblico. A molte gare assistono anche sedentari e non è affatto positivo vedere un atleta che si trascina penosamente verso l’arrivo (faticare sì, trascinarsi no: questo dovrebbe essere il messaggio che viene comunicato al pubblico): molte leggende metropolitane sui danni da sport derivano anche da spettacoli di atleti che cercavano di finire sui gomiti. Viceversa la posizione di chi si ritira ogni volta che la prestazione non lo soddisfa è tipica di una visione della vita in cui conta solo la vittoria e lo sport non è che un mezzo di affermazione personale.
Poiché le due posizioni estreme sono criticabili, occorre chiedersi: quando il ritiro è accettabile? Analizzeremo tre casi ben distinti: infortunio, ambiente e prestazione.
Ritiro per infortunio
Il ritiro non deve essere visto nell’ottica del dolore che si prova quanto delle conseguenze a medio termine della conclusione della prova. Se l’atleta cade e riporta un trauma che non influisce sull’apparato locomotore, ma solo sulla prestazione perché il dolore lo limita, è possibile continuare. Cioè è necessario analizzare lo svantaggio prodotto dal dolore (in termine di percento perso di prestazione) e il vantaggio di finire comunque la prova: piazzamento, tempo, trasformazione della gara in un buon allenamento ecc.
Se l’infortunio è invece di tipo ortopedico, è ovvio che continuare può aggravarlo sensibilmente e obbligarci a un periodo di stop magari molto lungo. In tal caso il ritiro è ampiamente giustificato.
Il finire a tutti i costi non è un gesto di eroismo, ma di stupidità. Per chi non ne fosse convinto, chiediamoci che cosa trasforma l’eroismo in stupidità? La ripetibilità della prova.
Nel 1979 uscì un bel film interpretato da Michael Douglas (Running); era la storia di un maratoneta americano che coltivava il sogno di vincere le olimpiadi e per tale sogno viveva tutto in funzione della corsa. Fortunosamente ripescato per la squadra americana (era arrivato quarto ai trial), si presentò al via non da favorito, ma preparatissimo. Verso metà gara attaccò e si trovò solo al comando. Poi… una curva viscida, caduta rovinosa e il nostro che resta a terra dolorante, superato da tutti i contendenti. La gara termina, lo stadio si svuota. A sera inoltrata il telegiornale dà la notizia che un maratoneta sta ancora correndo nel buio verso lo stadio olimpico; o meglio, che si sta trascinando verso lo stadio. Gli atleti dal villaggio olimpico si trasferiscono sugli spalti per aspettare il maratoneta che compie l’ultimo giro di pista in mezzo a una folla che lo incita come se fosse il vincitore. Il film (peraltro mai entrato nei circuiti di noleggio) è forse retorico, ma illustra chiaramente la differenza fra eroismo e stupidità: ha senso finire se la prova è unica e irripetibile. Se c’è un’altra maratona, un’altra gara, salvaguardate la vostra integrità fisica.

Il ritiro fa parte della strategia della corsa
Condizioni ambientali inattese
Se il runner si trova coinvolto in un ambiente inatteso, per esempio condizioni meteo proibitive o un percorso alla Rambo, il ritiro è giustificato se la prova è priva di spessore allenante o se è pericolosa per l’incolumità dell’atleta. Altrimenti è opportuno usarla come metodo per contrastare quel tipo particolare di difficoltà. Ritirarsi in un 5000 m perché dopo il primo mille scoppia un acquazzone è fuori luogo, mentre lo è se al decimo km di una maratona si scatena la tormenta. Nel primo caso la prova è comunque allenante, nel secondo sarebbe distruttiva e impedirebbe di riprovare la distanza magari la domenica successiva.
Prestazione insufficiente: il ritiro è giustificato?
È questo l’aspetto più critico. Se motivato solo da una prestazione insufficiente, un ritiro non è mai giustificato, a meno che non si identifichi lo scadimento di prestazione in un episodio acuto come nausea, conati di vomito o qualunque altro malessere. Se “oggi non va”, anziché un ritiro, si può pensare a un buon allenamento, anche con un sensibile rallentamento dell’andatura. È un buon modo di acquisire ulteriori informazioni sul proprio corpo.