Una delle prime domande del runner principiante è: “come deve essere la respirazione nella corsa?”. In genere l’esperto (o il sedicente tale) riflette un attimo e poi spiega come si respira. A questo punto si ingenera un grosso equivoco perché l’esperto non ha fatto altro che descrivere la sua respirazione in un momento particolare (per esempio mentre sta correndo un fondo lento, descrivendo come si muove il diaframma, il ritmo della respirazione, la profondità del respiro ecc.), mentre il principiante pensa che quello sia un modo diverso di respirare tipico del runner evoluto, che va quindi imitato. La risposta giusta alla domanda è una sola: naturale. La respirazione nella corsa deve essere naturale. Nelle parti teoriche sui parametri polmonari e sul rapporto fra prestazione e respirazione siamo arrivati a due conclusioni importanti: a) la funzione polmonare non è il collo di bottiglia del sistema che in genere viene bloccato da altri limitatori; b) i muscoli respiratori si allenano come tutti gli altri e aumentano le loro prestazioni con l’allenamento. È pertanto errato forzare la respirazione, sia rallentandola sia velocizzandola, sia diminuendo o aumentando i flussi inspirati o espirati. Sono tutte strategie errate.
Respirazione nella corsa – Lo studio sui campioni
Lo studio dei migliori atleti rivela, per esempio, che su una gara di 10 km respirano 2 a 2, cioè che l’inspirazione dura il tempo di fare due passi; lo stesso vale per l’espirazione: in totale un ciclo dura quattro passi.
Se la corsa è più lenta si arriva anche a una frequenza di 3 a 3 o di 4 a 4, mentre su gare più corte, nella parte finale, si passa a quella di 2 a 1.
Per calcolare il proprio ciclo è sufficiente correre a velocità costante e calcolare in un minuto quanti passi si fanno e nel minuto successivo quanti respiri si utilizzano. A questo punto si divide il numero di passi per il numero di respiri.
Questo, però, deve essere un dato statistico, una pura curiosità. Infatti, se è vero che i campioni respirano con una certa frequenza, è anche vero che una loro pedissequa imitazione può portare a un peggioramento della situazione, creando una serie di problemi, i più importanti dei quali sono:
a) mal di milza o mal di fegato; gli organi compressi da una respirazione innaturale reagiscono con dolorabilità. Da notare che durante lo sforzo massimo con respirazione molto accentuata (leggasi fiatone) tali organi sono comunque compressi, ma la dolorabilità non si avverte perché nascosta dal superamento della soglia di fatica. A basse velocità, se invece si forza la respirazione, la milza o il fegato protestano per essere sottoposti a uno stress inutile.
b) Cattiva concentrazione. L’atleta sposta il focus dell’attenzione sulla respirazione, una tecnica che di per sé potrebbe essere positiva se fosse vissuta come agente stimolante o di controllo della corsa (respiro ancora facile, vado bene). In questo caso però è vissuta come agente disturbante perché “deve” essere eseguita “in un certo modo”, quindi con inutile dispendio di energie nervose.
c) Eccessivo dispendio energetico. Anche i muscoli della respirazione consumano energia e accumulano acido lattico. Un loro uso “forzato” sottrae energia all’atleta e abbassa il suo massimo consumo di ossigeno.
Infine, è importante notare come anche cercare di sincronizzare la respirazione con la falcata sia un inutile esercizio che aggrava ulteriormente i punti b) e c).
A livello psicologico e tattico si deve anche ricordare l’abitudine di certi runner di avere una respirazione “rumorosa” con rantoli più o meno accentuati, a mo’ delle grida che usano i lanciatori al culmine del lancio dell’attrezzo. In alcuni atleti ha una valenza psicologica (scaricano la fatica), mentre in altri, nel corso di una competizione, è tipicamente tattica. Far sentire la fatica all’atleta che ci precede può illuderlo di aver facilmente gioco della nostra condizione e predisporlo a differire l’attacco perché “tanto chi mi segue è un cadavere”. Salvo poi scoprire che nell’ultimo km il “cadavere” risorge…

La respirazione nella corsa deve essere “naturale”
La capacità polmonare può aumentare?
Molti si chiedono se sia possibile aumentare la capacità polmonare. Forse molti resteranno sorpresi, ma la risposta è no. Infatti, dopo l’adolescenza, un muscolo può ancora crescere, ma un osso o un polmone non possono farlo.
Non è possibile aumentare la capacità polmonare per il semplice fatto che il tessuto polmonare non può crescere per moltiplicazione (a differenza di quanto accade con i muscoli, non esistono tecniche che aumentino il numero dei componenti le strutture polmonari), né per ipertrofia.
In sostanza, manca proprio la capacità di crescere, tant’è che nei suonatori di tromba professionisti la capacità polmonare non aumenta, ma gli alveoli “si sfondano”, portando spesso a forme enfisematose.
Insomma, la capacità polmonare è come l’altezza, dopo l’età dello sviluppo non aumenta più; con l’esercizio si può arrivare ad adoperare una parte polmonare che nelle funzioni normali non viene sfruttata, ma in realtà non abbiamo aumentato la capacità polmonare che la natura ci ha dato, quella è e quella resta.
Anche soffiare in camere d’aria (assurda tecnica usata da allenatori per “fare il fiato”) provoca solo danni e non vantaggi. Quindi imparare a respirare meglio è l’unica prospettiva.