Quanto tempo per il top? È questa la domanda che si pongono molti runner amatoriali. Gran parte di essi iniziano la loro vita sportiva oltre i 35-40 anni, spesso dopo una vita da sedentari. Nei primi anni non è raro assistere a notevoli progressi, nonostante che teoricamente a tale età si debba (nella migliore delle ipotesi) perdere circa 1″/km. Scatta allora nell’amatore l’illusione del miglioramento perenne che diventa l’unica motivazione della corsa, dimenticando totalmente gli aspetti salutistici che erano stati alla base della svolta nelle proprie abitudini. Perché esistono atleti che migliorano per una decina di anni in modo continuo e altri che invece dopo due anni sono già in stallo? Per rispondere a questa domanda è necessario separare i miglioramenti oggettivi da quelli fittizi.
I miglioramenti fittizi
Sono di diversa natura, ma si possono ricondurre genericamente al concetto che
l’atleta si confronta con un suo stato che non era ottimizzato.
Per spiegare questa frase che può risultare di difficile comprensione facciamo gli esempi più classici.
Il peso – Prima di occuparmi di alimentazione, molti anni fa correvo i 5000 m in 18’35” (1980), mangiavo “normalmente”, ero normopeso per un dietologo classico (64 kg per 170 cm) e ritenevo che lo sport servisse a mantenermi in peso forma, peso forma che naturalmente ero convintissimo fosse quello che avevo! Avvicinatomi ai 40 anni le prestazioni incominciavano a decadere senza pietà nonostante mi allenassi con piacere e costanza; era ormai difficile scendere sotto i 19’30” (ero arrivato sui 68 kg, ma con l’età, si sa, si aumenta di peso!). La svolta mi fu data da un mio compagno di allenamenti che “intuì” l’importanza del peso (allora sulle riviste di settore l’argomento era del tutto trascurato); decisi di occuparmi di alimentazione. In una stagione persi circa 10 kg e migliorai le mie performance di 25″/km circa. Molti amatori ripercorrono il mio stesso percorso diluendolo in più anni e ovviamente i benefici li conseguono poco a poco.
La frequenza dell’allenamento – Sia per motivi oggettivi (la capacità di recupero che all’inizio non permette allenamenti frequenti) sia soggettivi (tempo e motivazioni), molti amatori iniziano con tre allenamenti alla settimana, poi passano a quattro e solo dopo diversi anni arrivano a un allenamento professionale con 5-6 allenamenti settimanali.
La distanza – È questo uno dei casi più comuni di miglioramento fittizio e di solito si verifica perché l’atleta “cambia” distanza, allungando la gittata. Se negli anni precedenti ha corso la mezza maratona o la maratona solo occasionalmente, quando decide di provarle seriamente, è ovvio che migliorerà, ma già prima (con un allenamento “serio”) valeva il tempo realizzato. È importante cioè confrontarsi sempre con la propria miglior prestazione in assoluto, parametrandola sulla nuova distanza.
Nel mio caso ho corso dal 1980 dieci maratone, mai preparandole accuratamente, ma semplicemente inserendo qualche allenamento ad hoc a fine stagione, dopo aver corso le classiche distanze dell’amatore domenicale (dai 5000 alla mezza). Nel 2003 a 49 anni ho fatto il mio record (2h58’43”), sicuramente significativo perché il grado di allenamento era stato lo stesso delle volte precedenti. Se l’anno successivo avessi deciso di dedicarmi alla maratona e di prepararla per un paio di anni e alla fine del 2005 avessi ottenuto 2h58′, il mio miglioramento sarebbe fittizio perché, parametrando i risultati su gare più corte, il mio valore “ottimale” sulla maratona era di poco più di 2h52′ (considerando l’invecchiamento, si poteva sempre e comunque parlare di 2h55′-2h56′).

Esistono atleti che migliorano per una decina di anni in modo continuo e altri che invece dopo due anni sono già in stallo
I miglioramenti reali
Sono quelli che nascono dal naturale processo fisiologico di miglioramento delle caratteristiche dell’atleta in presenza di allenamento intenso e frequente. Per un amatore l’ultima frase significa almeno allenarsi “correttamente” (qui si tratta di analizzare che non ci siano grossolani errori nella programmazione) per almeno 5 volte alla settimana.
I primi studi globali sull’effetto dell’allenamento aerobico (cioè del corridore di fondo) risalgono a Saltin (1977) e sono stati confermati successivamente da molti ricercatori, nonché dall’esperienza pratica. Il primo dato che si trova è che:
le varie grandezze fisiologiche raggiungono il top in tempi diversi.
Conoscere tale tempo consente anche di programmare meglio l’allenamento, distinguendo fra sedute di miglioramento (per quei parametri ancora da ottimizzare) e sedute di mantenimento (per quelli già ottimizzati). Se, per esempio, so che la grandezza X è ottimizzata dopo due mesi, è abbastanza inutile che cerchi di migliorarla ulteriormente inserendo sedute orientata a essa; è sicuramente più produttivo eseguire dei semplici richiami.
Dalla ricerca si scopre che esistono quattro periodi di miglioramento.
Primo periodo – Dura due mesi ed è il periodo delle grandezze rapide. Incredibilmente alcune grandezze non migliorano più dopo due mesi di allenamento ottimale (ovviamente dire che il miglioramento si è saturato non vuol dire che è impossibile un lievissimo ulteriore miglioramento, ma per l’amatore ciò ha un’importanza veramente molto relativa).
Secondo periodo – Arriva fino a 5 mesi ed è il periodo delle grandezze standard.
Terzo periodo – Arriva fino a un anno ed è il periodo delle grandezze lente.
Quarto periodo – Arriva fino a due anni ed è il periodo delle grandezze lentissime.
Vediamo quali sono i tempi di andata a regime (top time) delle varie grandezze.
Grandezze rapide (due mesi)
Dimensione delle fibre lente (Saltin, 1977)
Adattamento psicologico (Landers, 1994)
Volume plasmatico (Luetkemaier, 1994)
Frequenza cardiaca (McArdle, 1993)
Grandezze standard (cinque mesi)
Gittata cardiaca (McArdle, 1993)
ATP, CP e glicogeno (McDougall, 1977)
Grandezze lente (un anno)
Capillarizzazione (Saltin, 1977)
Massimo consumo di ossigeno (Saltin, 1977)
Miglioramento del potenziale ossidativo delle fibre lente (Saltin, 1977)
Grandezze lentissime (due anni)
Enzimi del ciclo di Krebs (Saltin, 1977)
Tipologia delle fibre muscolari (diversi autori)
Teoria e pratica – In pratica si riscontra che per molti amatori vale il discorso teorico: dopo due anni raggiungono il top delle loro prestazioni. Per altri non è così. Si potrebbe facilmente concludere che il loro allenamento non è ottimale e lo diventa solo con il tempo (per esempio chi passa da tre a sei sedute settimanali), ma il vero fattore che impedisce l’andata regime è il deallenamento.
Il discorso teorico vale solo se l’allenamento è continuativo.
In altri termini, un infortunio o un periodo di pausa volontaria ci fanno tornare indietro verso la condizione di principianti. Ovviamente non si perde tutto, ma i due anni teorici possono diventare anche dieci!
Realisticamente si può pensare che ai fini del deallenamento siano influenti periodi di stop superiori alle tre settimane. Diventa perciò strategicamente corretto cercare di evitare periodi di stop troppo lunghi, inserendo eventualmente dei semplici periodi di mantenimento.
Se per migliorare è necessario allenarsi almeno cinque volte alla settimana, per non peggiorare spesso bastano due sedute settimanali. Questo concetto è erroneamente applicato da tutti coloro che pensano di dimostrare che con solo tre sedute settimanali sono in grado di ottenere grandi risultati: in realtà, mantengono una condizione non ottimale; aumentando la frequenza degli allenamenti (in modo sensato!) ovviamente non potrebbero che migliorare.