Nuoto e corsa possono convivere tranquillamente? La domanda è lecita perché la pratica del nuoto è comune a molti runner per motivi di puro divertimento, per necessità (infortuni) o perché componente fondamentale del triathlon. Tralasciando quest’ultimo caso (si suppone che il triathleta sappia come allenarsi!), è facile riscontrare un approccio al nuoto decisamente errato, spesso causato da una cattiva comprensione dei meccanismi che sono alla base di questo sport. Per ragioni di spazio, la trattazione che seguirà è un po’ approssimativa, ma sufficientemente precisa per poter dedurre comportamenti praticamente utili. La prestazione di un nuotatore è limitata principalmente da tre fattori: 1) il costo energetico della nuotata; 2) le qualità aerobiche; 3) le qualità lattacide. Il primo punto può essere visto come efficienza della “macchina” atleta. In esso confluiscono forza muscolare e tecnica di esecuzione e sta qui la differenza più significativa fra nuoto e corsa. Nella corsa la tecnica di esecuzione è piuttosto ininfluente: in letteratura esistono casi di coefficiente 0,82 e 1,1. Ciò significa che la spesa di chi corre benissimo è 0,82x(km percorsi)x(peso), mentre per chi corre malissimo è 1,1x(km percorsi)x(peso). In altri termini, per un soggetto di 70 kg che corre bene, la spesa per percorrere 10 km è di circa 575 kcal, mentre se corre male è di circa 770. Questo a prescindere dal fatto che il soggetto sia un professionista o un dilettante.
Nel nuoto invece tale scarsa variabilità si ha solo per i professionisti (che non arriverebbero ai massimi livelli con una tecnica scadente). Se si esamina la massa della popolazione che sa stare per lo meno a galla, si riscontrano spese energetiche molto variabili a parità di distanza percorsa. Nel nuoto è necessario spendere energia per il galleggiamento e contemporaneamente per procedere. La resistenza del mezzo (che nella corsa è rappresentata dalla resistenza dell’aria) all’avanzamento è notevole; tale resistenza (drag) dipende dalle caratteristiche del fluido (acqua), dalla sezione frontale del nuotatore, da un coefficiente aerodinamico e dalla velocità. Tutto ciò comporta che il costo energetico nel nuoto, a pari velocità, sia quattro volte quello della corsa.
Tale dato non deve però impressionare. Su un 1500 m corso in 5′, l’atleta tiene la velocità di 18 km/h. Per avere la stessa spesa energetica (nell’unità di tempo), nuotando dovrebbe tenere la velocità di 4,5 km/h, cioè percorrere il tratto in 20′. Per chi sa interpretare questi numeri, è chiaro che è molto più probabile trovare un atleta che corra i 1500 in 5′ che un nuotatore che copra la distanza in 20′. Se poi consideriamo soggetti non allenati (come lo sono i runner che si danno al nuoto come sport alternativo e provvisorio) si scopre che la spesa energetica è drasticamente inferiore, soprattutto se si tiene conto che il runner in genere ha una parte superiore del corpo decisamente poco sviluppata.
Supponiamo che un runner di 70 kg corra i 1500 m in 5′. Lo stesso runner nuota per 30′ (che è già un buon tempo per un soggetto non allenato) e compie 1500 m. Vuol dire che nuota a 3 km/h equivalenti a una spesa energetica di 12 km/h di corsa. In un’ora brucerebbe di corsa 840 kcal, quindi in mezz’ora di nuoto brucia 420 kcal circa. Tale dato è medio e tiene conto del fatto che la prestazione non proprio esaltante di 30′ è ottenuta anche perché il soggetto non ha presumibilmente un galleggiamento da campione. Non a caso i nuotatori d’élite hanno un costo energetico inferiore. Da notare che poi le donne hanno un miglior galleggiamento e una posizione più aerodinamica, per cui la spesa energetica è inferiore del 30% rispetto agli uomini.

Nuoto e corsa possono convivere tranquillamente?
Tutti questi dati per arrivare a cosa?
L’atleta considerato, se corre, in 30′ percorrerebbe sicuramente circa 8 km di corsa (3’50″/km circa, visto che vale 3’20” sui 1500) con una spesa energetica di almeno 560 kcal, il 25% in più. Rifacendo i conti, più il soggetto è scadente nel nuoto e più la spesa complessiva (a parità di tempo) è inferiore rispetto alla corsa.
Ecco perché molti piani di dimagrimento basati sul nuoto falliscono (soprattutto per le donne che, come detto, hanno una spesa ancora inferiore).
(1) Se nuotate male, non sperate di dimagrire nuotando.
I dati esaminati hanno però anche un’altra implicazione pratica. Se il soggetto nuota male, è portato a percorrere tratti lunghi e molto lenti. Diminuendo la velocità, la maggior parte dell’energia spesa va alla componente di galleggiamento che in genere è nettamente inferiore rispetto a quella di avanzamento. Rifacendo i conti per un soggetto che percorre 1500 m in un’ora, si scopre che brucia 420 kcal in un’ora. Se come accade per molti runner non abili nuotatori, nuota mezz’ora alla velocità di 1,5 km/h brucia solo 210 kcal.
Questo dato conferma la (1), ma soprattutto indica che per un cattivo nuotatore non esiste un problema energetico, per cui
la strategia di nuotare a lungo si traduce in un lavoro a bassissima intensità, praticamente equivalente al camminare.
L’allenamento delle caratteristiche aerobiche – Abbiamo visto che la spesa energetica nel nuoto è abbastanza limitata per un nuotatore non allenato. Già questo dato dovrebbe indicare che conviene cercare di nuotare alla massima velocità possibile. Tale indicazione è però troppo generica se non la si lega a una distanza. I dati che servono per arrivare a una decisione sono:
- i nuotatori che esplicano maggiore potenza nella bracciata sono quelli che riescono a tenere una maggiore velocità nei 50 m (vale per tutti gli stili).
- Esiste una correlazione fra la soglia anaerobica di un nuotatore (4 mmol/l) e la velocità mantenuta su distanze che vanno dai 200 m in su.
Se si considerano soggetti non allenati al nuoto, appare evidente che, se si vogliono allenare le caratteristiche aerobiche del soggetto (eventualmente utili anche nella corsa), la distanza su cui eseguire ripetute è quella dei 200 m. In tal modo si evita ogni limitazione: su distanze più brevi, dovuta al fatto che l’atleta avrà presumibilmente una bracciata scarsa (non è allenato e la sua tecnica lascia molto a desiderare) e, su distanze più lunghe, dovuta al fatto che la velocità diminuisce così drasticamente da rendere lo sforzo quasi basale.
In un soggetto allenato su tale distanza la ripetuta va nuotata a circa il 3% più veloce della soglia anaerobica (ottenibile dalla velocità di 30 minuti di nuoto continuato). Per un atleta non allenato le cose possono complicarsi perché non è facile dire quale sia la sua soglia anaerobica semplicemente con un riscontro pratico.
La cosa che non deve stupire è che, poiché la quantità di lattato prodotta non è particolarmente elevata (rispetto alla corsa), i recuperi sono molto brevi, arrivando al massimo a 30″.
Ricapitolando per un soggetto non allenato al nuoto, come allenamento per cercare di mantenere la potenza aerobica raggiunta con l’allenamento alla corsa, appare ragionevole una seduta di ripetute da 200 m con 30″ di recupero.
Basta questa discussione teorica per dimostrare ancora una volta che il nuoto in un soggetto non allenato a tale sport offre veramente poche possibilità di mantenere la condizione aerobica proveniente dalla corsa. Infatti ripetute di 200 m con recuperi brevi sono tutt’altro che facili per chi nuota male…
A complicare il tutto, il fatto che il massimo consumo di ossigeno è relativo al muscolo coinvolto nel gesto atletico. Si è scoperto (Lortie, 1986, e Schulman, 1989) che le misure delle varie grandezze dipendono dalla massa muscolare attivata. Ciò significa che se il gesto atletico è diverso ottengo risultati diversi. Quindi, quando parlo di massimo consumo di ossigeno per un runner mi riferisco ai muscoli delle gambe; per un nuotatore a muscoli diversi. In particolare, il massimo consumo di ossigeno di un nuotatore risulta del 20% in meno se misurato sul tapis roulant. Come dire: parte dell’allenamento aerobico svolto per il nuoto va perso per la corsa (presumibilmente quello che interessa i muscoli delle braccia).
L’allenamento delle caratteristiche lattacide – Abbiamo visto che la relazione corsa-nuoto non è particolarmente esaltante per consumi energetici e per allenabilità aerobica. Le cose non sono affatto migliori per quanto riguarda l’allenamento lattacido. Confrontiamo infatti le produzioni di acido lattico alla fine di varie prove di nuoto o di corsa.
Distanza | Corsa | Nuoto |
100 m | 13 mmol/l | 14 mmol/l |
200 m | 20 mmol/l | 16 mmol/l |
400 m | 26 mmol/l | 14 mmol/l |
800 m | 27 mmol/l | 12 mmol/l |
1500 m | 22 mmol/l | 9 mmol/l |
I dati devono essere considerati indicativi e si riferiscono a valori ematici alcuni minuti dopo le prove (Arcelli, 1995).
Balza subito all’occhio che i valori nel nuoto sono nettamente più bassi, probabilmente perché le masse muscolari principalmente coinvolte sono di minori dimensioni (braccia contro gambe). Considerando che al termine di un 10000 m la concentrazione arriva a 8 mmol/l, è ragionevole pensare che, se il nuotatore si produce su una distanza lunga, l’allenamento lattacido sarà paragonabile a quello ottenibile con una gara di corsa su 10-12 km, risultando decisamente inferiore rispetto a quello che si può ottenere con le classiche ripetute brevi.
Anche scegliendo la miglior distanza (che come per l’allenamento aerobico sono i 200 m), si ottiene un valore di lattato decisamente basso, paragonabile a 3-4 ripetute sui 400 m alla velocità degli 1500 con 1′ di recupero. In altri termini:
non è possibile mantenere l’allenamento lattacido della corsa con un programma di nuoto.
Se per un nuotatore d’élite si ottengono i massimi risultati lavorando sulla tolleranza al lattato (con ripetute fra i 50 e i 200 m e recuperi fra i 45″ e i 2′) e sul picco di lattato (distanze comprese fra 50 e 75 m con recupero di 90″ e 120″), per un nuotatore occasionale i migliori risultati si ottengono con prove sui 200 m. Il recupero deve essere piuttosto ampio per poter consentire al termine di ogni prova di arrivare a concentrazioni di lattato notevoli che, se nel nuoto possono non servire, sicuramente sono utili nel cercare di mantenere l’aspetto lattacido di un runner.
Dall’analisi completa di quanto detto, sembra che per il runner che si è rivolto per necessità al nuoto l’allenamento migliore sia rappresentato dalle ripetute sui 200 m. Il recupero sarà breve se si vuole mantenere la potenza aerobica e sarà più lungo se si vuole mantenere la capacità lattacida.
Chi non ha un galleggiamento e un’acquaticità sufficienti per sostenere un allenamento di tale livello non può ragionevolmente pretendere che il nuoto mantenga la condizione atletica raggiunta con gli allenamenti della corsa.