Migliorare nella corsa ovvero: fin dove posso arrivare? Questa domanda affligge molti amatori che si sono avvicinati alla corsa con passione e continuità. Sicuramente si tratta di una domanda legittima, ma non deve trasformarsi nell’unico motivo che spinge a correre. Purtroppo chi inizia a correre con apparente umiltà spesso si rivela insofferente quando si accorge che i miglioramenti sono ormai molto ridotti e, resosi conto che non diventerà mai un campione, abbandona, rivelando che il suo amore per la corsa era molto superficiale. In questo articolo passiamo in rassegna, quantificandoli, i principali parametri che influenzano il miglioramento atletico, ovvero l’allenamento (sia in riferimento alla quantità che alla qualità), la vita atletica, il peso, gli infortuni e l’età. Saranno presi in considerazione anche altri fattori che però sono decisamente meno influenti di quelli citati in precedenza.
Migliorare nella corsa – L’allenamento (quantità)
È ovvio che, allo scopo di migliorare nella corsa, un conto è allenarsi 3 giorni alla settimana e un conto è allenarsi 6 giorni su 7.
Premesso che con due soli giorni di allenamento non si hanno dati stabili (nel senso che alcuni soggetti riescono a mantenere uno stato di forma decente mentre altri assolutamente no) e che allenarsi oltre sei giorni alla settimana non è sempre detto che faccia migliorare la prestazione, si possono stimare i seguenti peggioramenti dovuti a una rarefazione dell’allenamento (ovviamente sono dati medi e relativi a un allenamento qualitativamente corretto):
- 3 giorni: +12″/km
- 4 giorni: + 6″/km
- 5 giorni: + 2″/km
- 6 giorni: 0″/km.
In altri termini, molti runner si trovano a migliorare nella corsa semplicemente perché si allenano di più. Occorre però leggere bene i dati. Innanzitutto smontiamo il sogno di chi crede che, allenandosi, si possa arrivare a qualunque risultato.
La popolazione è suddivisa in grandi classi geneticamente predisposte alla corsa di resistenza; a titolo di esempio potremmo pensare che ognuno di noi abbia scritto nei geni un intervallo di tempi, per esempio 2h10′-2h20′ o 3h10′-3’30′ in maratona. Con l’allenamento possiamo tendere al limite inferiore di questo intervallo, ma non “passare di livello”. L’allenamento cioè conta solo per farci ottenere il meglio nell’insieme cui geneticamente apparteniamo.
Per conoscere approssimativamente il limite inferiore della classe di appartenenza basta partire dal proprio valore attuale e cercare di ottimizzarlo teoricamente in base ai parametri dati in questo articolo.
Migliorare nella corsa – L’allenamento (qualità)
Se si scorporano i miglioramenti dovuti alla vita atletica, al peso e alla quantità, si vedrà che gli allenatori non possono certo fare salti di gioia. Supponiamo infatti che un allenatore decida di prendere sotto la sua custodia un runner che corre da sei mesi tre volte alla settimana (175 cm per 75 kg) e che ha deciso di fare finalmente “sul serio”. Decide di allenarsi sei volte e, come prima prova, esegue un test sui 10000 m, ottenendo un bel 48′. Dopo un anno con il nuovo coach l’atleta corre in 41′: eterna gratitudine per il coach. Ma a un’analisi più approfondita scopriamo che 5″/km li ha guadagnati perché è passato un anno, 25″/km li ha guadagnati perché è dimagrito 10 kg e 12″/km li ha guadagnati perché si allena sei giorni su sette. Totale dei guadagni: 7 minuti. Vuol dire che l’allenamento qualitativamente non ha fatto guadagnare nulla!
Questo esempio dovrebbe far riflettere tutti quei runner che sono all’eterna ricerca del miglior allenatore o della migliore tabella. Quando si supera un certo livello di professionalità (che tutti gli addetti ai lavori hanno), cambiare tabella o allenatore può far migliorare, ma i professionisti insegnano che tale miglioramento è minimo, massimo 5″/km. Ovvio che tale miglioramento può portare un top runner a vincere le olimpiadi e quindi il cambio di allenatore è più che giustificato, ma nel caso di un amatore il miglioramento resta solo un’illusione e, come detto, è dovuto ad altre cause. Nel mondo amatoriale la tabella o l’allenatore dovrebbero essere scelti in base al proprio gradimento psicologico; con questa strategia è pensabile che si possa veramente arrivare a quel margine teorico di 5″/km, anche se molto spesso non si guadagna che la metà.
La vita atletica
Il miglioramento dovuto alla lunghezza della vita atletica (cioè, in parole povere: da quanto si corre) è legato al fatto che, a differenza dei giovani che vengono orientati a una disciplina se è chiara la loro predisposizione, spesso un amatore si avvicina alla corsa senza esservi particolarmente portato. Chi per esempio arriva da altri sport (calcio, tennis, basket ecc.) o dalla vita sedentaria non ha certo un fisico predisposto per la corsa di resistenza. Deve costruirselo. È questione di fibre (le veloci che si trasformano in lente o che comunque imparano a lavorare come quelle lente), di metabolismo, di psicologia ecc. Ovviamente
si continua a migliorare nella corsa finché questa trasformazione è arrivata al massimo consentito dal proprio organismo.
Se non intervengono inversioni di tendenza (per esempio un runner che continua a giocare a calcio o a tennis o un sedentario che smette di correre nei mesi invernali), il periodo di miglioramento (significativo) dovuto alla trasformazione atletica può durare non oltre 5 anni: se addirittura ci si allena “professionalmente” fin dai primi tempi, tale periodo si riduce a 2 soli anni. Chi corre da più di cinque anni con regolarità e senza diversioni verso sport di potenza o di velocità ha già un fisico predisposto al fondo; i miglioramenti eventuali deve ricercarli in altri fattori.
Per capire quale può essere il miglioramento dovuto alla trasformazione del proprio fisico si devono considerare due concetti:
- la vita atletica è tanto più importante quanto è lunga la distanza considerata; “praticamente” è ininfluente per i 3.000 m (cioè per migliorare sui 3.000 m si deve lavorare sugli altri fattori, ma non sulla vita atletica).
- I tempi di un soggetto teoricamente ottimizzato sulle varie distanze sono fra di loro correlati.
Il test – Per trovare a che punto si è della propria vita atletica, basta correre un 3.000 m (con una finalità diversa rispetto al test di Cooper), verificare a che ritmo si è andati al km e parametrare il dato sulle distanze più lunghe. 5.000 m +4-5% (cioè se si va a 3’20″/km sul tremila, si andrà a 3’28″-3’30″ sul cinquemila); 10.000 m + 8-10%; mezza maratona +13-15%; maratona +20-25%.
I dati precedenti ci dicono che molti amatori continuano a migliorare in maratona semplicemente perché sono ancora troppo giovani. Per esempio, un soggetto che corre i 3.000 m in 12′ può correre teoricamente la maratona in 3h25′ circa anche se la prima l’ha conclusa in 4h15′: fino a 3h25′ i miglioramenti sono già scritti nelle sue potenzialità e sono solo fittizi, dovuti al fatto che sulle lunghe distanze non era fisiologicamente pronto.

Migliorare nella corsa: fin dove posso arrivare? Questa domanda affligge molti amatori che si sono avvicinati alla corsa con passione e continuità
Il peso
Per un amatore il peso è sicuramente il fattore più importante per migliorare nella corsa; spesso è la vera causa di miglioramenti attribuiti ad allenamenti miracolosi. Chi inizia ad allenarsi seriamente è ovvio che migliori, ma, se vuole valutare la bontà dei metodi di allenamento, deve scorporare i benefici derivanti dalla diminuzione di peso. Il vantaggio di un dimagrimento si esprime in circa 2,5″/km per kg di peso in un individuo di 70 kg. È maggiore per chi pesa di meno e minore per chi pesa di più. Da notare che non si fa riferimento alla massa grassa, poiché anche avere muscoli potenti comporta comunque un handicap perché occorre portarseli dietro.
Il fattore peso non deve innescare spirali anoressiche. Anche in questo caso, se è corretto affermare che ognuno può arrivare senza problemi per la salute e per la prestazione al 10% di massa grassa (18% per le donne), scendere sotto con profitto è un fatto puramente soggettivo: il campione è tale anche perché riesce a ottimizzare positivamente il grasso corporeo.
Gli infortuni
I primi quattro fattori analizzati sono quelli veramente importanti al positivo. I prossimi due che analizzeremo sono importanti, ma, purtroppo, al negativo, andando a modulare negativamente i fattori positivi.
Il primo è la predisposizione agli infortuni. Ogni runner dovrebbe avere presente la propria distanza critica, ma soprattutto capire che quanto più stressa il proprio fisico arrivando vicino ai suoi limiti, tanto più aumenta la probabilità di infortunio con stop che possono addirittura peggiorare la prestazione sul medio-lungo periodo. Quindi, ricordarsi sempre che, se è vero che passando da 3 a 6 giorni alla settimana posso guadagnare 12″/km, occorre verificare di essere in grado di reggere il nuovo carico allenante!
L’età
Il secondo fattore negativo è rappresentato dall’età. È ormai stabilito da molte ricerche che la perdita media con l’età dopo i 35-40 anni (l’inizio del peggioramento è soggettivo) è di 1,5-2″/km per anno (nell’ipotesi migliore). In realtà, molti runner perdono molto di più a causa di uno stile di vita sbagliato, non solo dal punto di vista salutistico (fumo, alcol, nessun controllo dell’alimentazione, eccessivo stress ecc.), ma anche per un atteggiamento negativo nei confronti dell’invecchiamento. Chi è convinto che con l’età si devono fare cose diverse, modifica i propri allenamenti facendoli diventare molto più blandi e quindi sottoallenanti.
Per approfondire questo punto si consulti l’articolo Invecchiamento nello sport.
Migliorare nella corsa – I fattori poco influenti
Sono tutti fattori che non promettono grandi miglioramenti pratici; gli amatori spesso li sopravvalutano, scimmiottando i professionisti. Per capire perché questi fattori sono poco influenti si consideri l’analogia del professionista. Ci si chieda:
considerato il fattore X, esiste qualche professionista (atleta già ottimizzato nei fattori fondamentali) che, migliorando X, è significativamente migliorato per esempio passando da un anonimo 14′ sui 5.000 m a un 13′ di valore mondiale?
La psicologia – Importantissima per diventare campioni, ma veramente difficile da modificare, soprattutto in un soggetto adulto. Per essa vale sicuramente l’analogia del professionista. Non a caso, ho sempre sottolineato il fatto che solo un soggetto equilibrato riesce a ottenere il meglio dal proprio corpo con un insieme di tecniche che possono far migliorare di 3-5″/km al massimo.
Gli integratori – Anche in questo caso gli amatori scimmiottano i professionisti illudendosi che un integratore usato dal top runner Tizio per migliorare di 1″/km possa farli migliorare di 10′ in maratona. Sinteticamente, non esiste nessun integratore in grado di far migliorare significativamente la prestazione, alcuni possono non farla peggiorare nel tempo. Su questo punto rimandiamo all’articolo Integratori: quando non funzionano.
L’alimentazione – Come esperto di alimentazione, dovrei dire che mangiando benissimo si può incominciare a “volare”. In realtà, sarebbe solo una pia illusione. Una volta che il peso è ottimizzato, è dimostrato dalla differenza di stile alimentare di molti recordman professionisti che non esiste un modello alimentare vincente, basta evitare grossolani errori. Stesso discorso per le presunte intolleranze alimentari (per un approfondimento rimando all’articolo sulle intolleranze) per le quali vale l’analogia del professionista: nonostante ci siano medici che seguono sportivi cercando di convincerli che, guarendo un’intolleranza, migliorerebbero tantissimo, non esistono casi di atleti forti a livello nazionale, ma mediocri a livello internazionale, che abbiano guadagnato 5-10″/km grazie alla cura di un’intolleranza, arrivando ai vertici mondiali.
Il materiale – Qui stiamo già raschiando il fondo del barile. Con l’esperienza, il runner arriva a conoscere quali sono le migliori condizioni di corsa: scegliere l’abbigliamento sbagliato è praticamente impossibile. Discorso diverso riguarda le scarpe. Anche se molti studi sottolineano il peso delle scarpe (100 g ai piedi 1″/km, quindi indossare scarpe da 200 g o da 300 fa una differenza di 10″ sui 5000 m), è vero che questi studi prendono in esame distanze sufficientemente corte. Correre maratone con scarpe troppo leggere significa amplificare i microtraumi, rendere meno elastiche le gambe quando la fatica comincia a farsi sentire e quindi ridurre l’efficienza. Quindi occhio al peso della calzatura, ma senza diventare maniaci. È molto più importante la comodità della scarpa che deve fondersi completamente con lo stile di corsa.
Il potenziamento – Punto dolente. Non è sperabile un aumento prestativo con un aumento delle performance muscolari. Questo è tanto più vero quanto più la distanza è lunga (sugli 800 m evidentemente il discorso sarebbe diverso). Infatti la corsa stessa predispone i muscoli ad avere la giusta potenza. Mentre nel mezzofondista veloce gli allenamenti sono troppo intensi per avere una durata significativa sul potenziamento muscolare (e quindi ci vuole un’integrazione in palestra), nel runner di lunghe distanze la durata degli allenamenti ha anche un effetto potenziante.
I miglioramenti vantati da amatori dopo qualche mese di palestra in realtà sono dovuti a un fisiologico aumento di tono muscolare che si sarebbe avuto anche con la corsa semplicemente incrementando il numero dei chilometri percorsi.
Per approfondire si consulti l’articolo: Potenziamento: a ciascuno il suo.
Lo stile di corsa – La cosa più buffa è vedere runner attempati che cercano di cambiare il loro stile di corsa (per approfondire si consulti il nostro articolo Efficienza della corsa). A parte il fatto che spesso la cosa conduce a infortuni, la probabilità di modificare il gesto atletico ormai consolidato da anni è veramente minima (diverso è lo stato di un bambino dove l’imposizione di uno stile può anche modificare correttamente la crescita muscolo-scheletrica). Ci sono campioni che corrono malissimo eppure sono estremamente efficienti. Per chi non ne fosse convinto basta citare lo studio conclusivo di Heinert (1988) secondo cui il passo più spontaneo è quello che minimizza il dispendio energetico. Come dire: cambiate stile, correrete meglio, ma sprecherete di più. In seguito agli studi di Minetti (1994-1995) è ormai consolidato che:
non è possibile definire uno stile ottimale per il runner.
Approfondimenti: Quanto tempo per il top? – Come migliorarsi in maratona.