Il lunghissimo è sicuramente l’allenamento fondamentale per la maratona ed è quindi naturale che la sua evoluzione sia l’aspetto più stimolante di chi cerca nuove soluzioni nell’allenamento a tale gara. Storicamente esisteva un solo tipo di lunghissimo, quello che ora si può definire da jogger: l’atleta doveva solo correre per oltre 30 km, non importava il ritmo, quanto l’adattamento meccanico e psicologico allo sforzo. Gli insuccessi di questo metodo erano talmente evidenti a livello amatoriale che sembra impossibile che si sia dovuto attendere di arrivare alle soglie del terzo millennio perché molti degli addetti ai lavori si accorgessero che non era la strada giusta. Molti anni fa, per l’esattezza nel 2000 (La nuova maratona) introdussi il concetto di lunghissimo veloce, teorizzando che doveva essere corso non oltre 10″/km più lentamente rispetto al ritmo maratona. Questo approccio aveva diversi vantaggi:
- consentiva di stimolare meccanicamente e psicologicamente l’atleta con sforzi paragonabili a quelli della maratona (simulazione della gara);
- usava un substrato energetico simile a quello della gara, aumentando la potenza lipidica. Alcuni autori sostengono che la potenza lipidica si aumenta con il medio da 1h a 1h 30′. Se fosse così, per correre bene una maratona, a un amatore basterebbe correre medi da 15 a 20-22 km! Il grosso abbaglio di questi autori nasce dal fatto che traducono senza spirito critico gli allenamenti dei professionisti: per un maratoneta professionista, correre 1h30′ vuol dire correre 30 km, cioè sta correndo non un medio, ma un lunghissimo veloce!
Dalla mia esperienza è risultato però che il lunghissimo veloce non è ancora il metodo migliore per preparare l’amatore a correre una maratona. Infatti lascia aperta la porta a un errore tipico: si corre il lunghissimo a RG (ritmo gara maratona) + tot secondi (RG+7″ per esempio), lo si corre come se fosse una gara, si arriva anche bene (per esempio un lunghissimo da 36 km) e si dà per scontato che poi in gara, “stringendo i denti”, si potrebbe chiudere a RG.
Analizziamo due amatori che vogliono correre la maratona in 3 ore. Tizio corre il lunghissimo di 36 km a 4’22”, gli ultimi 5 km anzi aumenta a 4’20”; Caio corre lo stesso lunghissimo a 4’22” in maniera regolare. In gara Caio fa 2h59′ mentre Tizio crolla miseramente negli ultimi 6-7 km finendo in 3h02′. Perché? Un allenatore che seguisse i due atleti “dal vivo” si accorgerebbe che Tizio ha interpretato il lunghissimo come una gara, che il suo aumento di velocità nel finale era il massimo che poteva dare; in realtà è un atleta che vale 4’18”-4’19”. Se parte a 4’16” è spacciato. Caio invece ha finito il lunghissimo tranquillamente, come se niente fosse, quasi con l’impressione di “poter correre all’infinito”.
Il lunghissimo veloce va quindi bene come mezzo allenante, ma, quando incominciano a “contare” i secondi, rischia di risentire troppo della psicologia e delle aspettative del runner.
Il lunghissimo alla Tergat
Dopo il lunghissimo veloce ho sperimentato diverse volte una forma di lunghissimo più oggettivo, scoprendo con piacere che era lo stesso che aveva impiegato il keniano Paul Tergat durante la preparazione al suo record mondiale (nel 2003 Tergat stabilì il record mondiale di maratona con il tempo di 2h04’55”, record battuto qualche anno più tardi dall’etiope Haile Gebrselassie). Il lunghissimo alla Tergat differisce dal lunghissimo veloce solo nei km finali. Qui di seguito trovate la teorizzazione precisa di come interpretarlo e valutarlo.
Supponiamo di correre un lunghissimo di 28 km a RG+7″ (il lunghissimo continua a essere corso fra RG+5″ e RG+10″). Ovviamente, se l’atleta è preparato, non avrà grosse difficoltà a finirlo (altrimenti come spera di correre una maratona a RG?). Il semplice finirlo, a prescindere dalla finalità allenante, nulla ci dice sulle effettive potenzialità dell’atleta.
Moltissimi runner lo interpreteranno però in maniera “progressiva”.Sentendosi freschi, nella parte finale accelereranno arrivando a toccare anche il ritmo gara o scendendo sotto di esso. Questa interpretazione personale ha lo svantaggio che se l’atleta dà troppo (supponiamo a partire da metà prova), i tempi di recupero possono essere molto lunghi: di fatto sta facendo una gara in progressione e in questa progressione non c’è nulla di razionale.
Supponiamo invece che si mantenga al ritmo prefissato fino agli ultimi due km e poi dia tutto. Lo stress metabolico è di molto inferiore perché si limita a una netta accelerazione di due chilometri, senza arrivare a un depauperamento energetico, tipico di una progressione da metà gara. Ovvio che non si può più barare con i numeri: se il massimo che riesce a ottenere è una velocità di RG, vuol dire che il suo grado di freschezza è molto ridotto. Ben diverso è il caso in cui riuscisse a correre i due km a RG-15″.

Il lunghissimo serve dalla mezza maratona in su.
Lunghissimo glicidico
Purtroppo l’esperienza ha dimostrato che molti amatori non hanno quella sensibilità al ritmo tale per esempio da impostare un RG di pochi secondi superiore al ritmo della maratona. La locuzione “ritmo gara più sette secondi” è interpretata spesso con ritmo abbastanza vicino al ritmo gara, con evidente eccessivo dispendio energetico. Circa il 20% degli amatori corre il lunghissimo alla Tergat troppo velocemente nella prima parte (spesso a RG+3″ o a RG+4″).
La modifica apportata nel 2013 ha dato origine al lunghissimo glicidico. Vediamo alcuni esempi.
- Ritmo: da RG+15″ a RG+10″
- Corto: 28-30 km
- Medio: 32-34 km
- Lungo: 36 km.
Nel lunghissimo corto si corrono al massimo gli ultimi due km; in quello lungo solo l’ultimo. L’incremento di velocità deve essere almeno a RG-15″.
Un ritmo più lento nella prima fase del lunghissimo consente
- da un lato di essere molto più gestibile perché se l’atleta parte forte, riduce immediatamente la velocità (è molto più facile assestarsi su velocità facili che a quelle vicine al ritmo gara);
- dall’altro di far comprendere che non ci sono alibi se la seconda parte fallisce.
Spiegazione metabolica: l’atleta ha ancora abbastanza carboidrati per cambiare a una velocità glicidica (quella della mezza o inferiore). Tale scorta è quella che assicura che l’atleta sarebbe in grado di chiudere la maratona, completando i km che mancano.