Un concetto che dovrebbe essere chiaro a tutti coloro che intendono allenarsi da soli è quello di limitatore delle prestazioni. Il limitatore è, per fare un pratico paragone, una sorta di collo di bottiglia troppo stretto che ci impedisce di estrarre la nave con la nostra miglior performance. È banale asserire che ogni limitatore della prestazione ci fa andare più piano e non ci consente di raggiungere i nostri obbiettivi cronometrici. Su questa “banalità” si inserisce spesso un errore grossolano che si può riassumere nel ragionamento sbagliato: se X è un limitatore della prestazione, quanto più amplifico X tanto più andrò forte. Il ragionamento è molto semplicistico e molto poco fisiologico. L’esempio più classico è il fiato, ovvero la capacità polmonare. Già da tempo si sa che il massimo volume espirato, la capacità polmonare totale o la massima ventilazione volontaria non sono cioè fattori che possano indicare il valore atletico di un soggetto [Mahler, 1982].
È ovvio che l’allenamento migliora la risposta ventilatoria e ciò in genere si traduce in un aumento della profondità del respiro e in una diminuzione della frequenza, riducendo il costo energetico della respirazione. Al di là di questo fenomeno automatico (nel senso che viene da sé con l’allenamento), non sembra che esistano tecniche d’allenamento che possano migliorare la situazione: visto che atleti olimpici hanno la stessa capacità polmonare di un impiegato, vuol dire che esistono molti altri fattori (cardiaci, cellulari, energetici) che mandano in crisi il sistema prima che possa diventare importante il fattore polmonare.
La capacità respiratoria non è dunque un limitatore. A quest’ultima frase si può obiettare che un enfisematoso ha le sue prestazioni atletiche ridotte proprio dalla sua capacità polmonare. Ed è vero. È dunque di fondamentale importanza capire che esistono limitatori assoluti e limitatori relativi.

Relativamente alla prestazione esistono limitatori assoluti e limitatori relativi
Limitatori assoluti e limitatori relativi
Il limitatore assoluto è un parametro la cui crescita influenza sempre la prestazione dell’atleta; un limitatore relativo è un parametro che influenza la prestazione solo se non è raggiunta una soglia minima.
Nel caso della capacità polmonare tale minimo è raggiunto dalla stragrande maggioranza di individui sani, per cui appare risibile il tentativo di migliorare le prestazioni di giovani atleti facendo gonfiare loro camere d’aria di bicicletta (purtroppo succede…) per migliorare la loro capacità polmonare.
Occorre anche precisare che la crescita all’infinito dei limitatori assoluti è ovviamente resa impossibile dalle normali interazioni fisiologiche; per cui il termine “assoluto” va inteso cum grano salis.
Se, per esempio, diciamo che l’ematocrito di un soggetto è un limitatore assoluto, non possiamo pensare certo di portarlo a 100!
La lente di ingrandimento – È poi importante limitarsi all’analisi dei soli limitatori misurabili. Entrare in oziose disquisizioni fisiologiche su grandezze che poi non si possono misurare in modo preciso e più o meno immediato è solo un modo di vedere in modo microscopico il fenomeno macroscopico della prestazione. In altri termini, ciò che succede a livello microscopico nelle cellule ha poi un’evidenza macroscopica in qualche grandezza che spesso è riassuntiva di molti fenomeni. Per esempio, la capacità anaerobica di un soggetto esprime la capacità di lavorare con alte concentrazioni di acido lattico. Tale concentrazione (facilmente misurabile con un prelievo del sangue) è il risultato di molti fenomeni a livello cellulare che però non possono essere descritti facilmente (anche perché non tutto è chiaro). Uno di questi è la capacità di tamponare gli ioni idrogeno (prodotti dalla dissociazione dell’acido lattico) da parte di alcune sostanze dette tamponi.
Cercare di definire tale capacità come “limitatore”, se in linea teorica è corretto, dal punto di vista pratico è attualmente insignificante perché si sa troppo poco sull’argomento. Per esempio, l’entusiastica posizione con cui alla fine degli anni ’80 del secolo scorso si pensava che l’uso del bicarbonato di calcio potesse servire per tamponare gli ioni idrogeno (in letteratura era comparso UN SOLO studio, Wilkes, 1982, su sei atleti, mai più confermato) è successivamente naufragata.
Limitatori e distanze – Con un gioco di parole potremmo dire che il concetto di relativo e assoluto è relativo! Infatti dipende dalla distanza. La forza per esempio è un limitatore assoluto per un centista (tant’è che una forma di doping molto “efficace” per un velocista sono gli steroidi anabolizzanti che aumentano le masse muscolari) mentre è relativo per un maratoneta per il quale è sufficiente avere una soglia minima di forza.
Anche il concetto di soglia del limitatore è relativo alla distanza: per un mezzofondista veloce la soglia della forza muscolare è più alta di quella del maratoneta. Come vedete occorre “ragionare”, niente è scontato.
Abbiamo già visto nella prima parte dell’articolo che:
la capacità polmonare è un limitatore relativo.
Analogamente nell’articolo sul testosterone abbiamo rilevato che
il testosterone è un limitatore relativo.
Notiamo come in questi due casi la soglia del limitatore sia talmente bassa che la gran parte della popolazione atletica la supera. Passiamo ora in rassegna i principali colli di bottiglia che entrano nelle discussioni fra runner.
Gittata cardiaca – Deve ritenersi un limitatore assoluto. Si potrebbe obiettare che se il cuore riuscisse a pompare più sangue può darsi che comunque ci siano limitazioni a valle che non consentano di sfruttare questa maggiore potenza. In realtà non sembra sia così per la stragrande maggioranza degli individui.
Il massimo consumo di ossigeno aumenta linearmente con la gittata cardiaca (e con altri fattori) per cui tali limitatori, se esistono, sono al di là degli incrementi di gittata ottenibili con l’allenamento e con le caratteristiche personali dell’atleta. Poiché la gittata dipende dalle dimensioni del cuore e dalla frequenza cardiaca, appare ragionevole indicare come limitatori assoluti la frequenza cardiaca a riposo (ottimo indicatore della caratura atletica del soggetto) e il volume del cuore. Se la seconda (ipertrofia dell’atleta) può essere aumentata entro certi limiti con l’allenamento, la prima può esserla solo marginalmente. Ecco perché alcuni nascono campioni e altri no. Il discorso è volutamente approssimativo (in particolare si dà per scontato che a pari allenamento chi parte con una frequenza a riposo minore abbia anche una frequenza di lavoro più bassa a un determinato ritmo) per non perdersi in tanti fronzoli che comunque non cambierebbero la sostanza.
Capillarizzazione – Anche questo è un limitatore assoluto. Poiché però il consumo d’ossigeno nel passare dalla condizione di riposo a quella di massimo consumo aumenta di 10 volte, mentre la gittata cardiaca aumenta di 4 volte (da 5 a 20 in un sedentario) deve esistere un altro fattore legato al massimo consumo d’ossigeno. Tale fattore è la differenza arterovenosa, cioè la differenza di ossigeno contenuta nel sangue arterioso e in quello venoso che rappresenta l’ossigeno ceduto ai tessuti. In 100 ml di sangue arterioso sono contenuti 20 ml di ossigeno, mentre in quello venoso 15, cioè in condizioni di riposo 5 ml vengono ceduti ai tessuti. All’aumentare dello sforzo e quindi del consumo d’ossigeno aumenta la differenza e si arriva a circa 17 ml in condizioni di massimo consumo d’ossigeno e in soggetti allenati. Poiché con l’allenamento la capillarizzazione aumenta di solo il 15%, si deve ritenere che esistono ancora molti margini fisiologici (ecco che è dunque un limitatore assoluto) di miglioramento.
I mitocondri – Gran parte dei meccanismi aerobici di produzione dell’energia avviene nei mitocondri delle cellule. Non esistono metodi per contare i mitocondri, ma la loro attività è rivelata dalle capacità aerobiche del soggetto. Poiché tali capacità sono enormemente differenti fra un campione e un sedentario, anche in questo caso l’attività dei mitocondri si deve considerare come un limitatore assoluto, nel senso che tanto più è maggiore tanto più il soggetto è aerobicamente prestante. È importante rilevare che se l’attività dei mitocondri fosse un limitatore relativo non avrebbero pregio tutte le attenzioni rivolte a non danneggiarli. Ne ricordo in particolare due:
- l’esecuzione di un numero eccessivo di prove lattacide (i mitocondri sono danneggiati dall’ambiente acido che si viene a creare);
- un consumo eccessivo di bevande alcoliche (anche l’alcol danneggia i mitocondri), oltre la soglia etanolica che dà il grado di smaltimento “naturale” dell’alcol.
L’ematocrito – Qui il discorso si dovrebbe fare più preciso perché esiste una piccola differenza nel considerare globuli rossi, emoglobina o ematocrito. Nella maggior parte della popolazione atletica però tali valori sono praticamente proporzionali per cui convenzionalmente faremo riferimento al solo ematocrito (i cui valori sono noti a tutti per le vicende ricorrenti sul doping nello sport). Avere più globuli rossi, più emoglobina significa maggior possibilità di scambio dell’ossigeno ai tessuti. Quindi l’ematocrito è un limitatore assoluto. Alcuni autori (come L. Speciani) sostengono che questo potrebbe non essere vero poiché esisterebbero dei fattori che potrebbero comunque rendere inutile avere tanta emoglobina in più a disposizione. A prescindere dal fatto che questo discorso “salva” il doping (se aumentare l’ematocrito non serve o addirittura potrebbe essere controproducente, perché vuoi vietarmelo?), è banalmente contraddetto (oltre dal fatto che molti atleti diventati improvvisamente fortissimi sono poi stati ritrovati positivi all’uso di eritropoietina che aumenta la produzione di globuli rossi) da tutti gli esperimenti condotti sull’emotrasfusione in tempi in cui non si parlava ancora di doping per l’aumento dell’ematocrito: EKblom (1972 e 1976), Robertson (1982 e 1984), Spiret (1986), Brien e Simon (1987), Sawka e Young (1989). Fra l’altro queste ricerche non sono state condotte su atleti amatori, ma anche e soprattutto su professionisti.
La capacità di tamponamento lattacido – La capacità di lavorare con alte concentrazioni di acido lattico deve considerarsi un limitatore assoluto perché si è visto che la prestazione sugli 800 m è praticamente lineare con la concentrazione finale di lattato (anche qui il discorso è approssimativo perché bisognerebbe fare distinzione fra lattato nel sangue o nel muscolo ecc. ecc.). Un amatore alla fine di un 800 m non avrà mai la concentrazione di lattato di un campione olimpico: se si trovasse il modo di tamponare significativamente l’acido lattico (il bicarbonato non funziona!) l’atleta compirebbe un salto di qualità.
La forza – La forza deve ritenersi un limitatore relativo. Infatti per ogni distanza l’atleta deve impiegare una certa forza nell’unità di tempo. È sufficiente che sia superata questa quantità e la prestazione non ne risente. La cosa è banalmente dimostrata dal fatto che nessun maratoneta potrebbe competere come forza nelle gambe con un velocista di pari livello internazionale. Da questo ultimo esempio si deduce che la soglia del limitatore forza cresce all’accorciarsi della distanza considerata.
Il peso – Si deve ritenere, nei limiti fisiologicamente possibili, un limitatore assoluto. Se si fa riferimento alla percentuale di massa grassa il discorso diventa molto preciso e si può dire che la % di massa grassa è un limitatore assoluto (almeno finché non si arriva al minimo del grasso essenziale!).
I carboidrati (glicogeno) – La disponibilità delle scorte di glicogeno deve considerarsi un limitatore relativo. Infatti, non solo tale disponibilità non può crescere oltre un certo valore, ma oltre una certa soglia può diventare anche un handicap perché il glicogeno lega molta acqua e fa aumentare il peso del soggetto. La soglia del limitatore glicogeno è ancora oggetto di studio, ma sembra dipenda non solo dalla distanza (come è logico) e dal tipo di sforzo (aerobico o anaerobico), ma anche dal tipo di alimentazione del soggetto.
Ormoni, minerali e vitamine – Se avete ben compreso il concetto di limitatore relativo, sarà chiaro come la maggior parte degli integratori sia inutile. Infatti moltissime proposte di integratori
fanno credere che un limitatore relativo sia assoluto!
In altri termini siccome la sostanza X è coinvolta nella prestazione, più ne hai e meglio è. Il ragionamento è invece errato perché la sostanza X è un limitatore relativo: è sufficiente superare la soglia e la prestazione non solo non ne risente in positivo ed è del tutto inutile aumentarne la concentrazione.
I soli casi in cui queste sostanze sono giustificate sono quindi quelli in cui l’atleta è sotto la soglia del limitatore. Tale soglia va effettivamente verificata (il più delle volte basta un banale esame del sangue).
LIMITATORI ASSOLUTI | LIMITATORI RELATIVI |
Gittata cardiaca (frequenza cardiaca a riposo e volume del cuore) | Capacità polmonare |
Capillarizzazione | Forza |
Mitocondri | Glicogeno |
Ematocrito | Ormoni, minerali, vitamine ecc. |
Capacità di tamponamento lattacido | |
Percentuale di massa grassa |