Ipertensione e corsa: l’argomento è decisamente interessante e ne parliamo perché troppo spesso la questione viene trattata con una certa superficialità. Per esempio, molti ritengono che la corsa possa avere un benefico effetto sull’ipertensione arteriosa. Le cose non stanno proprio così ed è opportuno chiarire i pro e i contro. È a tutti noto, o comunque dovrebbe esserlo, che avere la pressione arteriosa oltre certi valori (attualmente sono considerati valori massimi accettabili 140 -pressione massima- e 90 mmHg -pressione minima) aumenta di molto i rischi di emorragia cerebrale (2 mmHg in meno di pressione sistolica riducono il rischio del 6%) e di incidente cardiovascolare (2 mmHg in meno di pressione sistolica riducono il rischio del 4%). Molti runner hanno spesso una pressione molto bassa (si legga il nostro articolo Ipotensione (pressione bassa) e corsa), altri normale, ma una quota non indifferente abbastanza elevata. Per capire come questi ultimi si debbano comportare (oltre ovviamente a curarsi secondo le terapie classiche, prima fra tutte un corretto stile di vita) è importante capire cosa accade durante un’attività sportiva.

L’esercizio fisico utile per la prevenzione e la cura dell’ipertensione deve essere di tipo aerobico o cardiovascolare: deve cioè essere un’attività fisica di endurance svolta a media intensità (40-70% del VO2max).
Ipertensione e corsa: cosa accade durante lo sforzo
Cosa succede durante una sessione di allenamento o nel corso di una competizione?
Supponiamo che il soggetto parta da una condizione di pressione massima (pressione sistolica) 120 mmHg, un valore che rientra nel range di normalità; in seguito a uno sforzo aerobico continuo (il tipico caso è rappresentato dalla corsa lenta) la pressione si porta su 140-160 mmHg e si mantiene costante, anzi, dopo aver raggiunto un massimo, decresce leggermene per effetto della vasodilatazione periferica.
Se invece lo sforzo è discontinuo, molto intenso e coinvolge una certa tensione muscolare (come in sport come la ginnastica) si possono avere degli sbalzi pressori. Tali sbalzi sono massimi in sport di forza come il sollevamento pesi che, com’è facilmente intuibile, sono decisamente controindicati a coloro che soffrono di ipertensione arteriosa (un’indicazione utile per tutti i runner ipertesi è quella di evitare la palestra come metodo di potenziamento).
Se nel sollevamento pesi la pressione massima può arrivare anche a 245 mmHg (chi sapeva che il massimo si ha con l’usuale leg extension, 275 mmHg?), nella corsa (come pure nel nuoto o nel ciclismo) la pressione massima non arriva mai a 200 mmHg e la risposta allo sforzo non dipende dall’allenamento (Mitchell, 1994).
In compenso, è questo è un dato decisamente positivo, già dopo pochi minuti dal termine dello sforzo si ha una caduta di pressione che può durare anche per 12 ore (Pescatello, 1991).
Una ricerca di alcuni anni fa (Kokkinos PF. et al.) ha mostrato inoltre che il regolare esercizio fisico in soggetti con ipertensione arteriosa lieve o moderata induce una riduzione media della pressione arteriosa nella seguente misura: 8-10 mmHg per quanto concerne la pressione massima e 7-8 mmHg per quanto riguarda la pressione minima.
La strategia ideale per il runner iperteso
Da quanto descritto nel paragrafo precedente nasce la strategia ideale per il runner iperteso:
- Dedicarsi alla sola corsa aerobica, privilegiando distanze lunghe.
- Nel piano di allenamenti vanno evitati ripetute (soprattutto quelle brevi), fartlek o allenamenti che obblighino a cambi di ritmo secchi con tensione muscolare (sforzi tipici, per esempio, delle corse campestri).
- Allenarsi con la maggior frequenza possibile. Solo così i benefici dell’ipotensione successiva alla corsa sono duraturi; è consigliabile quindi fare al limite sedute più brevi, ma più frequenti.
- Chi è particolarmente ansioso, deve evitare la competizione o allenamenti molto qualitativi.
Gli ultimi due punti spiegano la cosiddetta ipertensione da sport. Il soggetto si allena 2 o 3 volte alla settimana, parte sempre da riposato, pronto a una gara o a una sfida con gli altri o con sé stesso. Spesso si tratta di un runner debole che, proprio per contrastare la sua intrinseca debolezza, ha una concezione eroica dello sport, quasi masochistica (di fatto, la prestazione atletica diventa un voto all’esame della sua personalità).
Lo sport genera stress e tale stress vanifica l’ipotensione post-sforzo: il soggetto nelle 24 ore successive all’allenamento lamenta un aggravamento dell’ipertensione arteriosa. Ovvio che la corsa non c’entra niente: il problema è nella testa dell’atleta che dovrebbe cercare una maggiore tranquillità di vita.

I runner ipertesi dovrebbero dedicarsi alla sola corsa aerobica, privilegiando distanze lunghe
Ipertensione e corsa: frequenza e durata degli allenamenti
Seguendo i consigli riportati nell’elenco del paragrafo precedente, la corsa non potrà che giovare al runner che soffre di ipertensione arteriosa.
È anche interessante quantificare frequenza e durata degli allenamenti e ciò vale anche in ottica preventiva.
I moltissimi studi sulla questione sono concordi sul fatto che l’attività fisica deve essere costante e frequente (almeno 3 sedute settimanali, ottimali 5).
Per quanto riguarda la durata delle sedute, questa deve essere almeno di 40-50 minuti (senza interruzioni!); quando si scende sotto i 20 minuti, gli effetti positivi dell’esercizio fisico vengono decisamente ridimensionati.
Per approfondire: Ipertensione e attività fisica e Ipertensione sotto sforzo.