Praticare la corsa durante una gravidanza è un’attività che il senso comune considera del tutto assurda (abbiamo citato la corsa, ma potevamo fare riferimento a diverse altre attività sportive). Ciò è particolarmente vero nella cultura e nella tradizione latina, dove la gravidanza è sempre stata considerata una condizione fisicamente invalidante. Come tutte le esperienze, occorre vivere anche questa in modo razionale e scientifico, identificando ciò che si può o non si può fare. Due sono le preoccupazioni maggiori di una runner che aspetta un bambino: l’aumento di peso e la possibilità o no di continuare a correre (e in che modo). Innanzitutto va detto che occorre rivolgersi a un ginecologo preparato (e dalle vedute moderne!) che spieghi chiaramente cosa comporta per il corpo femminile la gravidanza, in termini di sforzo fisico sostenibile e di aumento di calorie e micronutrienti necessari al feto. Prima di pensare al prosieguo della corsa occorre valutare la totale mancanza di rischi della gravidanza e fare costantemente tutti gli esami clinici richiesti monitorando lo stato di salute. Se gli esami confermano che la gravidanza non presenta particolari problemi, si può non rinunciare alla corsa, con qualche avvertenza.
Vediamo innanzitutto il problema dell’aumento ponderale. Si tratta di un fattore influenzato sicuramente dalla nostra cultura (l’antico detto che bisogna mangiare per due è abbastanza approssimativo): ci sono donne che non appena sanno di aspettare un bambino, prese dall’ansia, cominciano a ingurgitare cibo, con il risultato di aumentare, nella prima settimana, di tre o quattro kg, un aumento del tutto ingiustificato dal punto di vista medico. Il corpo di una donna incinta necessita di un surplus extra di calorie per sostenere la crescita del feto e “passargli” l’energia necessaria al suo sostentamento. Si è stimato che il fabbisogno extra quotidiano è di circa 300 kcal, un po’ meno nel primo trimestre e un po’ di più nei due successivi. 300 kcal non sono poi molte se tradotte in cibo (meno di un piatto di pasta) e quindi è ben lontano dalle abbuffate (i famosi pasti per due della tradizione…) che molte donne si concedono (per approfondimenti su questo punto si consulti l’articolo Dieta in gravidanza).
Oltre all’introito calorico però il corpo della donna incinta necessita di una maggiore dose di minerali e di alcune vitamine, quindi è necessario farsi consigliare dal medico sull’integrazione possibile in questo periodo, sulle vitamine e i sali minerali necessari e su quelli da escludere. L’aumento di peso non dovrebbe assolutamente superare gli 11 kg, anche se la storia personale di molte atlete è assai diversificata: c’è chi non è aumentata di peso fino al quinto mese, chi ha limitato l’aumento a pochi kg e chi ha “sforato” arrivando fino a 15, 20 kg. Una runner dovrebbe essere abituata a conteggiare le calorie assunte giornalmente, quindi aggiungere la quantità necessaria al feto (e non di più) non è molto difficile. L’integrazione poi consente di assicurare al feto tutte le vitamine e i sali minerali di cui ha bisogno, senza intaccare la salute della donna o aumentare a sproposito l’introito calorico giornaliero.
Allenamento in gravidanza: quali problemi?
Per quanto riguarda l’allenamento, occorre sapere che vi sono due fattori che possono creare problemi: l’aumento del numero di pulsazioni in corsa e l’innalzamento della temperatura corporea, due condizioni che, potenzialmente, possono danneggiare il feto. I suggerimenti dei medici sono i seguenti: le donne che non superano i 20 anni di età possono arrivare a un massimo di 155 battiti al minuto, dai 20 ai 30 anni si possono raggiungere i 150 battiti, dai 30 ai 40 anni si devono considerare come soglia massima i 145 battiti, mentre per le ultraquarantenni la frequenza massima di riferimento è di 140 battiti al minuto (il che, comunque, in una runner allenata, consente di fare degli allenamenti “tranquilli”). Per quanto riguarda la temperatura corporea, conviene comunque correre in ore fresche della giornata e non arrivare al punto di essere in difetto di fiato, per non compromettere la trasmissione dell’ossigeno al feto. Correre a ritmi blandi, che ci permettano tranquillamente di parlare, senza avvertire eccessivo calore e provare troppa fatica, può essere quindi un’attività piacevole in gravidanza.

La corsa non è di per sé controindicata durante la gravidanza
Frequenza degli allenamenti
Per quanto riguarda, invece, la frequenza degli allenamenti, in linea di massima è possibile arrivare, sempre che le condizioni generali della gestante lo consentano, a un massimo di quattro sedute settimanali di 45-60 minuti ciascuna. Dopo il parto, se non vi sono state complicazioni, si potrà tornare alle vecchie abitudini quando saranno trascorse almeno 3 o 4 settimane dalla nascita del bambino; se invece è stato necessario ricorrere al taglio cesareo, i tempi della ripresa si allungano dalla nascita del piccolo (7-10 settimane).
Fino a quando si può correre
Ovviamente, durante il periodo della gravidanza cambiano le priorità: prima c’è la salute del bambino, quindi non potendo fare allenamenti di qualità conviene rimandare qualunque programma di gare impegnative o ricerche di record. In questo periodo si può correre per il solo piacere di correre, magari senza il cronometro. Le pulsazioni durante la gravidanza aumentano naturalmente e il corpo è maggiormente sensibile al calore, quindi il fisico invia dei segnali di disagio molto prima che si raggiungano soglie pericolose per il feto. Ascoltare questi segnali e agire di conseguenza è un buon modo per continuare a praticare la corsa, anche se con obiettivi leggermente diversi.
Di solito, i medici più moderni consigliano alla donna di continuare a correre fino a che non si avverte disagio. Generalmente si interrompe la corsa nell’ultimo trimestre, sia perché il gesto atletico diventa troppo scomodo per l’aumento di peso e volume sia per la maggior sollecitazione a carico di tendini e articolazioni. In questi tre o quattro mesi, quindi, si può prendere in considerazione l’idea di passare al nuoto, uno sport eccellente per la donna in stato interessante perché, essendo praticato in assenza di gravità, elimina tutti i problemi legati al peso. Inoltre è comunque un’attività fisica dall’intensità regolabile (si può nuotare al ritmo che si vuole e per il tempo voluto con molta gradualità e continuità). Anche il ciclismo, volendo, può essere un valido sostituto della corsa.
Infine, occorre considerare due possibili inconvenienti che possono ostacolare una corretta alimentazione e l’attività fisica in gravidanza: poiché la nausea è un sintomo molto ricorrente nel primo trimestre (non a caso si parla di nausea gravidica), la runner potrebbe essere portata ad avversare il cibo, con conseguenze anche serie. Conviene assumere piccoli pasti, separando i solidi dai liquidi, in modo da assicurare l’introito calorico quotidiano corretto. Mangiare poco (o peggio, saltare i pasti) è una pratica molto sbagliata, specie se associata all’esercizio fisico. Non bisogna mai correre se si sente lo stimolo della fame e per evitarlo è sufficiente sgranocchiare un piccolo spuntino leggero un’ora prima.
Diabete gestazionale e attività fisica
Una delle forme di diabete meno discusse in ambito medico è il cosiddetto diabete gestazionale (anche diabete gravidico), la complicanza metabolica che si verifica più frequentemente in gravidanza; se trattata per tempo, questa forma di diabete non crea particolari problemi, ma se non viene riconosciuta e il trattamento è tardivo, si possono avere importanti conseguenze, sia per la madre che per il bambino. Si deve inoltre considerare che le donne che vengono colpite da tale patologia presentano un aumentato rischio di contrarre il diabete mellito di tipo 2 negli anni successivi al parto.
Attualmente, i cardini terapeutici del diabete gestazionale sono la dieta e l’eventuale trattamento insulinico. Da molti anni però ci si è sempre più interrogati sul ruolo che l’attività fisica può ricoprire nel raggiungimento degli “obiettivi glicemici”. Gli studi effettuati negli ultimi 25 anni hanno preso in considerazione il ruolo dell’attività fisica non soltanto per quanto riguarda la cura, ma anche per quanto concerne l’aspetto preventivo.
Si deve dire, a onore del vero, che a tutt’oggi i risultati dei vari studi sono controversi, anche se, ultimamente, la bilancia sembra pendere sempre più a favore di quelli che riconoscono effetti positivi all’attività fisica in gravidanza in relazione alla prevenzione e al trattamento del diabete gestazionale.
Una ricerca di alcuni anni fa (Zhang C et al. A Prospective Study of Pregravid Physical Activity and Sedentary Behaviors in Relation to the Risk for Gestational Diabetes Mellitus. Arch Intern Med. 2006;166:543-548) si è avvalsa dei dati relativi a un numeroso campione di donne coinvolte nel Nurses Health Study II (poco meno di 22.000 unità) che avevano portato a termine una gravidanza singola tra il 1990 e il 1998. Nel campione in questione si sono verificati poco meno di 1.500 casi di diabete gestazionale; i ricercatori hanno quindi confrontato di livelli di attività fisica che le donne tenevano nel periodo che precedeva la gestazione (il dato era facilmente reperibile in quanto le donne appartenenti al campione venivano periodicamente monitorate e dovevano compilare dei questionari che richiedevano, tra le altre cose, informazioni sull’attività fisica eventualmente svolta); lo studio è quindi da considerarsi prospettico e non tanto un’indagine a posteriori. I dati a disposizione non erano soltanto relativi al tempo dedicato all’attività fisica, ma si conoscevano anche molte altre informazioni (IMC, stile di vita, qualità dell’attività fisica svolta ecc.). Uno degli aspetti considerati era la definizione del passo tenuto; questo poteva essere definito come lento (meno di 3,2 km/h), normale (da 3,2 a 4,5 km/h), spedito (da 4,8 a 6) oppure molto spedito (più di 6 km/h).
Lo studio ha mostrato che i soggetti che effettuavano una maggior quantità di attività fisica “vigorosa” avevano un rischio di diabete gestazionale inferiore del 23% rispetto a quello di coloro praticavano minore attività. Lo stesso discorso valeva anche per le donne che marciavano più frequentemente a una velocità definita come “spedita” (da 4,8 a 6); queste mostravano, se confrontate con le donne che effettuavano minori sedute di questo tipo, un rischio di contrarre il diabete gestazionale inferiore del 34%.
Una ricerca più recente, pubblicata su Diabetes Care (Tobias DK, Zhang C, van Dam RM, Bowers K, Hu FB, Diabetes Care – Physical activity before and during pregnancy and risk of gestational diabetes mellitus: a meta-analysis), ha preso in considerazione tutti gli studi pubblicati fino a marzo 2010 che avevano come oggetto il rapporto fra attività fisica e successiva comparsa di diabete mellito gestazionale. La valutazione dell’attività fisica effettuata prima della gravidanza è stata fatta su 34.929 unità; i casi di diabete gestazionale sono stati 2.813. Le conclusioni della ricerca sono state le seguenti: Higher levels of physical activity before pregnancy or in early pregnancy are associated with a significantly lower risk of developing GDM (ovvero Livelli più elevati di attività fisica prima della gravidanza o agli inizi della stessa sono associati a un rischio significativamente più basso di sviluppare diabete mellito gestazionale).