Nei miei libri sulla corsa ho sempre dato un parere negativo al correre con le cuffie per la musica (si consulti per approfondimenti l’articolo Musica e corsa). In sintesi, il motivo è semplice: se fosse vero che fanno andare più forte tutti i campioni le userebbero, invece, anche da prove fatte sul campo, si perde in prestazione. Il motivo è semplice e permette una generalizzazione del fenomeno: chi usa la musica lo fa per isolarsi dal contesto perché di fatto non lo gradisce al 100%. Tale isolamento può essere positivo solo in chi non sa trovare le giuste motivazioni per armonizzarsi con l’ambiente circostante: sostanzialmente “un pesce fuor d’acqua” riesce a respirare grazie alle cuffie. Ecco, quelli che vanno in giro con le cuffie mi sembrano pesci fuor d’acqua che non sanno apprezzare la realtà circostante. Non parliamo di amore per la musica perché, se la sia ama, la si ascolta bene, le si dà il 100% dell’attenzione. Quando sono a caccia il mio cellulare è sempre spento perché non voglio essere distratto, il presente in cui sono è il 100% di ciò che voglio. Il campione perde in prestazione perché di fatto è concentrato al 100% sull’avversario, sulle sue sensazioni, sulla corsa; non è come l’amatore che si guarda il paesaggio (che probabilmente apprezzerebbe meglio semplicemente camminando) e a cui pesa la fatica, soggetto che ha bisogno di evadere per gestire al meglio le crisi.
In questo periodo io e mia moglie portiamo Kelly a passeggiare sul Ticino, in un bellissimo percorso che parte dal Ponte Vecchio di Pavia e arriva fino al campo da golf di Torre d’Isola a quasi 6 km. Ben presto il sentiero si stringe e diventa un sottile viottolo fra due muri di vegetazione incontaminata. Ieri , verso al metà, troviamo un runner che con andatura stanca e cuffiette ben calzate cercava di smaltire gli almeno 15 chili che la sua ancora giovane età non gli aveva comunque evitato. Il caso classico di come le cuffiette aiutino a evadere da una situazione tutto sommato non amata. Si era perso il fruscio del fiume, i canti dei fagiani e delle anatre, il calpestio delle minilepri che scappavano nel sottobosco. Vabbè, a lui non importavano, ma non ha sentito nemmeno la mountain bike che gli stava arrivando dietro e che per poco non lo travolgeva guidata da un ciclista, sportivo vero, che dava per scontato che tutti avessero le orecchie per sentirlo arrivare.
Cuffie per la musica = isolamento = disagio del presente = parziale fuga (evasione) dalla realtà. Mettetela come volete, ma sono indice di una non perfetta sintonia con quello che si fa. Chiunque le usi, prima di sparare difese poco credibili, rifletta. Rifletta su come sia soft usarle, su quello che si perde. Probabilmente gran parte della popolazione non ci trova nulla di male perché comunque è soft, ha una bassa energia vitale e quello che fa lo vive sempre a metà. Se non ne siete convinti, permettetemi di spiegarvelo con la curva di Gauss.
I concetti matematici, se ben compresi, permettono di capire immediatamente certe situazioni. La curva ha la forma di una campana che parte da valori bassi, arriva a un massimo e poi ridiscende verso lo zero. Può essere usata per capire il livello di “vita soft” delle persone. Prendiamo la passeggiata sul Ticino sopradescritta. Al Ponte Vecchio non si ferma nessuno, se non chi, per gravi problemi fisici, non saprebbe continuare e si accontenta di vedersi lo spettacolo dal ponte. Il numero di persone che troviamo nel primo tratto aumenta sempre di più fino verso un km, un km e mezzo dal ponte: lì abbiamo il massimo. Poi, annoiati e distrutti dalla stanchezza, le persone si fermano ad ammirare un’ultima volta il fiume e tornano indietro. Andando avanti, diminuiscono sempre più quelli che si trovano, perché diminuisce l’energia vitale con cui la gente ha affrontato la passeggiata: che bisogno c’è di andare avanti, di scoprire dove si arriva, di vedere cose che tutto sommato si vedono anche nel primo tratto in città? Dopo il terzo km solo pochi, quei pochi che arrivano in posti per vedere i quali la gente spende migliaia di euro, portata (senza fatica) da un aereo in Paesi lontani. Se arrivano sul Missouri lo raccontano agli amici, senza sapere che il Missouri ce l’avevano a pochi passi in più.
La stessa cosa l’ho già notata alle Cinque Terre o a Nizza sulla Promenade: tutti partono dal centro, il picco della curva si ha al Negresco a circa 1 km, ma quanti sono quelli che arrivano fino all’aeroporto?
Insomma chi vive in modo annoiato perde una parte della realtà: se hai bisogno della musica per darti la carica e/o apprezzare ciò che hai intorno, tanto vale che ti imbottisci di Prozac. Se sei giovane, probabilmente fra qualche decina d’anni non arriverai nemmeno al primo km e ti avvicinerai sempre più a guardare la realtà solo dal ponte, un disabile alla vita.

Scelta delle cuffie per correre: con o senza fili, indossabilità, autonomia
Le migliori cuffie per correre
Se nonostante quanto detto sopra, il runner vuole correre con le cuffie, alcuni consigli fondamentali.
- Se non ci si vuole preoccupare di ricaricare le cuffie, si è un principiante o si ama correre sul tapis roulant in tranquillità, si possono scegliere cuffie con filo.
- Se invece si è un runner che presta attenzione alla prestazione e alla concentrazione, meglio usare cuffie wireless con tecnologia Bluetooth.
- Fondamentale che le cuffie abbiano una buona indossabilità, cioè si adattino all’orecchio del runner. Alcuni modelli sono dotati di diverse coppie di inserti (per esempio nelle misure S/M/L).
- Le cuffie around-ear offrono un’autonomia della batteria prolungata, ma sono ingombranti per correre. Le cuffie sportive in-ear hanno dimensioni più piccole, ma lo spazio ridotto non consente di utilizzare una batteria di grandi dimensioni. Quindi attenzione a quanto dura la ricarica delle cuffie (per esempio 6 ore) e a quanto è facile ricaricarle dopo l’uso.