Questo articolo è di difficile collocazione. È un articolo di psicologia, ma sconfina anche nell’organizzazione del movimento amatoriale in Italia. Le categorie per età sono ormai una realtà consolidata. La loro utilità è di motivare all’agonismo una fetta di runner che sarebbe penalizzata dagli anni che sono trascorsi troppo velocemente. Il ragionamento che sta alla base è che, se si mettono premi per i primi assoluti, è opportuno premiare anche per fasce di età, gratificando i sacrifici di chi si allena duramente tutti i giorni. Fin qui il ragionamento non farebbe una grinza se non ci fossero riscontri pratici che rivelano come questa posizione possa essere un boomerang per l’intero movimento.
- Si premia eccessivamente la tendenza ad accettare l’invecchiamento non solo come inevitabile (e lo è), ma soprattutto come elemento principale del peggioramento della prestazione. In realtà le prestazioni peggiorano anche per l’invecchiamento, ma soprattutto per una serie di altri fattori che con l’età nulla c’entrano. Ho fatto atletica sin da giovane. A 20 anni ero “negato” per la corsa di resistenza (parole di un allenatore che esprimeva la realtà dei fatti senza peli sulla lingua), ora batto tranquillamente diversi ex-nazionali. Sono sempre atleticamente scarso, ma ho notato che loro, appellandosi all’età che passa, sono semplicemente invecchiati malissimo, pur continuando a fare sport.
- Si frammenta inutilmente il movimento, trasformando spesso vincitori da primi arrivati in “unici” arrivati. Vincere un titolo o una gara perché nella propria categoria si è soli o al più in due o tre può essere gratificante solo per chi ha una visione distorta della corsa. Ho scritto questo articolo dopo aver partecipato ai campionati regionali FIDAL (l’ho fatto solo perché erano organizzati a casa mia, a Pavia). Lo spettacolo è stato penoso, se si eccettuano poche gare di mezzofondo. Decine di medaglie date ad atleti che erano unici nella loro categoria, che sceglievano “coscientemente” la gara per poter essere unici e vincere una medaglietta. Ho vinto 3 medaglie (anche la medaglia UISP, perché ovviamente poi ci sono anche le suddivisioni fra federazioni; devo informarmi se esiste un campionato nazionale di mezza maratona per ingegneri scacchisti. Se non c’è, lo organizzo) facendo un allenamento, limitato dal fatto che in una giornata chi partecipava a gare di mezzofondo non poteva fare due gare; altrimenti avrei preso la medaglietta anche nel triplo, nel lungo, nel martello (!), nel giavellotto ecc.
Quali sono le conseguenze di questi due punti? Dal primo punto deriva una conseguenza personale. Chi si abitua a gareggiare nella propria categoria perde spesso punti di riferimento assoluti, si accontenta, sopratutto se è di notevole caratura. Molti ottimi atleti vivono di rendita finché non costa loro fatica primeggiare, poi abbandonano appena i loro avversari sono diventati più competitivi. Per anni hanno monopolizzato la loro categoria, pur allenandosi male, con uno stile di vita non certo esemplare ecc., usufruendo solo delle doti naturali che si sono ritrovati. Quindi consiglio:
lottate pure per i premi di categoria, ma non usate l’età come alibi per rinunciare a competere con chi è più giovane di voi.

La categoria master è una suddivisione usata nell’ambito dell’atletica leggera e stabilita in base all’età dalla World Masters Athletics
Un tale atteggiamento vi consentirà di invecchiare di meno, ottenendo sempre il meglio.
Dal secondo punto discende la scarsa credibilità del movimento. C’è chi accusa la federazione di non avere riguardo nei confronti degli amatori? Ma come potrebbe averlo quando si assistono a spettacoli poco edificanti come i campionati italiani o regionali, in cui atleti infortunati gareggiano egualmente per esserci e strappare una medaglietta.
Alcuni tireranno in ballo De Coubertin. Ma se l’importante è partecipare, che senso ha premiare decine di persone immeritevoli? Aboliamo le classifiche, corriamo e basta. Finché non si metteranno limiti di partecipazione (cioè l’ottenimento di certi tempi e misure per poter partecipare), certe manifestazioni rimarranno di bassissimo profilo.
Veniamo ora all’insegnamento personale, peraltro già indicato nel consiglio soprariportato in grassetto. L’atleta deve imparare a giudicare la propria prestazione in assoluto, non relativamente alla categoria di appartenenza.
PRIMO ERRORE (APPAGAMENTO) – In ogni zona d’Italia esistono, a volte casualmente, categorie un po’ vuote. Ciò significa che la concorrenza è scarsa. Se l’atleta si limita a tarare il proprio allenamento in base agli avversari, in pochi anni peggiorerà decisamente. Come aneddoto, ricordo un forte amatore ex-nazionale nella categoria over 40; la sua superiorità era così evidente che si poteva permettere molti periodi di pausa nei quali si limitava a corricchiare, poteva vantarsi di vincere pur essendo un buon fumatore ecc. A 40 anni dominava gli avversari di circa 15″/km; ogni anno, senza accorgersene, perdeva circa 2″/km del suo vantaggio. Arrivato a 47 anni, dopo un’annata in cui gli avversari l’avevano riportato nel gruppo dei comuni mortali, abbandonò le competizioni.
SECONDO ERRORE (DIFFERIMENTO) – In altre zone la concorrenza può essere casualmente fortissima. Se le fasce di età sono di 10 anni, per un 57(47)-enne può essere dura gareggiare con un 50(40)-enne. Allora l’atleta decide di “ritirarsi” temporaneamente, aspettando il passaggio di categoria. A prescindere dal fatto che tale atteggiamento rivela un fittizio amore per la corsa, i risultati di tale strategia sono devastanti. Quando rientra, il soggetto si ritrova peggiorato in maniera incredibile, a riprova del fatto che dopo una certa età il fattore che amplifica maggiormente gli effetti dell’invecchiamento è la condizione di sedentarietà o di scarsa attività sportiva.