Il calo della prestazione è un problema sperimentato, prima o poi, da tutti coloro che praticano un’attività sportiva (questo articolo è pensato soprattutto per coloro che praticano la corsa, ma i concetti espressi sono comunque validi in generale). Moltissimi sportivi, in presenza di un calo della prestazione, pensano naturalmente a qualcosa di patologico. Se la preoccupazione può essere logica, non deve essere mai disgiunta dalla consapevolezza che l’allenamento, non solo non può far migliorare all’infinito, ma può addirittura far peggiorare la nostra prestazione. Consideriamo infatti un atleta che si allena proficuamente e che per un certo periodo di tempo resta sui livelli per lui molto buoni. In genere l’errore che egli commette è quello di insistere con lo stesso tipo di allenamento. Se è un soggetto che pratica attività sportiva da poco tempo o in modo non intenso, probabilmente continuerà a migliorare, ma se è invece un atleta molto vicino al suo top a un certo punto inizierà a peggiorare. In cosa sta sbagliando? Gli errori commessi sono essenzialmente due. Vediamo quali sono.
Il primo errore
Alla base dei miglioramenti indotti dall’allenamento c’è il principio della supercompensazione, cioè la reazione che produce il fisico una volta stressato ai suoi massimi livelli (per approfondire questo concetto rimandiamo al nostro articolo Supercompensazione).
Pertanto, ogni miglioramento a livello prestativo è frutto di uno stress organico. Questo concetto non è affatto chiaro a chi, allenandosi in modo intenso e professionale, pretenderebbe di migliorare sempre, di gareggiare ogni domenica e magari di compiere duri allenamenti durante la settimana.
Il concetto corretto è invece che dopo ogni periodo di miglioramento (carico) deve essere presente un periodo di mantenimento (scarico), il cui scopo ottimale è di rigenerare l’organismo senza che le prestazioni risultino eccessivamente penalizzate.
Il secondo errore
Purtroppo non funziona inserire un periodo di mantenimento quando si è già verificato un calo delle prestazioni. Infatti, da un punto di vista organico il corpo è già “sofferente” e comunque reagisce male a ogni stress fisico, anche se limitato.
Calo della prestazione: cosa fare?
A questo punto si deve necessariamente inserire un periodo di rigenerazione (un concetto cardine della teoria dell’allenamento) che può durare anche un paio di mesi.
Nella prima fase del periodo di rigenerazione l’atleta può dedicarsi ad altri sport, alla palestra o seguire un programma molto blando e facile; nella seconda fase deve iniziare di nuovo la preparazione esattamente come dopo un infortunio che lo abbia tenuto fermo diverse settimane, con molta gradualità. Questo quadro fa capire l’importanza della prevenzione del calo di prestazione.
Esaminiamo ora alcune cause di un calo della prestazione non legato a un’errata impostazione dell’allenamento.
Calo della prestazione e sovrallenamento
Molti, affrettatamente, nel caso di un calo delle proprie prestazioni sportive, pensano subito a un problema di sovrallenamento; rimandando per i dettagli all’articolo corrispondente (Sovrallenamento), basti ricordare che il sovrallenamento è una sindrome facilmente riconoscibile perché i segni e i sintomi sono molti e per di più contemporaneamente presenti.
Un semplice calo delle prestazioni associato a stanchezza non è mai sinonimo di sovrallenamento.

Il calo della prestazione è un problema sperimentato, prima o poi, da tutti coloro che praticano un’attività sportiva
La stanchezza organica
La stanchezza organica non è correlabile con l’allenamento; a differenza del calo di prestazioni e del sovrallenamento ha un’unica causa organica.
Le cause della stanchezza organica sono indagate nell’articolo sulla stanchezza.
La stanchezza alimentare
Ovvio che un’alimentazione pessima può provocare stanchezza (come chi alterna periodi di abbuffate a periodi di digiuno), ma anche un’alimentazione troppo variata in calorie abitua il corpo a risparmiare (ecco la stanchezza) quando non ha sufficienti calorie: è il caso classico di chi sta a dieta tutta la settimana e poi si concede week-end ipercalorici. Il conto generale torna, ma il corpo memorizza il periodo di magra e durante di esso va in letargo.
Un altro caso di stanchezza alimentare è chi segue una dieta ipocalorica di mantenimento del peso corporeo, senza concedere le giuste pause di riposo al proprio organismo, dormendo troppo poco o svolgendo troppe attività contemporaneamente.
Bisogna infatti ricordare che il grado di fatica di ogni sport è minimizzato dalla specializzazione. A parità di tempo dedicato, praticare più sport o attività comunque impegnative (trekking, ballo, caccia ecc.) è più dispendioso che praticare un solo sport.
La stanchezza patologica
Molto spesso, dopo un episodio virale, la stanchezza e il calo di prestazioni possono accompagnarci per diversi mesi.
Poiché in genere l’episodio scatenante non passa inosservato, risolvere il problema è compito tipicamente medico.
Esiste però un caso molto subdolo, la mononucleosi. Infatti alcune infezioni passano completamente inosservate e la mononucleosi (il cui virus sta oggi prendendo importanza in molte altre patologie ancora misteriose, come la sindrome da stanchezza cronica) può avvelenare per diversi mesi la vita sportiva del soggetto.
Riferitevi all’articolo per i dettagli sulla mononucleosi e sugli esami clinici necessari per identificarla.