Lo scopo principale dell’allenamento per la corsa, dal punto di vista medico, non è il raggiungimento di una data prestazione, ma realizzare il processo di adattamento che permette al fisico di sostenere i carichi di lavoro senza incorrere in traumi e infortuni. Si può dire che lo scopo dell’allenamento è realizzare l’adattamento del corpo umano al gesto atletico. Questo processo è possibile perché il corpo umano è in grado di reagire agli stimoli esterni e automodificarsi in modo da produrre una reazione più appropriata. Ciò lo differenzia da un sistema meccanico (un motore), che invece non è in grado di adattarsi, ovvero di modificarsi. Però il corpo umano limita le sue capacità di adattamento reagendo solo a particolari stimoli, non a tutti. Essi sono in grado di sollecitare i meccanismi biologici che permetto al corpo di adattarsi. Tali meccanismi sono innescati in base ad alcuni principi basilari: il sovraccarico, la progressione, la specificità, gli effetti incrociati e inversi, l’interferenza e il riposo.
Indice
- Allenamento per la corsa – I principi basilari
- Programmazione dell’allenamento per la corsa
- Programmazione settimanale
- Il programma

L’allenamento per la corsa deve essere condotto secondo principi scientifici che tangano conto di sovraccarico, progressione e specificità.
Allenamento per la corsa – I principi basilari
Principio di sovraccarico
Se una parte del corpo umano viene sollecitata in maniera maggiore rispetto alla normale attività, si realizza il sovraccarico: per esempio, correndo, la frequenza cardiaca si alza rispetto a quella a riposo. Le alterazioni indotte dal sovraccarico permettono di allenare il corpo, migliorando l’adattamento. Si è anche visto che
per poter avere effetti allenanti, il sovraccarico non deve scendere al di sotto di una certa soglia.
Per esempio, se un sollevatore di pesi solleva in allenamento solo carichi di poco superiori a quelli che riesce a sollevare normalmente, il suo grado di allenamento (ovvero l’efficacia dell’adattamento) sarà quasi nulla.
Il livello inferiore al di sotto del quale il sovraccarico non può scendere si dice livello di fitness. In termini più generali, chi sta sotto al livello di sovraccarico sta facendo low-intensity training.
Principio della progressione
Questo principio è diretta conseguenza del precedente: una volta che il corpo si è adattato al nuovo carico, occorre aumentare lo sforzo effettuato, aumentando durata, intensità o frequenza di allenamento. Si deve quindi attuare una progressione, possibilmente in modo graduale per dare il tempo e l’opportunità al corpo di adattarsi al nuovo sovraccarico.
La progressione dipende anche dal livello di partenza dello stato fisico dell’atleta, ovvero dal suo livello di fitness. Si è inoltre osservato che
gli effetti del sovraccarico, ovvero l’adattamento del corpo, si attuano nei periodi di recupero tra una seduta di allenamento e la successiva.
Addirittura i processi di adattamento sono bloccati se i periodi di recupero sono troppo brevi. Facendo seguire a una fase di sovraccarico una di recupero e una diminuzione del sovraccarico si realizza un ciclo di allenamento ottimale che evita infortuni e permette al corpo di mettere in pratica i meccanismi dell’adattamento.
La specificità nell’allenamento per la corsa
Una cosa che deve esser chiara nell’allenamento è lo scopo che si vuole raggiungere. Discipline diverse impiegano distretti muscolari diversi, e solo quelli coinvolti saranno oggetto del sovraccarico. Nell’ambito della stessa disciplina, per esempio la corsa, si possono osservare effetti di specificità: la capacità aerobica coinvolge solo i muscoli interessati, mentre l’attività anaerobica ha maggior effetto sul muscolo cardiaco e sui parametri del sangue.
La corsa di resistenza, pur introducendo un guadagno generale a livello cardiovascolare, ha cioè sempre un effetto confinato ai muscoli coinvolti. Un allenamento anaerobico per la corsa ha effetto minimo sul nuoto e viceversa. La specificità è anche evidente negli esercizi di ginnastica: una serie di contrazioni muscolari isotoniche permettono di guadagnare forza solo per il valore di angolazione dell’articolazione interessata dall’esercizio.
Gli effetti dell’allenamento
Gli effetti possono essere di due tipi: incrociati e inversi. In un famoso studio risalente al 1894 [1] si è visto che, compiendo esercizi che allenano un solo arto, anche l’altro presenta un aumento di forza: questo risultato è confermato anche da uno studio più recente [2]: se quello esercitato incrementa la sua forza di circa il 13%, quello non allenato arriva a un incremento di poco inferiore al 9%. Si pensa che ciò sia dovuto al fatto che gli impulsi nervosi sono comunque inviati anche all’arto non allenato, che compie un allenamento di tipo isometrico [3]. Gli effetti incrociati sono limitati, in quanto si riferiscono al fatto che la specificità non è completa: allentandosi per la corsa di resistenza, non si può pensare di sviluppare la forza degli arti inferiori (non è specifica di questa disciplina), ma un allenamento costante provocherà un aumento di forza nelle gambe rispetto a un sedentario.
L’attività anaerobica ha maggior effetto sul muscolo cardiaco e sui parametri del sangue
L’effetto inverso
Se l’allenamento viene interrotto, i miglioramenti conseguiti si perdono nel tempo. Questo fatto è ben noto ai runner, al punto che alcuni sono terrorizzati anche all’idea di perdere una sola seduta di allenamento. In realtà l’effetto inverso si manifesta in modo complesso e soprattutto
l’effetto inverso dipende anche dal grado di allenamento raggiunto al momento dello “stop”, quindi le sue conseguenze sono difficilmente quantificabili perché soggettive.
Tuttavia è possibile stimare approssimativamente l’effetto inverso indicando dei valori medi: se dopo 25 settimane allenamento si interrompe, la perdita di forza negli arti è circa 0,3-1% al giorno per un’attività da sedentario, fino al 5% se l’arto rimane immobilizzato. La velocità di decrescita della forza muscolare non è costante, ma è massima nella prima settimana, decresce più lentamente tra 4 e 6 settimane quindi rimane costante. L’effetto inverso coinvolge anche grandi campioni che presentano parametri di prestazioni eccezionali.
Uno studio effettuato su atleti con un valore di massimo consumo di ossigeno decisamente elevato (41% in più rispetto alla media) dopo 25 anni presentava valori dello stesso parametro paragonabili a sedentari o addirittura inferiori a individui sedentari della stessa età.
L’interferenza
Tipi di allenamento diversi possono andare in conflitto tra loro, interferendo nella realizzazione dell’adattamento: se si vuole allenare contemporaneamente forza e resistenza, gli effetti saranno minori di quanto invece non si avrebbe se i due tipi di allenamento fossero effettuati da soli. Il corpo umano quindi reagisce meno efficacemente se sottoposto a stimoli diversi, come se le due tipologie di allenamento interferissero tra loro (da qui il termine). Allenarsi per la resistenza può interferire con l’allenamento volto a incrementare velocità e potenza. Se le tipologie di allenamento vengono effettuate in periodi messi in serie tra loro (uno dopo l’altro) si può diminuire o annullare l’effetto dell’interferenza, però purtroppo si innesca l’effetto inverso, cioè il deallenamento di quella tipologia che viene abbandonata a favore della nuova.
L’interazione fra interferenza ed effetto inverso è particolarmente importante e una sua cattiva interpretazione è alla base di molti insuccessi di tabelle di allenamento che non tengono praticamente conto che è impossibile massimizzare in assoluto parametri che fisiologicamente sono comunque in controtendenza (per esempio velocità e resistenza).
L’abilità dell’allenatore consiste nel riuscire a scoprire qual è il limite per cui l’allenamento al fattore secondario (per esempio la velocità) non penalizza quello primario (per esempio la resistenza). Tale limite dipende ovviamente dalle caratteristiche dell’atleta, ma, nel caso dell’amatore, anche dal tempo a disposizione e dalle sue capacità di recupero.
Programmazione dell’allenamento per la corsa
Una corretta programmazione dell’allenamento per la corsa è fondamentale per gestire al meglio la preparazione di una gara.
Quando si prepara una determinata distanza, infatti, è del tutto logico che l’allenamento si basi sui processi fisiologici e metabolici che sono coinvolti nella gara oggetto della preparazione.
In base a questo banale principio è ovvio che lo sprinter si alleni molto sulla partenza; sarebbe invece del tutto ridicolo che un maratoneta dedicasse tempo alla preparazione dell’avvio della gara, guadagnando cinque centesimi su una competizione che dura oltre due ore.
In genere sono molti i parametri che si devono allenare, ognuno con una propria importanza nell’economia dell’allenamento.
La resistenza aerobica è per esempio molto più importante per una maratona che non per i 5000 m. Poiché in un dato periodo l’atleta ha un numero di sedute pianificato, è consuetudine ruotare i vari allenamenti in modo da toccare tutte le grandezze che devono essere allenate.
Il metodo piramidale
Negli anni ’60-70 del secolo scorso, il neozelandese Arthur Lydiard sperimentò con successo un ciclo di allenamento piramidale.
Come spesso accade, il metodo fu ripreso in varie salse e riproposto spesso con molta approssimazione. La fondazione Lydiard è nata (2006) anche con lo scopo di diffondere il metodo nella sua versione originaria. Essa prevede:
- 10 settimane di condizionamento aerobico (periodo di costruzione); su una buona forma aerobica si basano i risultati di tutta la stagione.
- Da 4 a 6 settimane di potenziamento; vengono sviluppati due concetti fondamentali, il potenziamento e la flessibilità, e si inizia a introdurre l’esercizio anaerobico; gli allenamenti base si avvalgono di esercizi in salita.
- 4 settimane; sviluppo delle capacità anaerobiche (interval training e ripetute). Secondo Lydiard bastano 4, massimo 5, settimane per raggiungere la massima forma anaerobica.
- 4 settimane di coordinamento; fusione delle capacità aerobiche con quelle anaerobiche, allenamenti orientati alla velocità (intesa come economia dell’azione; sprint), mantenimento della condizione anaerobica.
- 2 settimane di scarico; si ricerca la freschezza prima della gara.
Come si vede, ci vogliono da 24 a 26 (massimo 27) settimane per arrivare alla miglior prestazione.
Perché il metodo piramidale ha funzionato
Il metodo piramidale ha funzionato per diversi motivi:
- È stato uno dei primi tentativi di razionalizzare scientificamente l’allenamento.
- L’alternanza di periodi di carico e di scarico (un concetto tuttora valido) consentiva una buona gestione psicologica dell’atleta.
- È stato il primo a considerare che la corsa di resistenza è soprattutto aerobica e che il contributo anaerobico serve come rifinitura importante (si pensi a un atleta con primato di 18′ sui 5000 m; se li corresse in modo totalmente aerobico li correrebbe comunque in circa 21′).
- Ha sottolineato l’importanza della flessibilità e del gesto atletico.
- Ha teorizzato l’uso delle prove ripetute.
- Ha sottolineato il fatto che non ci si può allenare duramente e nel frattempo gareggiare, introducendo il concetto di scarico.

Una corretta programmazione dell’allenamento per la corsa corsa è fondamentale per gestire al meglio la preparazione di una gara
Perché il piramidale è migliorabile
Il metodo piramidale presenta alcune difficoltà:
- La lunghezza del periodo totale rispetto al periodo agonistico può essere giustificata per un evento importantissimo (come le Olimpiadi), ma mal si sposa con una stagione densa di impegni di un professionista o con il desiderio di correre di un amatore. Che sia un salutista o un agonista, l’amatore ha stimoli piuttosto costanti che mal si combinano con una progressione nella motivazione e nell’impegno.
- I mezzi utilizzati sono monotoni (per il potenziamento solo esercizi in salita) e, a volte, non convenzionali (per esempio Lydiard sostiene che l’allenamento anaerobico è forse meglio non svolgerlo in pista).
- L’allenamento anaerobico è definito non in maniera classica (relazionandolo all’acido lattico), ma come espressione massima di corsa in scioltezza: si continua finché non si “picchia contro il muro”, cioè quando si perde coordinazione e ci si irrigidisce.
- È abbastanza indipendente dalla distanza e ciò non è fisiologicamente giustificato.
Il deallenamento
La difficoltà più grande è però rappresentata dal fatto che l’allenamento piramidale è un allenamento di tipo seriale: le varie grandezze vengono cioè allenate in serie, dando per scontato che i benefici di una grandezza allenata permangano nel tempo sufficientemente a lungo da influenzare positivamente i periodi successivi. A questo proposito rimandiamo al nostro articolo Deallenamento.
Allenamento per la corsa – Programmazione settimanale
Chi vuole diventare un buon allenatore di sé stesso deve effettuare una corretta programmazione settimanale dell’allenamento. In genere il runner non professionista ha problemi di tempo che impongono vincoli abbastanza stretti; in alcuni casi esistono altri fattori limitanti come le scarse capacità di recupero, l’interazione con altri sport, i vincoli imposti dall’allenamento di gruppo ecc.
In ogni caso, a prescindere dalle varie problematiche, una corretta programmazione settimanale deve tener conto:
- dei giorni di allenamento
- della loro distribuzione
- della durata dell’allenamento
- dell’intensità dell’allenamento.
In genere i punti a) e c) sono scelti a priori per motivi extrasportivi e quindi bisogna accettarli come tali. Per molti runner il punto c) non si pone, nel senso che quando possono allenarsi non hanno limiti ragionevoli di tempo.
Quindi è necessario studiare i punti b) e d) alla luce di a) e di c) che si ritengono immodificabili. Per chi volesse conoscere l’influenza del punto a) sulle prestazioni rimandiamo a Quanti giorni alla settimana?.
La distribuzione dei giorni di allenamento
Distribuire male il proprio allenamento significa non predisporsi a eseguirlo al meglio. Per un allenamento scientifico non è possibile allenarsi meno di tre volte alla settimana; per chi non si allena tutti i giorni risulta perciò fondamentale piazzare i giorni di riposo in modo da recuperare al meglio.
Se ci si allena 3 volte bisogna assolutamente evitare di scegliere due giorni consecutivi (per esempio scegliere un giorno infrasettimanale, il sabato e la domenica: meglio fare qualche “sacrificio” in più e scegliere due giorni infrasettimanali); se ci si allena 4 o 5 volte è importante considerare che il giorno di maggior fatica successivo a un lavoro di qualità non è l’indomani, ma in genere si ha il picco di sottoprestazione 36 o 48 ore dopo. Pertanto, se si gareggia la domenica, il martedì si starà probabilmente peggio che il lunedì.
Per chi si allena sei volte alla settimana (e in genere gareggia) il riposo dovrebbe essere obbligato al sabato (questo ovviamente a prescindere da personalizzazioni della settimana di scarico prima di gare veramente importanti).
L’abitudine di riposare il venerdì e corricchiare il sabato di fatto rende l’allenamento su 5 sedute anziché 6. Chi poi riposa il lunedì commette il doppio errore di allenarsi il sabato prima della gara (ripeto, una corsettina defaticante non è un allenamento) o dell’allenamento domenicale (che comunque nel runner amatore è di solito impegnativo) e di non considerare il picco di fatica del martedì.

Chi vuole allenarsi in modo scientifico non può effettuare meno di tre sedute settimanali
L’intensità dell’allenamento: un punto critico
Su questo punto in genere casca l’asino. Nel voler fare tutto (cioè tutti i tipi di allenamento conosciuti o “scopiazzati”) si fa solo una gran confusione. Vediamo alcune regole generali:
- prima viene la qualità, poi la quantità.
- quanto più ci si allena tanto più la quantità è importante.
Con queste due semplici regole si possono capire gli allenamenti dei professionisti e la differenza sostanziale fra un professionista (magari 12-14 sedute alla settimana, considerando il bigiornaliero) e un amatore (magari 3 sedute settimanali).
Chi si allena 3 volte alla settimana non può che fare qualità. Ogni uscita deve prevedere un impegno almeno all’80% del massimo. Se per esempio si sceglie un lento, deve essere sufficientemente lungo e a velocità “svelta” (40″ sopra il proprio tempo sui 10000 m). Un lento di 10 km a 1’/km sopra la velocità dei 10000 m è una pessima scelta. Rimanendo altamente qualitativi, non si deve comunque trascurare la quantità, per cui non si devono inserire spesso allenamenti del tipo 10×200, solo per provare l’ebbrezza della pista.
Chi si allena 4 volte alla settimana, seguirà le stesse indicazioni, avendo solo l’avvertenza di non caricare nei due giorni consecutivi.
Chi si allena 5 o 6 volte alla settimana dovrà per forza di cose incominciare a occuparsi seriamente dell’aspetto quantitativo del suo allenamento. Il fondo lento e il fondo progressivo acquistano un’importanza basilare e non devono essere sostituiti da forme troppo impegnative (non devono cioè trasformarsi in medi o, peggio, in vere e proprie gare quando si corre in gruppo). Solo così si può sfruttare “l’allenarsi di più” che non deve diventare uno “stancarsi di più”.
Per chi si allena 7 giorni su sette o addirittura esegue il bigiornaliero, diventa fondamentale anche l’allenamento rigenerante, corso a ritmi decisamente blandi per il valore dell’atleta. La quantità prevale cioè sulla qualità.
Allenamento per la corsa – Programma
Quale programma d’allenamento seguire? È necessaria la scelta di un programma compatibile con la propria situazione sportiva. Sembrerebbe una prova banale, ma in realtà rappresenta il passo più difficile da compiere, forse il più importante.
Dalle mail che riceviamo è infatti immediato notare i grossolani errori che l’amatore commette quando deve orientarsi a un programma piuttosto che a un altro. In questo articolo cercheremo di esaminare i principali errori del runner che non ha ancora una piena coscienza sportiva.
1) La fusione dei programmi – È sicuramente l’errore più grave. Prendere da tutti un po’ è una strategia che può essere valida in alcuni campi, ma sicuramente non paga nella teoria dell’allenamento. Alla base dell’errore c’è l’ignoranza di un concetto fondamentale: qualunque programma di allenamento produce stimoli che, perché possano essere positivi, devono armonizzarsi (in termini più tecnici, essere in fase) per produrre il massimo risultato. Con un’analogia, chi fonde programmi è come chi, da una decina di spartiti di grandi opere musicali, pretendesse di costruire un capolavoro scegliendo a caso 10″ di esecuzione da ogni opera.
Ogni allenatore che si rispetti sa benissimo, quando stila un programma d’allenamento, che le varie sedute devono essere legate da un filo logico e tutto il programma persegue l’incremento dei valori fisiologici dell’atleta secondo una razionalità che, se stravolta, produce solo confusione.
Non a caso, diversi programmi possono ottenere lo stesso buon risultato sullo stesso atleta proprio perché entrambi sono “sensati”. Questo è tanto più vero quanto più il livello dell’atleta è basso. Per cui, se non siete campioni olimpici, cercate di seguire al meglio un programma normale piuttosto che mischiarne diversi per raggiungere prestazioni da sogno.
L’esempio classico dell’errore di fusione riguarda l’inserimento della seduta magica, cioè quella seduta che da sola dovrebbe apportare benefici enormi. Spesso è una seduta d’allenamento copiata dai programmi di un campione, adattata nei ritmi o nelle quantità. Premesso che questo adattamento non è affatto facile, il più delle volte tale seduta non si armonizza minimamente con quello che si sta facendo, risultando solo uno stimolo in controtendenza.
2) La variazione quantitativa – Di solito si tratta di una forte riduzione del chilometraggio, ottenuta, più che riducendo la lunghezza della singola seduta, con la riduzione del numero di sedute settimanali. Se apportata correttamente può essere un ritocco compatibile con le finalità del programma e lo è quanto più l’atleta è allenato. Infatti gli studi di Hickson hanno dimostrato che per l’atleta allenato, fra frequenza (numero di sedute settimanali), durata e intensità dell’allenamento, il parametro più importante è sicuramente l’intensità. Per cui un amatore con un buon grado di preparazione può per esempio scegliere un programma su sei giorni alla settimana, riducendolo a quattro, eliminando le due sedute meno impegnative.
Per il principiante questa regola di eliminazione è molto meno valida perché non è ancora in grado di reggere le sedute più intense senza una sufficiente base aerobica e nello stesso tempo l’eliminazione dal programma delle sedute di qualità probabilmente lo snaturerebbe completamente. Quindi un soggetto non molto allenato dovrebbe astenersi dall’eseguire variazioni quantitative e orientarsi a un programma già in partenza fattibile.
3) La variazione qualitativa – A differenza della variazione quantitativa, quella qualitativa è spesso in senso maggiorativo: l’atleta percepisce il programma come troppo facile e lo rende più “duro”. Ho notato che questo accade soprattutto quando il programma ha una notevole parte aerobica (corsa lenta) che “annoia” il runner che è portato a trasformare molte sedute di corsa lenta in progressivi o addirittura in medi, soprattutto se è ancora nella fase di netto miglioramento atletico per una carriera ancora giovane.
La fretta di bruciare i tempi, di centrare obiettivi, l’esaltazione per i facili progressi portano a sottostimare il carico complessivo del programma. Finché la crescita atletica supporta questa strategia sembra che tutto fili per il meglio, ma non appena l’atleta si avvicina al suo limite fisiologico ecco che l’eccessiva variazione qualitativa si trasforma da stimolo allenante in stimolo affaticante e la prestazione comincia a peggiorare.
La cosa veramente grave è che di solito il runner non si accorge dell’errore e attribuisce ad altri fattori lo stato di forma scadente, perseverando (anzi, alcune volte accentuandolo) nell’errore di variazione qualitativa.
4) La grandezza di riferimento – Ogni programma che si rispetti si basa su una grandezza di riferimento, il parametro su cui è basata la descrizione qualitativa degli allenamenti. Per esempio, io sono solito usare il ritmo gara (RG) della distanza alla quale il programma è rivolto. Dal ritmo gara deduco la velocità del fondo lento (per esempio RG+40″), del fondo medio (per esempio RG+20″), delle ripetute (per esempio RG-5″) ecc.
Altri allenatori usano la frequenza cardiaca (per esempio 90% della FCMax) oppure la SAN (soglia anaerobica, per esempio 90% della SAN). In teoria si possono usare infinite grandezze di riferimento (alcune anche semplicemente descrittive, basate sulle sensazioni che si provano durante la corsa). Non è fra gli scopi di questo articolo valutare quali siano le più adatte; ogni allenatore ha sicuramente delle ragioni da vendere nel proporre le proprie.
È però fondamentale che l’atleta “capisca” la grandezza che usa e non si limiti semplicemente a usare il programma con la descrizione delle sedute. Con un’analogia sarebbe come comprare un vestito senza aver capito quanto costa. Un test banale consiste nell’esaminare una seduta di ripetute. Se capite il grado di difficoltà che la seduta rappresenta per voi in questo momento, allora avete “capito” l’unità di misura su cui si fonda tutto il programma.
Supponiamo che un programma parli di ripetute sui 1000 m da corrersi a una velocità che è il 103% della SAN. Se l’atleta non sa quant’è la sua SAN attuale, non ha modo di eseguire un test attendibile per valutarla ecc. è abbastanza utopistico che riesca a capire il programma d’allenamento. Quello che accadrà è che chiederà a un amico, effettuerà un test approssimativo per la determinazione della SAN o consulterà tabelle per determinarla magari in relazione al suo record, cioè al suo valore massimo e non a quello attuale. Il risultato sarà una SAN approssimata magari di 300-400 m; se l’approssimazione sarà per eccesso, il programma risulterà molto duro con effetti devastanti quanto più il runner si ostinerà a seguirlo.
Non a caso un qualunque programma di allenamento dovrebbe proporre al suo inizio uno starting test che dia all’atleta gli opportuni parametri di partenza tarati in base alla grandezza di riferimento che si userà poi per tutto il programma.
5) Le condizioni al contorno – È necessario valutare anche le condizioni al contorno, cioè tutte quelle variabili che rendono operativo il programma: dal tempo a disposizione per ogni singola seduta alla disponibilità di una pista o di una palestra fino alla competenza richiesta per l’esecuzione dei singoli moduli.
Se, per esempio, un programma è pesantemente basato su ripetute medio-lunghe in salita e il runner, vivendo in pianura, non ha a disposizione che un cavalcavia non è possibile sostituire una seduta di 8 km di fondo medio in salita con 20×100 m sul cavalcavia! Se il programma prevede molte ripetute in pista, non è possibile sostituirle con tratti in campagna dove le misure sono approssimative e soprattutto il fondo comporta continue variazioni di ritmo.
Di fondamentale importanza è poi la comprensione della seduta. Tutti sanno che eseguire approssimativamente (cioè male!) esercizi di stretching, di flessibilità o di potenziamento può produrre più danni che vantaggi. Molti però si illudono di saper eseguire correttamente sedute molto impegnative. Si supponga di avere fra le mani un programma “rivoluzionario” per i 10000 m che proponga una seduta di qualità del genere:
8x(400 m a RG rec. 200 m a RG+40″) +8x(300 m a RG + 100 m a RG+40″).
La complessità del programma attirerà molti runner: “Finalmente qualcosa di nuovo! Sicuramente funziona!”. Appare subito evidente la necessità della pista. Supponiamo di averla a disposizione, dove sta il problema? Chi riesce a vederlo in una manciata di secondi è veramente molto bravo.
Non è certo la difficoltà il punto dolente del programma. Infatti si tratta di percorrere 8 km di cui 5,6 al ritmo gara dei 10000 m. Se il ritmo gara è corretto, non dovrebbero esserci problemi, anzi, potrebbe risultare piuttosto facile.
La difficoltà consiste nel fatto che se il runner non è un cronometro svizzero l’allenamento diventa casuale. Supponiamo che il RG sia 4’/km, il recupero deve essere corso a 4’40”, cioè 28″ ogni cento metri. In assenza di un allenatore esterno che valuti le velocità (visivamente o con opportune rilevazioni) e dia opportune indicazioni, pochi runner hanno la sensibilità di correre da soli una parte veloce a 4’/km e una lenta a 4’40″/km quando questi tratti sono molto brevi. Provate a scaldarvi bene e poi partite per il primo tratto: 400 m in 1’36” e 200 m in 56″. Sbagliare di 4″ sul 400 e di soli 2″ sui 200 vuol dire sbagliare di 10″/km: state eseguendo l’allenamento di un altro atleta!
Una condizione al contorno che viene sottovalutata è il tempo della singola seduta. In fondo cosa ci vuole per un medio di 10 km? 40-45-50′ al massimo. Allenarsi in ristrettezza di tempo è controproducente sia per motivi fisici sia psicologici. La mancanza di tempo porta spesso a ridurre il riscaldamento e gli esercizi di allungamento e di mobilità che dovrebbero precedere ogni seduta, anche le più facili, aumentando la probabilità di infortunio (certezza mai smentita dagli studi di Safran, 1988) e riducendo sicuramente la resa dell’allenamento stesso. Probabilmente nessuno rinuncia alla doccia post-allenamento per mancanza di tempo, anche se, fisiologicamente parlando, sarebbe più opportuno non rinunciare al riscaldamento e andare al lavoro o tornare in famiglia senza aver fatto la doccia, tutti grondanti di sudore! Quindi, se fate la doccia anche per rispetto degli altri, non rinunciate al riscaldamento per rispetto del vostro corpo.
Dal punto di vista psicologico è sicuramente molto stressante allenarsi con i minuti contati e lo stress alla lunga finisce con il pesare nettamente sul rendimento sportivo.
Se vi manca il tempo, cambiate programma oppure cambiate distanza obiettivo: distanze più corte richiedono sedute meno lunghe. È abbastanza illusorio pensare di essere preparati per una maratona correndo al massimo per un’ora.
Una condizione al contorno particolarmente importante è il posizionamento dei giorni di riposo che tutti i programmi per amatori prevedono. Per esempio, molti programmi piazzano la seduta più impegnativa la domenica con il sabato come giorno di riposo. Molti runner invece corrono sia il sabato sia la domenica. Altri invece il sabato non corrono e non riuscirebbero a utilizzare programmi che per esempio utilizzano il lunedì come giorno di riposo.
La regola fondamentale è che il programma deve consentire gli allenamenti più impegnativi in condizioni di relativa freschezza. Non ha senso piazzare i due allenamenti più impegnativi nel week-end “perché si ha tempo” e due allenamenti blandi durante la settimana perché si ha al massimo un’ora di tempo. Meglio allenarsi solo tre volte alla settimana, dedicando una quarta (domenica) a un’attività alternativa di supporto (per esempio la palestra).

Per diventare allenatori di sé stessi il primo esame da superare è la scelta di un programma compatibile con la propria situazione sportiva.
Partiamo!
Se quanto detto sopra è stato completamente recepito, dovrebbe essere immediato capire la regola per la definizione del proprio programma d’allenamento:
scegliere UN SOLO programma di allenamento in base alla fattibilità dello stesso.
La fattibilità è dunque l’elemento più importante. È inutile partire con un programma che già inizialmente si sa che presenterà problemi di fattibilità; questa deve riguardare:
- la quantità
- la qualità
- la grandezza di riferimento
- il recupero dalle sedute più impegnative
- il tempo dedicato alle singole sedute
- i percorsi e le strutture.
Ricordatevi che un programma fattibile, oltre che migliorare le vostre prestazioni, sicuramente vi farà divertire, cosa che per l’amatore ha la stessa importanza che ha il sogno di una medaglia per il professionista.
Bibliografia
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