Prima di parlare del fenomeno del cosiddetto protein burning sono necessarie alcune premesse. Il body building ha una visione abbastanza particolare dell’alimentazione, privilegiando l’apporto di proteine nel terrore che l’esercizio fisico squagli come burro i muscoli che per il body builder sono la cosa più importante. Ovviamente in questa visione catastrofica non tutto è scientifico, perché è abbastanza facile dimostrare che: 1) oltre un certo limite (per la gran parte dei soggetti molto modesto e tale da non costruire un fisico da body builder da competizione) i muscoli non aumentano più, a meno che, oltre ai mattoni (le proteine), non si forniscano anche i muratori (i fattori anabolizzanti); 2) affinché il catabolismo proteico si manifesti, occorre che lo sforzo sia prolungato nel tempo. Sforzi molto intensi, ma limitati come numero o come tempo di esecuzione, producono catabolismi limitati. Correre i 100 m a tempo di record del mondo o sollevare un peso enorme alla pressa sono eventi che provocano un catabolismo minimo. È la ripetizione del gesto atletico che porta a un catabolismo significativo.
Nonostante queste premesse, qualcosa di vero nei discorsi dei body builder c’è. Partiamo dalla fisiologia del soggetto e specificatamente dal ciclo alanina-glucosio Non solo i carboidrati e i grassi entrano nel processo energetico, ma anche gli aminoacidi; per esempio quando, dopo una corsa di diverse decine di minuti, nei muscoli diminuisce la disponibilità di glicogeno, a partire da aminoacidi a catena ramificata (come la leucina) e dal piruvato, si forma l’alanina per transaminazione (cioè un processo per cui il gruppo amminico proprio degli aminoacidi passa da un aminoacido a un’altra sostanza costituendo un nuovo aminoacido); quest’ultima passa nel fegato dove le viene tolto il gruppo aminico (deamminazione), ottenendo ammoniaca e uno scheletro carbonioso dal quale si ottiene glucosio che finalmente viene utilizzato come energia.
Alcuni numeri – Dopo un esercizio fisico leggero, ma che si protrae per almeno quattro ore, il ciclo alanina-glucosio rappresenta quasi la metà del glucosio messo in circolazione dal fegato. Il rilascio di alanina da parte dei muscoli cresce al crescere dell’intensità del lavoro e si stima che per lavori piuttosto intensi il 10-15% delle richieste energetiche muscolari derivi dal ciclo alanina-glucosio. I dati che abbiamo dato si trovano in letteratura, anche se gli autori non sono concordi nelle percentuali (mentre lo sono nel fabbisogno proteico di un sedentario).
Da un’analisi empirica, si scopre che esistono soggetti che utilizzano le proteine meglio di altri. Per tali soggetti, a parità di sforzo (il catabolismo proteico è comunque presente quando lo sforzo diventa estremo, spesso per scarso allenamento del soggetto), è maggiore la percentuale di proteine impiegata a fini energetici. Il fenomeno lo definiremo appunto protein burning.
Le cause che concorrono ad aumentare tale quantità e a innescare il protein burning sono:
- l’alimentazione o l’integrazione iperproteica;
- l’allenamento intenso;
- l’abitudine ad allenarsi in condizioni di deplezione di glicogeno.
Da notare che 2) sviluppa il protein burning solo in presenza di 1) e che 3) deve comunque essere considerata una situazione eccezionale. Infatti:
il protein burning non è in grado di sostituire i carboidrati come fonte primaria di energia.
In altri termini, la percentuale del 10-15% non arriverà mai al 50%. È per questo motivo che l’alimentazione superproteica dei culturisti non ha senso.
Ciò che è ragionevole è l’aumentare la quantità di proteine di un 5-10% del totale nell’alimentazione di un soggetto, considerando non solo quella (come si fa classicamente) necessaria per mantenere la muscolatura, ma anche un miglior adattamento rispetto alla media della popolazione nell’utilizzare proteine a fini energetici. Per i soggetti in questione questa percentuale deve essere ritenuta normale, cioè non particolarmente sovraccaricante il nostro organismo.

L’abitudine ad allenarsi in condizioni di deplezione di glicogeno è uno dei fattori che innescano il fenomeno del “protein burning”
Quali sono i riscontri pratici per un protein burner? Sono già stati espressi in Dieta? No, grazie. Svengo! Sintetizzando, un protein burner:
a) è meno sensibile alla carenza di glicogeno. In una maratona significa allontanare il famoso muro e portarlo addirittura oltre i 42 km;
b) ha un recupero migliore perché la prestazione può essere significativa anche in condizioni non massime di scorte di glicogeno.
Come si scopre se un soggetto è protein burner? In genere ha:
- valori bassi della glicemia (in genere inferiori a 80);
- valori delle transaminasi nella fascia alta di normalità;
- valori dell’uremia nella fascia alta di normalità;
- valori di creatinina normali.