I meccanismi energetici che nel nostro corpo producono energia sono di natura chimica. Contrariamente a quanto avviene in una casa dove per il riscaldamento si può usare energia elettrica o termica, il nostro corpo impiega una forma meno visibile di energia, quella chimica. Nell’organismo avvengono centinaia di reazioni, alcune delle quali possono cedere energia mentre altre l’assorbono. L’energia introdotta con gli alimenti non è usata direttamente, ma impiegata per sintetizzare una sostanza immagazzinatrice di energia, l’ATP (ATP sta per adenosintrifosfato). Tale energia è poi ceduta quando l’ATP si lega con l’acqua ed è trasferita per l’utilizzo biologico (per esempio la contrazione di un muscolo). I processi energetici possono essere aerobici o anaerobici. Un processo è aerobico quando la presenza dell’ossigeno è indispensabile perché esso abbia luogo, è anaerobico quando può avvenire in assenza di ossigeno. La sintesi dell’ATP può avvenire anche in presenza di ossigeno, ma tale presenza non è indispensabile: si parla pertanto di reazione anaerobica.
Un processo energetico è caratterizzato dalla velocità con cui avviene.
La scissione dell’ATP è un processo molto veloce e non essendo necessaria la presenza di ossigeno la cellula può impiegare questo meccanismo in modo pressoché immediato. Vedremo che i processi che portano alla produzione di ATP derivano dalla conversione dei macronutrienti (carboidrati, lipidi, proteine) e ogni processo arriva al suo scopo (la produzione di ATP) con una sua velocità, parametro di estrema importanza nella fisiologia della corsa.
Esiste un altro meccanismo energetico molto rapido che non approfondiremo, quello del creatinfosfato (CP). Come l’ATP anche il CP può produrre energia in assenza di ossigeno quando il gruppo fosfato si stacca dalla creatina. Il processo è molto rapido e tipicamente è usato dalle cellule quando si passa da una bassa a un’elevata richiesta energetica; esempio classico sono le gare di sprint. Per esempio, ben si comprende che tale meccanismo ha un’importanza secondaria per la corsa (se si eccettua la fase dello sprint finale di una competizione). Nella figura sottostante si vede chiaramente che il meccanismo del CP è rilevante fino a gare di circa un km (attenzione, si parla di gare dove l’impegno è massimo; per esempio in una corsa di 10 km a ritmo di lento il contributo dei lipidi può essere anche superiore al 20%).

Contributo energetico in funzione della distanza
La figura dovrebbe convincere tutti gli atleti delle specialità di resistenza che ricorrono alla creatina per migliorare le loro prestazioni che l’assunzione di questa sostanza non può apportare alcun beneficio in una corsa già di qualche chilometro, anzi, a causa dell’aumento di peso (dovuto alla ritenzione idrica indotta dalla creatina), le prestazioni probabilmente peggioreranno. In altri sport le cose ovviamente cambiano: nel calcio circa il 10% dell’energia spesa in una partita deriva dal meccanismo CP. Queste considerazioni suffragano la tesi che un allenatore deve conoscere esattamente la fisiologia del suo atleta: applicare principi sentiti da altri o importati da altre discipline può avere effetti decisamente controproducenti.
Un altro concetto che è bene ricordare subito è che:
le varie fonti energetiche lavorano in parallelo, non in serie.
Ciò significa che, quando diciamo che sono coinvolti carboidrati, grassi e proteine nella produzione di energia per una corsa a una certa velocità, i meccanismi sono contemporanei, non successivi: nella maratona il 20% di consumo di lipidi non inizia quando termina il contributo dei carboidrati, ma nell’atleta allenato alla distanza già dai primi chilometri un 20% dell’energia proviene dai grassi. È per questo che un soggetto che corre i 10000 m a 3’35″/km e che vuole correre una maratona a 4’/km deve allenarsi a bruciare i grassi; con il suo allenamento da specialista dei 10000 m a 4’/km brucerà probabilmente il 5% di grassi e il 95% di carboidrati, con il risultato che arrivato al 30-35 km finirà le scorte di glicogeno e si bloccherà vittima di una paurosa crisi (si veda a tale proposito l’articolo Il muro in maratona).
Lo schema generale dei meccanismi energetici
Nello schema che segue sono rappresentati sinteticamente i meccanismi energetici che avvengono nel nostro organismo. Lo schema sembra molto complesso, ma analizzandone i singoli blocchi si capirà facilmente come funziona.
Nella parte alta dello schema (quella non energetica, ma di preparazione), si parte dai macronutrienti (proteine, carboidrati complessi, lipidi) che vengono scomposti nei loro blocchi costitutivi (aminoacidi, glucosio, acidi grassi).
Nella parte intermedia i blocchi costitutivi vengono trasformati in composti intermedi (piruvato, acetilcoenzima A ecc.) con liberazione di una piccola parte dell’energia biomolecolare coinvolta nei processi.
La parte in basso avviene nei mitocondri, piccole formazioni contenute nel citoplasma della cellula, della lunghezza di 1 o 2 μm e delimitate da due membrane. La membrana più interna è ripiegata a formare le creste, sedi degli enzimi che intervengono nella respirazione cellulare e nella produzione di ATP. Nei mitocondri i composti intermedi finiscono nel ciclo di Krebs (detto anche ciclo dell’acido citrico) e nei processi della catena di trasporto degli elettroni e della fosforilazione ossidativa. Nei mitocondri si realizza gran parte della sintesi dell’ATP.
Vediamo i processi principali descritti in figura.
Catabolismo dei lipidi (blocco 1) – Grazie a un opportuno enzima (lipasi), i trigliceridi (la fonte lipidica presente nelle cellule muscolari, soprattutto quelle lente, e nel sangue) sono idrolizzati (cioè scissi grazie a una reazione con molecole d’acqua) in glicerolo e acidi grassi. Il glicerolo entra nella glicolisi e contribuisce a formare piruvato.
Catabolismo dei carboidrati (blocco 2) – I carboidrati complessi sono trasformati in glucosio che può essere immagazzinato come glicogeno nel fegato e nei muscoli. Il glucosio si può formare anche per gluconeogenesi, un processo che avviene nel fegato e che impiega composti diversi dai carboidrati come aminoacidi, piruvato, lattato o glicerolo.
Catabolismo delle proteine (blocco 3) – Consente di ottenere gli aminoacidi.
Deaminazione – È un processo che si verifica nel fegato e che consiste nella rimozione dell’azoto dalla molecola di un aminoacido. Lo scheletro rimasto può essere usato per sintetizzare nuovi composti oppure per produrre energia. Le diverse vie che si originano dalla deaminazione dipendono dall’aminoacido: l’alanina e (forse) la glutammina entrano nella gluconeogenesi, dalla glicina si ottiene acetil-CoA (Co sta per coenzima) ecc.
Ciclo dell’urea – L’azoto liberato sotto forma di ammoniaca è trasformato dal fegato in urea e quest’ultima ripassa in circolo per essere espulsa con le urine. Negli uccelli l’azoto è eliminato come acido urico, insolubile in acqua (è per questo che gli uccelli bevono poco); nell’uomo invece il catabolismo proteico produce scorie solubili, aumentando il fabbisogno idrico.
Se i reni non filtrano correttamente il sangue eliminando l’urea con le urine, quest’ultima è in esso presente in alte concentrazioni (azotemia). Nel caso si riscontrino valori alti di azotemia, ci si può trovare di fronte a un’eccessiva assunzione di proteine (come nel caso di dieta iperproteica o di assunzione eccessiva di integratori aminoacidici) o a una temporanea “intossicazione” da superlavoro (come può accadere dopo un intenso allenamento).
Ciclo alanina-glucosio – Come è indicato nella figura anche gli aminoacidi entrano nel processo energetico; per esempio quando dopo una corsa di diverse decine di minuti nei muscoli diminuisce la disponibilità di glicogeno, a partire da aminoacidi a catena ramificata (come la leucina) e dal piruvato si forma l’alanina per transaminazione (cioè un processo per cui il gruppo amminico proprio degli aminoacidi passa da un aminoacido a un’altra sostanza costituendo un nuovo aminoacido); quest’ultima passa nel fegato dove le viene tolto il gruppo amminico (deaminazione), ottenendo ammoniaca e uno scheletro carbonioso dal quale si ottiene glucosio che finalmente è utilizzato come energia. Il rilascio di alanina da parte dei muscoli cresce al crescere dell’intensità del lavoro e si stima che per lavori piuttosto intensi il 10-15% del glucosio necessario derivi dal ciclo alanina-glucosio.
Glicolisi – È il processo in cui il glucosio all’interno del citoplasma di una cellula è convertito in piruvato con liberazione di una quota modesta di energia (circa il 5% dell’energia contenuta in una molecola di glucosio). Per approfondire si veda l’articolo Glicolisi.

I valori massimi di lattato per varie distanze
Ciclo di Cori – Contrariamente a quanto si crede, il lattato non è un prodotto inutile e/o dannoso per l’organismo. L’energia chimica contenuta nel lattato può essere utilizzata dal fegato che con un processo di gluconeogenesi sintetizza a glucosio il lattato che proviene dal circolo ematico.
β-ossidazione degli acidi grassi – È un processo che avviene nei mitocondri: dagli acidi grassi si originano acetilcoenzima A che entra nel ciclo di Krebs e atomi di idrogeno che saranno ossidati nella catena respiratoria. Poiché per la liberazione dell’idrogeno deve essere presente l’ossigeno, la β-ossidazione è un processo aerobico e in genere molto più lento della glicolisi anaerobica. Ciò spiega come i lipidi possano intervenire massicciamente come apporto energetico se il lavoro muscolare non è sufficientemente intenso. L’allenamento e una dieta iperlipidica possono far migliorare la capacità dell’organismo di ossidare i grassi; ciò è particolarmente significativo a fini energetici nelle gare di lunga distanza (maratona). È molto importante notare che il catabolismo dei lipidi dipende dalla presenza di un livello minimo di catabolismo dei carboidrati. Se si osserva lo schema generale si nota che dal piruvato si genera anche ossalacetato che serve per mantenere il ciclo di Krebs in cui entrano l’acetil-CoA prodotto della β-ossidazione. Se si riduce il piruvato, i prodotti della β-ossidazione non possono entrare nel ciclo di Krebs e sono eliminati come corpi chetonici (con conseguente acidosi). Ciò spiega ancora una volta perché, quando finisce la benzina glicidica, la crisi di un maratoneta è netta: l’atleta non riesce nemmeno (riducendo di un poco la velocità) a bruciare i grassi ed è costretto al ritiro.
Catena respiratoria – Sulla superficie interna dei mitocondri l’idrogeno si ossida grazie all’intervento di opportuni enzimi (deidrogenasi). Il processo avviene con una serie di reazioni chimiche in cui gli elettroni dell’idrogeno passano a una serie di trasportatori intermedi (coenzima Q e citocromi) finché arrivano all’ossigeno, combinandosi con il quale formano acqua. A ogni passaggio della catena si libera energia e tale energia è sufficiente per consentire la sintesi dell’ATP per fosforilazione.
Fosforilazione ossidativa – È il processo aerobico in cui gli elettroni che derivano dai cicli metabolici precedenti sono ceduti all’ossigeno molecolare con produzione di energia immagazzinata sotto forma di ATP. La fosforilazione si attua nella membrana interna dei mitocondri cellulari grazie alla catena di trasporto degli elettroni sino all’ossigeno molecolare.
Ciclo di Krebs (o dell’acido citrico) – Come si nota dallo schema generale, il piruvato originatosi dalla glicolisi si trasforma (irreversibilmente) in acetil-CoA che entra nel ciclo di Krebs. In tale ciclo dall’acetil-CoA si ottengono anidride carbonica e atomi di idrogeno che entrano nella catena respiratoria. Il ciclo di Krebs e la catena respiratoria lavorano in stretta simbiosi: finché c’è ossigeno la catena respiratoria fornisce alcune sostanze essenziali al funzionamento del ciclo che a sua volta continua a cedere atomi d’idrogeno ed elettroni alla catena. I due processi sono cioè aerobici. Da notare che, nei processi sopradescritti che avvengono nei mitocondri, giocano un ruolo importante vitamine del gruppo B come niacina e riboflavina.