Il fitness interessa ormai milioni di persone; è naturale che si moltiplichino le attività per migliorare il proprio fisico e per stare in forma. A prescindere dall’attività, è importante notare che ampie fasce di praticanti sono affette dalla sindrome da low-intensity training. Il low-intensity training è la preparazione atletica che non induce sensibili modificazioni fisiologiche, ma è eseguita con lo scopo, più o meno conscio al soggetto, di avere una gratificazione dallo svolgimento di un’attività fisica. La precedente definizione si basa sul fatto fondamentale che l‘allenamento modifica il nostro corpo; se non ci sono modifiche (miglioramenti) non ha senso parlare di allenamento: la frequenza cardiaca diminuisce, aumentano la capillarizzazione e il numero dei mitocondri, il peso scende, aumenta la massa muscolare ecc. È invece incredibile notare come molti pensino di fare sport senza che tali modifiche siano visibili, semplicemente perché seguono un programma, di solito poco faticoso e impegnativo. Quante sono le persone che stanno in palestra per più di un’ora, ma in realtà eseguono esercizi per non più di un quarto d’ora? Un quarto d’ora (anche tutti i giorni) non modifica assolutamente la fisiologia del nostro corpo.
Il low-intensity training qualitativo
Si tratta di una preparazione condotta a ritmi troppo blandi per poter essere allenante.
Caratteristica principale di questa errata metodica di allenamento è il basso livello di fatica.
Chi fa low-intensity training non fatica mai; suda perché la temperatura è alta, ma non ha mai il fiatone e il suo cuore non supera mai i livelli di una passeggiata veloce per prendere l’autobus. In genere il soggetto
- non ha una sufficiente forza di volontà da applicare allo sport;
- è mal consigliato da preparatori che badano di più a non perdere il cliente che a istruirlo correttamente;
- utilizza le caratteristiche tecniche (non l’allenamento!) dello sport prescelto per avere comunque dei risultati.
Il primo caso è rappresentato per esempio da chi fa sport per dimagrire illudendosi che con poca fatica si possano bruciare migliaia di calorie (quando la maggior parte di chi frequenta una palestra e fa low-intensity training non brucia più di 200 calorie per seduta).
Il secondo caso è invece quello di chi sceglie discipline che “naturalmente” sono low-intensity training, per esempio tutti i tipi di walking: fitwalking, speedwalking, nordic walking ecc. Queste discipline sono state concepite per chi non può correre (obesità, gravi problemi ortopedici ecc.), cioè fondamentalmente per individui non sani. Sperare che possano tenerci veramente in forma è illusorio, come sperare che un programma di riabilitazione fisica per un cardiopatico possa servire a vincere la maratona olimpica. In palestra il mito del “non fare fatica, tanto non serve” è rappresentato dall’uso del cardiofrequenzimetro (che blocca il cliente quando incomincerebbe a faticare) e da tutti gli attrezzi che possono essere utilizzati parlando o leggendo un libro.
Il terzo caso è ben descritto da tutti quegli sportivi che scelgono uno sport dove il mezzo e la tecnica sopperiscono alle carenze del loro fisico. Il ciclista in forte sovrappeso che usa l’ipertecnologica bicicletta da corsa per fare faville in pianura (salvo poi diventare una lumaca al primo cavalcavia…) o l’abilissimo nuotatore che usa la sua acquaticità per nuotare facilmente per ore sono esempi di soggetti che possono (vedi oltre: La ricetta contro il low-intensity training) illudersi di praticare molto sport.

Il low-intensity training qualitativo è una preparazione condotta a ritmi troppo blandi per poter essere allenante
Il low-intensity training quantitativo
In questo caso la scelta dello sport è corretta, ma la quantità è insufficiente, magari tre o quattro volte alla settimana per non più di 20-30 minuti reali (cioè non contando le pause). In totale al massimo due ore alla settimana, ben al di sotto di quel limite di cinque-sei ore che induce i massimi benefici cardiovascolari, muscolari ecc. Per sottoallenarsi due ore alla settimana non è necessario spendere i soldi di una palestra: basta andare al lavoro a piedi o in bicicletta o fare qualche bella passeggiata nel week-end. Nel low-intensity training quantitativo siamo in una situazione completamente diversa: il soggetto si impegna correttamente, ma le sue sedute (spesso per motivi di lavoro, familiari ecc.) sono troppo rade. È il caso della classica partita a tennis o a pallone il sabato pomeriggio o della corsetta domenicale. Anche in questo caso la saltuarietà del gesto atletico impedisce significativi miglioramenti: si può dire che il soggetto si diverte, non che fa sport.
Il limite minimo
Il limite minimo deve essere ragionevolmente fissato in:
Frequenza – 3 allenamenti settimanali; 2 per quanto lunghi e intensi sono troppo diradati per essere salutari (il soggetto concentra troppo la sua pratica sportiva, magari non fa low-intensity training, ma stressa troppo il suo organismo; esempio: i ciclisti che stanno fermi per tutta la settimana e nel week-end pedalano per 8-9 ore).
Intensità – Contano solo le ore a intensità allenante (ved. low-intensity training qualitativo).
Durata – 3 ore settimanali, il minimo per modificare il proprio corpo (ved. low-intensity training quantitativo). Se si praticano “seriamente” diversi sport è opportuno pesarli con il valore salutistico dello sport, considerando l’ultima colonna della tabella dell’articolo sul valore salutistico dei singoli sport. Per esempio un’ora di corsa equivale a un’ora di ciclismo o a un’ora di nuoto di fondo (nuotare in piscina continuativamente), ma ci vogliono due ore e mezza di golf (5/2) per ottenere lo stesso risultato salutistico di un’ora di corsa. Così chi pratica solo golf dovrebbe giocarci 7,5 ore e mezza alla settimana per avere una quantità di sport accettabile.
La ricetta contro il low-intensity training
È molto importante capire che lo sport, se è fatto bene, modifica il nostro corpo. Quindi a chi fa low-intensity training e si ritiene un soggetto sano suggeriamo o di non buttar via il proprio tempo o di passare fra le fila degli “impegnati”.
Esiste un modo molto semplice per verificare se siete fra le file di chi fa low-intensity training: riuscite a superare il test del moribondo? Se non ci riuscite, quale che sia lo sport che praticate, non illudetevi di essere in forma!