Un’interessante analisi di M. Dal Zovo di qualche anno fa mostrava che alla maratona di Venezia 2015 con un tempo di 2h54′ si arrivava intorno alla 90ma posizione assoluta mentre 20 anni fa (sempre a Venezia e con all’incirca lo stesso numero di partecipanti) intorno alla 450ma. Del Zovo riportava un paio di tesi fra di loro opposte: 1) una volta correvano tutti più forte; 2) la lunghezza dei percorsi non era proprio corretta. Innanzitutto occorre dire che l’osservazione è vera in generale: con lo stesso crono oggi si arriva molto più avanti, soprattutto se il crono è di un certo rispetto (in maratona diciamo sotto alle 3 ore). La seconda ipotesi è però facilmente contestabile; anche 15-20 anni fa le competizioni ufficiali (cioè mezze e maratone nazionali, non le gare FIDAL locali per le quali non è necessaria una misurazione fatta come si deve, ma sono gli organizzatori che comunicano la distanza con l’ovvia possibilità di far diventare campioni dei ronzini senza speranza fornendo una misurazione più lunga di quella reale) erano misurate da giudici FIDAL in modo ineccepibile (mi ricordo che partecipai io stesso alla misurazione di una mezza nella quale poi ottenni il secondo miglior tempo della carriera); inoltre, visto che a livello di top runner, i tempi erano praticamente gli stessi di quelli di oggi, se i percorsi fossero stati più corti (e si doveva parlare di centinaia di metri, se non di chilometri perché fra un 3h03′ e un 2h54′ ci ballano due chilometri), i top runner avrebbero realizzato tempi stratosferici, oggi non più ripetibili.
Concentriamoci pertanto sulla prima. Come osservato da Dal Zovo il numero dei partecipanti è praticamente costante e questo è positivo, liberando subito dalla tesi che ci si piazza meglio perché c’è meno gente.
Resta da analizzare il perché una volta “tutti correvano più forte”. L’affermazione non è proprio vera, visto che i top runner oggi vanno leggermente più forte di allora. Riflettendo su questo punto, la frase diventa “tranne i top runner, oggi le media delle prestazioni è più bassa”. Sicuramente vero, resta da scoprire il motivo.
Sicuramente non dipende dalla bontà degli allenamenti perché oggi le conoscenze sono sicuramente mediamente migliori. Poiché la prestazione dipende dall’intensità e dalla frequenza di uno specifico allenamento si può supporre che oggi ci si alleni meno intensamente e con minor frequenza. Detto così sembrerebbe negativo, mentre in realtà è un fatto sicuramente positivo. Per spiegarlo, la prendo un po’ alla larga.
Dal 1996 al 2005 ho corso come un professionista e il mio gruppo si allenava come i top runner (spesso alcuni di loro correvano con noi e cercavamo di carpire questo o quel segreto), la prestazione era l’obiettivo primario. Ovviamente era molto dura, ma il raggiungimento dello scopo (una conoscenza molto sofisticata della corsa, dalla quale sono nati i miei libri) era molto gratificante. Gareggiavamo nelle corse locali, qualche mezza maratona a fine stagione e poche maratone. Studiando i runner ne nacque una classificazione che ancora oggi ritengo valida (vedasi La corsa). Tale classificazione è ancora valida, ma è cambiato qualcosa, qualcosa che va indagato.
Quando nei mesi invernali corro in qualche parco cittadino o in situazioni simili ancora oggi che sono un over 60 faccio un figurone. Nonostante le decine di persone che corrono alla stessa ora, capita raramente di essere superati da qualcuno, anche facendo un lento a 5’/km. Diversi miei amici hanno notato la cosa e abbiamo incominciato a studiare i runner che si incontrano. Buona parte di essi partecipa a competizioni agonistiche, ma più che per la gara sembrano correr per la salute, senza impiccarsi.
Ritornando alla classificazione dei runner, è cambiata la percentuale delle varie categorie. Gli appartenenti a quelle che più che sono interessate alla prestazione e ai risultati (recordman, selftester, visibile, sacchettaro) sono diminuiti e sono presenti soprattutto nelle corse locali.
Anni fa c’era poca informazione e ricordo benissimo che nei primi anni del sito c’era tanta, troppa gente che pensava che con l’allenamento si potesse arrivare ovunque, gente che si massacrava di fatica per scendere sotto alle 3 ore in maratona o per piazzarsi bene in un campionato provinciale (ricordo una frase: “è triste dirlo, ma la corsa è tutta la mia vita!”). Con la tecnologia e il circolare dell’informazione i runner hanno acquisito una maggiore consapevolezza dei loro limiti e dentro è scattata una molla del tipo “ma chi me lo fa fare?”. Così sono passati nelle file dei salutisti e dei wellrunner. Anche l’incremento del numero delle mezze e delle maratone ha portato molti a essere più realisti: arrivare sempre fra i primi 10-20 in una corsa locale con al massimo 150 partecipanti può portare a pensare di essere grandi atleti, ma è poi demotivante correre una maratona e avere centinaia di persone davanti!
Se leggete attentamente l’articolo sulla corsa, vi renderete conto che, come per un professionista, la carriera di un amatore può restare al vertice per 5-10 anni al massimo (la seconda tappa).

Essere agonisti vuol dire gareggiare AND cercare prestazione o successo.
A prescindere dalla reale motivazione (selftester, visibile, sacchettaro ecc.), chiunque voglia o pensi di rimanere agonista a vita è un fissato che ha fatto diventare la corsa una vera e propria mania, uno scopo di vita (ho visto anche unioni andare in tilt per questo). Oggi per fortuna ci sono meno fissati della corsa e le classifiche si spostano verso tempi peggiori e ciò è tanto più visibile in gare dove la preparazione è fondamentale, come la maratona. Un atleta che potrebbe fare 3h (perché magari 10 anni fa aveva come record 2h45′) fa una preparazione tranquilla e finisce in 3h15′.
In sostanza, non c’è più la ricerca ossessiva della prestazione. Intendiamoci, non è che la ricerca della prestazione sia sempre negativa, ma, a mio avviso, lo è quando è finita la fase del recordman. Chi non lo capisce, solo per citare alcuni recenti avvenimenti nelle corse attorno a me, alla fine finisce per fare a botte durante una corsa con una rissa alla Rossi/Marquez oppure per vincere un titolo provinciale dell’ora in pista tenta di barare lanciando il testimone oltre quello dell’avversario che l’aveva superato negli ultimi secondi (invece che posare il testimone a terra allo sparo di fine ora, permettendo ai giudici di rilevare dove fosse arrivato).