Le fratture da stress sono lesioni parziali o complete (caso, quest’ultimo, meno frequente) che colpiscono in particolar modo chi pratica in modo continuativo un’attività sportiva molto intensa; talvolta sono indicate come fratture da fatica. La gravità delle fratture da stress è dovuta al fatto che tessuti a metabolismo lento (come ossa e tendini) hanno un processo riparativo più lungo rispetto ai muscoli e spesso occorrono mesi per risolvere il problema. I dati presenti in letteratura e la mia esperienza mi portano a ritenere che le fratture da stress o le stress reaction siano molto più frequenti di quanto si pensi (si veda Sindrome invisibile da carico). Come nasce una frattura da stress? Secondo la legge di Wolff, la risposta a carichi deformanti causa un rimodellamento osseo. L’entità dei carichi a loro volta è funzione delle modalità d’applicazione (frequenza, natura, direzione ecc.), del recupero fra i vari lavori, della qualità dell’osso (età e sesso sono i fattori più importanti). Si ha una frattura quando si supera la resistenza dell’osso. In realtà non sempre la frattura è legata a un trauma evidente, ma, soprattutto in campo sportivo, può essere associata a microtraumi ripetuti. Purtroppo non è sempre evidente il limite fra frattura da stress e altre patologie ossee e anche fra gli addetti ai lavori esista una certa confusione terminologica. Riassumendo si può dire che esistono:
- periostiti
- tendinopatie inserzionali
- stress reaction
- fratture da stress.
La periostite è un processo infiammatorio a carico del periostio, la membrana connettivale che avvolge tutte le ossa del corpo lasciando però scoperte le superfici articolari e le zone di inserzione tendinee. La periostite può interessare un solo osso oppure più elementi dello scheletro.
Le tendinopatie inserzionali sono lesioni infiammatorie, su base prevalentemente microtraumatica, che si verificano nel punto di collegamento fra tendine e tessuto osseo.
Le stress reaction sono a volte condizioni legate a una risposta fisiologica dell’osso a volta la fase iniziale (reversibile) con cui ci si incammina verso la frattura da stress. Sono evidenziate dalla risonanza magnetica, ma non presentano rima di frattura, anche se è presente dolore da carico più o meno intenso. Le stress reaction nel mondo amatoriale probabilmente hanno un’importanza ancora maggiore che le fratture da stress. Il motivo è semplicemente dovuto al fatto che l’amatore (a differenza del professionista), in presenza di un dolore anche non trascurabile e continuo durante l’esercizio, è portato a fermarsi, accelerando il processo riparativo; anche quando non decide per il riposo, è costretto (dalle minori motivazioni vs. il dolore) a ridurre notevolmente il carico: solo pochi continuano stoicamente (e scioccamente) a correre imbottendosi di antidolorifici, comportandosi come un professionista che non può mancare l’appuntamento mondiale od olimpico e arrivando a una frattura da stress.
I gruppi interessati dalle fratture da stress sono stati classificati (Benazzo) in atleti, militari (le reclute sedentarie costrette a un duro allenamento), soggetti con insufficienza ossea (con ossa cioè patologiche in seguito a osteoporosi o altre malattie e a trattamenti farmacologici con cortisonici o chemioterapici), bambini e adolescenti.
Limitandoci alla categoria degli atleti e in particolare dei runner, in letteratura esistono delle statistiche abbastanza concordanti. Riassumendole si trovano dati interessanti.
Uno studio di Bennell rileva che in un anno il 75% degli atleti esaminati (un centinaio) aveva avuto lesioni muscolo-scheletriche (1,8 lesioni per atleta in media: non poco, ma realistico); le fratture da stress erano ben il 21% (questo dato è invece meno “evidente”, soprattutto fra i dilettanti).
Uno studio di Matheson rivela invece che atleti più vecchi presentano fratture da stress soprattutto nelle ossa tarsali e nel femore, mentre i più giovani in tibia e perone; non è stata trovata correlazione fra distanza percorsa e le sedi di lesione. Questo è un punto fondamentale: perché si produca una frattura da stress in un individuo che si allena regolarmente deve cambiare qualcosa in maniera abbastanza rilevante: la quantità, il terreno, l’appoggio (le scarpe) ecc. Si deve cioè pensare che in un soggetto sano esista una naturale propensione all’equilibrio fra distruzione e riparazione.
Circa le sedi ovviamente non esiste una precisione assoluta fra i vari studi (occorrerebbe statisticamente esaminare migliaia di casi), ma si può senza dubbio affermare che la tibia, i metatarsi e le altre ossa tarsali rappresentano almeno l’80% delle lesioni. Perone, femore, calcagno, pelvi seguono con percentuali decisamente inferiori.
Per quanto riguarda le tipologie, se ne possono distinguere essenzialmente quattro: frattura obliqua (la più frequente in assoluto), frattura in compressione, frattura trasversale (quella di maggior gravità nel caso sia presente una dislocazione) e frattura longitudinale (quella di più raro riscontro).

Tibia, metatarsi e altre ossa tarsali sono le ossa maggiormente interessate da fratture da stress
Fratture da stress – Cause e fattori di rischio
Alcuni fattori di rischio sono sovrastimati:
- non sembra esistere una relazione chiara fra difetti anatomici e fratture da stress, come a dire che piede cavo o piede piatto spesso vengono sufficientemente compensati;
- il peso non rappresenta un fattore di rischio, probabilmente perché la grande massa corporea produce anche un aumento del trofismo osseo;
- il tipo di scarpa (più o meno protettiva) non riduce l’incidenza delle fratture (così come l’uso di plantari); ciò è logico perché chi si abitua a correre con scarpe leggere e poco protettive induce dei meccanismi di difesa. Ha invece importanza l’usura della scarpa: anche ciò quadra con la necessità di variazione di qualche parametro nel quadro dell’atleta perché si verifichi la frattura;
- il terreno d’allenamento; in particolare non è affatto dimostrata la correlazione fra terreni duri e fratture da stress.
Concentriamoci perciò su fattori di rischio “sicuri”. Sono sostanzialmente tre.
Il primo è rappresentato dalla variazione qualitativa (introduzione di lavori veloci, balzi ecc.) o quantitativa del carico allenante; il motivo è una fatica muscolare eccessiva che provoca sull’osso un aumento delle forze d’impatto: un muscolo che si trova a dover affrontare una nuova situazione non è in grado di garantire l’ammortizzazione necessaria.
Il secondo è rappresentato dal sesso: le donne con oligomenorrea (anche se non è chiara l’associazione turbe mestruali-osteoporosi) presentano un rischio sei volte superiore agli uomini e quelle che seguono un regime alimentare per minimizzare il peso sono a rischio circa otto volte più del sesso maschile (Bennell, 1995). La contraccezione orale è un fattore di protezione notevole, dimezzando il rischio se si assume la pillola da più di un anno. Da notare che una dieta povera di carne favorisce nelle atlete sia i disturbi mestruali sia un deficit di ferro, di zinco e di proteine in generale, fattori (insieme ad allenamenti in condizione di deplezione di glicogeno per scarsità di carboidrati nella dieta) che favoriscono appunto le fratture da stress. L’unico vantaggio delle donne rispetto agli uomini è che la frattura da stress in genere guarisce in un tempo che è circa la metà.
L’ultimo fattore di rischio è rappresentato dall’età: un’età più avanzata favorisce le fratture da stress.
Fratture da stress – Sintomi e diagnosi
Il sintomo classico di una frattura da stress è il dolore che inizia spesso modestamente per arrivare progressivamente a un’intensità tale da impedire il gesto atletico nel giro di 2 o 3 settimane. Generalmente è localizzato, ma spesso tende ad assumere connotazioni diffusive nonché a subire variazioni in concomitanza con gli stadi evolutivi della frattura.
La diagnosi non è facile, non tanto per una valutazione differenziale con un insieme ben definito di patologie (occorre tener presente anche rare sindromi compartimentali), quanto perché gli strumenti di indagine clinica danno risposte certe solo dopo un periodo di tempo non trascurabile (a volte mesi) e gli esami vanno svolti con molta cura e secondo tecniche d’indagine ben precise. La radiografia tradizionale è il primo esame che se positivo conferma la frattura da stress. Purtroppo i casi di positività (soprattutto nelle prime fasi) non sono molti: è cioè un esame poco sensibile (molte fratture possono risultare negative), ma specifico (se c’è positività si è in presenza di una frattura). La strada successiva in caso di radiografia negativa, ma persistenza del dolore può essere la risonanza magnetica o l’accoppiata scintigrafia-TC (tomografia computerizzata).
La scintigrafia ossea è una tecnica molto sensibile, ma poco specifica e richiede la TC (eseguita nelle aree ipercaptanti dolorose evidenziate dalla scintigrafia) per rilevare la rima di frattura e quindi la diagnosi di frattura da stress. Questa strada richiede spesso due esami e comunque necessita anch’essa di un tempo abbastanza lungo dall’inizio della sintomatologia e la diagnosi (sempre qualche mese).
L’esame cardine per la frattura da stress è la risonanza magnetica (secondo una tecnica standardizzata da Genovese e coll., 1995), eventualmente ripetuta dopo 2-4 settimane se risultasse negativa con dolore (caso abbastanza raro).
Trattamento
Il trattamento di una frattura da stress dipende ovviamente dalla sede e dalla sua gravità. Si va dal semplice riposo con biostimolazione e ultrasuoni all’applicazione di un apparecchio gessato, all’intervento chirurgico. Quest’ultima soluzione non è così comune come si potrebbe pensare parlando di fratture e in genere interessa situazioni o sedi molto particolari (per esempio la rotula o il V metatarso).
Nella gran parte dei casi risulta spesso sufficiente un trattamento conservativo. In molti casi un riposo di 4-6 settimane consente il ritorno alla normalità; può essere utile il ricorso alle stampelle per evitare di caricare l’osso fratturato.
Il ricorso all’apparecchio gessato deve essere valutato con una certa attenzione perché tende a indurre atrofia muscolare e rigidità articolare.
Il dolore viene solitamente trattato ricorrendo a farmaci antinfiammatori che possono essere associati a farmaci ad azione osteostimolante.
Periodicamente è necessario effettuare controlli radiografici allo scopo di verificare il consolidamento osseo. Se questo non si verifica va preso in considerazione l’intervento chirurgico con ricorso a viti o placche, come nel caso delle tipiche fratture da trauma.