Corsa: è questione di fiato? Troppe volte mi è capitato di vedere un runner che prima della gara si inala nel naso un paio di spruzzatine o, a mo’ di asmatico, inala dalla bocca un farmaco, presumibilmente un broncodilatatore. Altri invece preferiscono assumere decotti di efedra per “migliorare il fiato”. Queste pratiche, oltre a essere vero e proprio doping, non hanno nessun fondamento scientifico. Infatti, contrariamente a quanto pensa la maggior parte dei runner, non ci sono differenze significative negli indici funzionali respiratori fra atleti di fondo e sedentari. Già da tempo si sa che il massimo volume espirato, la capacità polmonare totale o la massima ventilazione volontaria non sono cioè fattori che possano indicare il valore atletico di un soggetto [Mahler, D.A. e al.: Ventilatory responses at rest and during exercise in marathon runners. J. Appl. Physiol, 52-388, 1982]. È ovvio che l’allenamento migliora la risposta ventilatoria e ciò in genere si traduce in un aumento della profondità del respiro e in una diminuzione della frequenza, riducendo il costo energetico della respirazione. Al di là di questo fenomeno automatico (nel senso che viene da sé con l’allenamento), non sembra che esistano tecniche che possano migliorare la situazione: visto che atleti olimpici hanno la stessa capacità polmonare di un impiegato, vuol dire che esistono molti altri fattori (cardiaci, cellulari, energetici) che mandano in crisi il sistema prima che possa diventare importante il fattore polmonare.

Non ci sono differenze significative negli indici funzionali respiratori fra atleti di fondo e sedentari