Il termine ecomaratona, com’è facilmente intuibile, sta per maratona ecologica; in effetti questo tipo manifestazioni uniscono al fascino della gara di Filippide la magia del correre nel verde; da tempo questo tipo di competizioni si stanno sempre più diffondendo sia nel nostro Paese sia a livello internazionale. Ma cos’è esattamente un’ecomaratona? Essenzialmente si tratta di una particolare forma di trail running che secondo alcuni è proprio di origine italiana. Un’ecomaratona dovrebbe avere la medesima lunghezza di una maratona, ma, in effetti, sono molte le competizioni che vengono denominate ecomaratone la cui lunghezza è diversa dai canonici 42.195 m. Di norma queste gare si svolgono interamente, o quasi, in montagna o in ambienti collinari; comunque sia la loro caratteristica irrinunciabile è quella di svolgersi in ambienti naturali immersi nel verde. In molti casi gli scopi principali di queste manifestazioni sono sia quello di contribuire a valorizzare i prodotti eno-gastronomici tipici, sia quello di favorire il turismo. Tutto questo sembra molto affascinante e interessante e, per certi versi, lo è perché l’accoppiata che propongono è sicuramente molto allettante (maratona e natura), ma, a ben vedere, in chiave salutistica ed ecologica le ecomaratone non sono l’optimum e questo articolo ha proprio lo scopo di definire i limiti di tali manifestazioni.
Ecomaratona e infortuni
Dovrebbe essere a tutti evidente che uno sforzo prolungato su terreno irregolare è decisamente più pesante che non su asfalto o sterrato regolare (il fondo probabilmente migliore, ma quasi impossibile da trovare per lunghi tratti). Informatevi quindi non solo sulla bellezza paesaggistica del percorso, ma anche e soprattutto sul tipo di fondo. Un fondo “difficile” rende la prova ben più lunga dei classici 42 km, questo almeno per quanto riguarda tendini e articolazioni e accorcia la vita media del runner, se l’ecomaratona diventa un appuntamento continuo.
Da tenere poi in considerazione che la probabilità di infortuni traumatici è piuttosto elevata; alcuni di questi (come la classica distorsione alla caviglia), se gravi, possono non essere totalmente reversibili. Quindi non liquidate la faccenda con un semplicistico “tanto a me non capiterà mai”.
Ecomaratona e interesse naturalistico
Amo moltissimo la natura, ma non farei mai un’ecomaratona. Perché, a parte i rischi salutistici di cui sopra, chi si vuole godere la natura non fa corse (gare) di ecotrail, ma si limita a camminare. Correre per godersi la natura è innaturale, sono due comportamenti in controtendenza.
Passo intere giornate in campagna con il mio cane e mi godo la natura proprio perché ho il tempo di farlo, non voglio arrivare in fretta qua o là. Se vedo volare un uccello migratore, non scappo via di corsa, ma mi fermo a osservarne il volo e cerco di capire che specie è: questo è amore per la natura. Tre anni fa mi è capitato di trovare su un sentiero un rarissimo mazzo di viole sbocciate alla fine di gennaio! Dubito che lo avrei notato, se fossi stato di corsa.
Penso che per molti il fascino di queste competizioni consista nel ritornare a un mondo naturale (a volte selvaggio), un mondo che spesso rinnegano con i comportamenti di tutti i giorni, comportamenti che non si possono certo dire ispirati al migliore ecologismo.
Devo essere sincero: l’amore estetico che molti runner che si danno all’ecotrail mostrano per la natura lo trovo molto superficiale, da cittadini. Una visione veloce di chi non ha tempo per fermarsi e apprezzare veramente.
Che poi si possa correre in mezzo alla natura è un altro discorso, ma non è il caso di organizzare manifestazioni. Io mi alleno tutti i giorni in campagna, la “mia” campagna; è come abitarci. Se però volessi godermi una natura che non conosco, non correrei, camminerei, come faccio quando vado a Livigno, accompagnato da amici su sentieri stupendi per un’intera giornata.

Una delle ecomaratone italiane più famose è l’Ecomaratona del Chianti
La psicologia dell’ecomaratoneta
Stupisce il fatto che molti runner corrano l’ecomaratona senza un reale interesse naturalistico; alcuni lo fanno come ulteriore sfida (correre in un bosco può far pensare a un’avventura alla Rambo) cercando in percorsi nostrani il fascino che possono dare prove come le maratone nel deserto. Ma sono pochi. Altri hanno uno spirito decisamente (e giustamente) competitivo, correndo la prova per vincerla o arrivare nelle prime posizioni. Ma anche questa categoria è poco numerosa. Esiste invece un’ampia classe di atleti che corre l’ecomaratona per non avere la pressione psicologica della maratona. Infatti, una volta raggiunto il loro top, molti maratoneti preferiscono non confrontarsi più con il declino delle loro prestazioni e, con l’atteggiamento tipico delle non competitive, passano alle ecomaratone, dove il tempo finale, appesantito dal percorso, può essere interpretato ottimisticamente come si vuole. Con il tempo, questo atteggiamento fa scadere inesorabilmente il valore atletico e la carica agonistica del soggetto che ritorna semplicemente a partecipare, anziché a buttare il cuore oltre il traguardo.