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Corsa e fertilità maschile

Corsa e fertilità maschile: argomento raramente dibattuto; forse perché gli effetti della corsa sulla fertilità dei soggetti maschi non sono immediatamente evidenti come nel caso di soggetti di sesso femminile; è ormai da tutti accettato il fatto che (vedasi a tale proposito i nostri articoli Corsa e fertilità femminile e Corsa e ciclo mestruale) allenamenti di particolare intensità provocano, come minimo, un’irregolarità (se non addirittura la cessazione) del ciclo mestruale, irregolarità dipendente dall’inibizione del normale rilascio ormonale da parte dell’ipofisi e dell’ipotalamo. Appare quindi naturale chiedersi se anche nei soggetti di sesso maschile, allenamenti particolarmente intensi siano causa di un anormale funzionamento di tali ghiandole con tutte le inevitabili conseguenze a ciò correlate. Alcuni autori (Barron et al., 1985) avevano rilevato che non vi erano anormalità nel funzionamento di queste ghiandole nei soggetti che effettuavano allenamenti il cui carico era superiore ai 160 km per settimana, ma non risultavano vittime del cosiddetto sovrallenamento. Studi successivi (Wheeler et al., 1991; Ayers et al., 1985; Hackney et al., 1988, 1990; De Souza et al., 1994) avevano rilevato, nei runner che praticavano la corsa di resistenza, un decremento dei livelli ematici di testosterone, decremento che si riteneva essere dovuto a un malfunzionamento a livello dell’ipotalamo (MacConnie et al., 1986; Hackney, 1996). I citati studi di Ayers avevano però evidenziato che il decremento dei livelli ematici di testosterone era di scarsa rilevanza e non era comunque associabile a cali di libido, prestazioni sessuali o fertilità.

In linea generale, le conclusioni dei vari studi sembravano concordare sul fatto che, in sé, l’intenso allenamento non aveva effetti negativi sulla fertilità maschile.

Corsa e fertilità maschile

Allenamenti particolarmente intensi possono avere effetti negativi sulla fertilità del runner?

Uno studio del 1990 (Griffith et al.) aveva registrato cali di libido e di produzione spermatica in atleti che avevano aumentato il loro carico allenante passando da un’ora a due ore al giorno di allenamento per un periodo di almeno due settimane. Al contrario, soggetti sedentari che avevano iniziato programmi di allenamento moderato (un’ora al giorno per tre/quattro giorni alla settimana) avevano riscontrato un miglioramento delle performance sessuali che, con tutta probabilità, era direttamente correlato al miglioramento della forma fisica (White et al., 1990).

Uno studio del 1988 (Baker et al.) aveva riportato che le percentuali di gravidanze ottenute con spermatozoi provenienti da atleti donatori erano più basse delle percentuali di gravidanze ottenute con lo sperma di donatori che non praticavano un’attività sportiva particolarmente intensa e che lo sperma dei primi mostrava motilità e volume ridotti; tali conclusioni erano state confermate da un altro studio del 1994 (De Souza et al.) nel quale si affermava che atleti che svolgevano carichi settimanali di allenamento superiori ai 100 km o che comunque si allevano per più di otto ore a settimana mostravano una notevole riduzione di motilità e volume dello sperma. Tali alterazioni non erano state riscontrate in soggetti che svolgevano sedute di allenamento con carichi settimanali non superiori ai 60 km o che comunque non si allevano per più di cinque ore alla settimana.

A livello puramente pratico, le conclusioni degli studi soprariportati sembrano suggerire che gli atleti la cui partner ha difficoltà nel rimanere incinta, dovrebbero considerare una riduzione dei carichi allenanti se questi ultimi sono particolarmente intensi e considerare come limite massimo di distanza percorribile i 100 km settimanali, un limite che per un atleta amatore è comunque da considerarsi ragguardevole.

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