Come abbiamo visto, è abbastanza facile definire il valore di un atleta. Appare interessante anche confrontare il valore oggettivo con l’autovalutazione che l’atleta dà di sé stesso. Se coincidono, l’atleta è equilibrato, altrimenti una sopra- o una sottovalutazione possono generare errori nella pratica sportiva. La sottovalutazione in genere è molto più frequente ad alti livelli in cui è più difficile barare con sé stessi, mentre la sopravalutazione è estremamente comune a livello amatoriale. La sottovalutazione è raramente presente nel mondo amatoriale (dove di solito è associata a scarsa autostima), è comune nel mondo professionistico. Si potrebbe definire anche come sindrome del gregario: l’atleta ritiene che gli avversari abbiano comunque una marcia in più: un tempo migliore, una volata vincente, un’esperienza maggiore ecc. Non è facile far risalire questo atteggiamento a un’unica causa e compito dell’allenatore è di trovare proprio quella giusta. Di seguito elenchiamo le possibilità principali. Il soggetto:
- ha scarsa resistenza alla fatica e trova “comodo” atteggiarsi a gregario (per esempio vuole evitare un pesante carico allenante che potrebbe fargli fare il salto di qualità);
- è fondamentalmente una personalità debole e ritiene meno stressante deporre le armi con chi sa essere troppo aggressivo e competitivo;
- non ha metabolizzato correttamente risultati che di per sé non sono che casuali (sindrome dell’eterno secondo);
- si pone sempre obbiettivi troppo modesti;
- si allena in un gruppo in cui le maggiori attenzioni sono rivolte ad altri;
- ha sbagliato programmazione agonistica con gare a un livello troppo alto (sindrome dell’eterno piazzato) che non consentono di elaborare sensazioni di vittoria;
- si allena in un gruppo in cui è decisamente l’ultimo (sindrome dell’ultimo).
Voglio soffermarmi proprio sull’ultimo punto anche perché il concetto di sindrome dell’ultimo è una delle mie creazioni. Contrariamente a quanto pensano moti allenatori, in un gruppo non sono i più forti a rimetterci (per doversi magari adattare alle esigenze dei più deboli), ma l’ultimo in assoluto. Esaminati molti gruppi, ho constatato che è proprio l’ultimo che ha più possibilità di abbandonare l’attività sportiva (fra i ragazzi e gli amatori) o di ottenere i risultati peggiori (fra i professionisti). È impressionante verificare come le percentuali negative non interessino il penultimo (che evidentemente si rifà sull’ultimo!).
Quindi, se volete crescere e allenarvi in un gruppo di atleti più forti, portatevi un amico (ma non fategli leggere queste righe) più debole di voi!

Un’autovalutazione scorretta del proprio valore atletico è un serio problema perché può generare errori devastanti nella pratica sportiva.
La sopravvalutazione
La sopravvalutazione è generata da un fenomeno di estensione della propria prestazione che viene “amplificata” in maniera non oggettiva.
Estensione nella specialità – Il soggetto tende ad amplificare il proprio campo d’azione in maniera arbitraria. Un forte atleta sui 5000 m potrà pensare di essere molto forte anche nella maratona e comportarsi di conseguenza, magari con una dissennata condotta di gara all’esordio sulla distanza.
La situazione è molto comune negli amatori dove è usuale gareggiare dagli 800 m alla maratona. Alla base di questo comportamento c’è una sostanziale ignoranza dei meccanismi fisiologici che sono coinvolti nella prestazione; in genere il soggetto ritiene che con qualche allenamento specifico si possa cambiare facilmente il proprio motore e adattarlo a tutte le distanze.
Estensione nel tempo – Mentre l’amatore è più incline a confrontarsi sempre con il presente (tranne le normali eccezioni che confermano la regola), quanto più il passato dell’atleta è stato significativo, tanto più il soggetto “conserva” il valore passato e cerca di riviverlo nel presente. Se ciò ha un significato “economico” per atleti ad alti livelli ancora in attività, non lo ha assolutamente per atleti che sono passati nelle retrovie. Imparate a valutarvi per quello che valete in questo momento e non per ciò che valevate magari qualche anno fa.
Estensione nella prova – Si tende a considerare una prova del tutto eccezionale come la norma delle proprie prestazioni. Ad alto livello, in genere, l’atleta non considera tutti i fattori positivi che si sono verificati nella “gara della vita” e, più o meno consciamente, tende a sminuirne la sinergia. A livello amatoriale il fenomeno è molto più complesso perché spesso si tratta di un vero e proprio tentativo di barare con sé stessi.
La situazione è facilitata dal fatto che molte gare sono male organizzate e la lunghezza esatta è decisamente un “optional”: l’atleta si illude che la lunghezza dichiarata sia quella reale e fa di tutto per credere in questa sua illusione. Basterebbe verificare che tutti hanno fatto il proprio personale di minuti per rendersi conto che qualcosa non va. Invece è più semplice pensare che “si sia sbloccato qualcosa” e che si sia fatto il “salto di qualità”. Ovvio che le conseguenze possono essere devastanti: allenamenti tarati su un valore impossibile, partenze velocissime per tentare di ripetere “realmente” il tempo ecc. Stranamente accade più frequentemente che l’atleta viva la sua illusione senza cercare di ripeterla in realtà, come se fosse sicuro che prima o poi arriverà un’altra gara “corta”.