Allenarsi in gruppo è sicuramente molto efficiente. I vantaggi principali sono: 1) allungamento della vita atletica, 2) miglioramento della prestazione, 3) sostegno psicologico durante l’allenamento. Il primo punto è il motivo più importante. Statisticamente chi si allena da solo dura di meno perché è più sensibile alle avversità. Non ci riferiamo solo a quelle atmosferiche (è più facile uscire con un tempaccio quando l’amico ci sta aspettando), ma anche di infortuni e impegni extralavoro. In genere, chi si allena in gruppo, per rispetto verso i compagni, dà alla corsa una priorità maggiore di chi si allena da solo. Alla lunga, il solitario poco motivato finisce per correre solo “quando non ha nulla da fare”, quando non ha impegni. Il secondo punto deriva dal fatto che le differenti preferenze individuali evitano la cristallizzazione sui soliti metodi di allenamento. Affinché la prestazione non ristagni, è necessario variare la preparazione e più contributi aiutano a farlo in modo facile e divertente. Chi si allena in gruppo ha prestazioni più costanti nel tempo perché vengono mediati i cali di concentrazione e gli “allontanamenti” dalla corsa. Non si deve però fraintendere quanto detto come un atto di accusa verso chi per necessità deve allenarsi da solo. È invece da valutare con sospetto l’atteggiamento di chi, potendo allenarsi con amici di pari valore, preferisce allenarsi in solitaria. Il suo rapporto con la corsa rischia di essere troppo coinvolgente. Il terzo punto vale solo se il gruppo è ben assortito. L’allenamento in compagnia rende spesso più piacevole e meno stressante la seduta e può essere consigliato a molti runner che soffrono di alti e bassi di rendimento o che comunque non sanno motivarsi da sé in molte sedute di allenamento.
A parte i fissati della corsa (già il termine “fissati” identifica l’aspetto negativo della loro passione) che si allenano da soli e poi raccontano alla povera moglie o ai figli tutti i tempi al km del loro allenamento, chi si allena in solitaria trova la propria gratificazione nei risultati o nell’aspetto salutistico, ma deve fare a meno dell’aspetto ludico che deriva dal contatto con gli amici e dalla condivisione del proprio oggetto d’amore con altri. Alla lunga, quando i risultati non vengono o si comprende che per la salute basterebbe andare anche più piano, ci si allontana da una dimensione agonistica, “invecchiando” sportivamente.
La composizione del gruppo
Prima regola:
del gruppo possono far parte atleti il cui divario prestativo non è superiore ai 40″/km.
Significa che un gruppo può avere l’atleta top da 3’20″/km sui 10000 m e quello più lento da 4’/km. Il criterio si basa sul fatto che un test per il più lento deve essere un lento per il più veloce. Ciò comporta all’interno la formazione di sottogruppi, eventualmente formati anche da una sola unità.
Seconda regola:
stanno nello stesso sottogruppo atleti con differenze massime di 10″/km.
Dalla seconda regola si deduce che un gruppo è formato al massimo da quattro sottogruppi. L’esperienza consiglia di limitarsi a tre per minimizzare le difficoltà organizzative.
Terza regola:
il gruppo deve essere finalizzato a una distanza.
Significa che i componenti devono avere lo stesso obiettivo. Se Tizio prepara una maratona e Caio un miglio è ovvio che diventa impossibile un allenamento in coppia (il gruppo ovviamente può essere fatto anche da due soli amici).
Ovviamente la composizione del gruppo non è solo “matematica”, ma deve tener conto anche della caratteristiche psicologiche dei componenti. Va da sé che soggetti poco equilibrati possono avere effetti devastanti, ma è utile evidenziare anche comportamenti borderline che sono da considerarsi comunque molto negativi.
L’asociale – È fondamentalmente quell’atleta, lento o veloce che sia, che interpreta l’allenamento sempre come una gara e un confronto con gli altri. Vorrebbe essere inserito nella squadra superiore, soffre come un’onta la retrocessione nella squadra inferiore, allunga sempre nell’ultimo chilometro di un lento per scrollarsi di dosso quelli che ritiene inferiori o per dimostrare una volta tanto che è superiore a chi normalmente lo batte, evita il confronto con atleti di questa o quella squadra ecc. È chiaro che l’unica soluzione è l’esclusione dell’asociale dal gruppo, a meno che non si riesca a fargli capire che ci si allena in gruppo per aiutarsi l’un l’altro, non per dimostrare ogni volta il proprio valore: chi ha bisogno di dimostrare il proprio valore di solito non vale nulla.
Il solitario – A prescindere dai legami interpersonali, un solitario è chi interpreta l’allenamento di gruppo come adattamento degli altri alla sua situazione. Non è raro vedere un componente precedere gli altri di 50-100 m alla fine di un lento (1-2″/km) semplicemente perché nel finale “se la sentiva di aumentare ritmo”. Ogni atteggiamento che porta a un isolamento del soggetto senza un reale beneficio mina l’unità del gruppo.
Allenarsi in gruppo – Il programma
Deve essere stilato un programma di massima (almeno settimanale) che consenta in maniera automatica di conoscere:
- luogo (per esempio pista, percorso per il lento ecc.)
- orario (è buona norma mantenerlo fisso e non fare eccezioni per i ritardatari)
- tipo di allenamento.
Il programma deve essere gestito da un capogruppo. Per esperienza personale: i gruppi che modificano sistematicamente il programma originale non ottengono grandi risultati. Il capogruppo deve avere anche il carisma di evitare un’anarchia operativa.
Passiamo adesso in rassegna le regole fondamentali, quelle valide per ogni allenamento.
Regola del programma – L’allenamento dei singoli sottogruppi deve essere fissato prima della partenza e ognuno deve rispettarlo. Se il sottogruppo A (più lento) fa un medio da 8 km e il sottogruppo B (più veloce) fa un lento da 12 km, il sottogruppo A non deve trasformare il medio in una gara, facendo diventare un medio il lento del sottogruppo B.
Regola del più lento – Tranne che nelle ripetute, occorre aspettare il più lento. Se si sta facendo un lento, dal punto di vista allenante, andare a 4’50″/km o a 5’/km non cambia nulla. Mantenere l’unità del gruppo è il primo requisito per farlo durare a lungo.
Regola del surplus – In base alla regola precedente, può darsi che qualcuno arrivi ancora relativamente fresco. Anziché fare la parte finale dell’allenamento comune più veloce (cosa che sfalderebbe il gruppo), i più freschi possono integrare con una piccola parte come solitari. La cosa vale anche per le ripetute. Se devono essere fatte a 3’30″/km, chi arriva fresco ne farà una o due in più, anziché farle tutte a 3’26”, snaturando il programma e distruggendo da subito i più deboli.

Uno dei principali vantaggi dell’allenarsi in gruppo è l’allungamento della vita atletica.
Gli allenamenti in gruppo
Se il gruppo è costituito da un solo sottogruppo (caso molto frequente) non ci sono altre raccomandazioni se non quelle di rispettare le regole generali, lo scopo delle quali è di evitare la sindrome dell’ultimo e quella del primo.
La sindrome dell’ultimo riguarda il più lento del gruppo (o del sottogruppo) che rischia di essere continuamente sollecitato. Solo chi è equilibrato sa gestire molto bene la situazione; essendoci il rischio di strafare (per dimostrare agli altri che non si è inferiori) o di demotivarsi.
La sindrome del primo riguarda invece il progressivo deallenamento che può interessare il più forte del gruppo che semplicemente si adegua agli altri.
Come regola generale
si ottiene un buon allenamento di gruppo quando la fatica è uguale per tutti i suoi membri.
Se invece il gruppo è costituito da più sottogruppi, è possibile definire alcune tipologie di allenamento che si prestano alla gestione delle squadre di un gruppo.
Il frazionato – È l’allenamento costituito da una parte lunga e lenta (per esempio un 3000 o un 5000 m) e una ripetizione di frazioni veloci (per esempio 8×400 m).
Una squadra esegue solo una parte del lavoro totale (o il lungo o il veloce). Si consulti l’articolo sul degressivo per avere un altro esempio.
Il parziale – Quando ci si allena in pista o in circuito, una squadra può effettuare solo una parte del lavoro (per esempio correre un 3000 invece di un 5000 m, dei 300 anziché dei 400 m o due giri anziché tre).
La differenza col frazionato è che in quest’ultimo la squadra più lenta salta una parte di un lavoro costituito da segmenti qualitativamente diversi, mentre nel parziale si salta una parte dello stesso segmento.
L’intervallato – In questo caso la squadra più lenta salta una parte del lavoro trasformandola in pausa; per esempio, mentre la squadra più veloce corre un medio di 6 km, la squadra più lenta corre degli 800 m con il recupero di 1’20” (il tempo che la squadra veloce impiega per esempio a compiere un giro di pista).
Il diversificato – Si tratta di un allenamento svolto insieme dalle varie squadre, ma con finalità differenti: il lento di 10 km per una squadra può rappresentare un medio per un’altra o un vero e proprio test per un’altra ancora. Di solito il diversificato è un allenamento che si svolge su un’unica distanza che è vista con un’ottica differente dalle varie squadre.
È ovvio che i risultati dell’allenamento di gruppo dipendono dall’abilità dell’allenatore nel gestire le varie squadre, interpretandone soprattutto i valori esatti per evitare che una squadra abbia un allenamento troppo pesante o troppo leggero e soprattutto che abbia gli stimoli allenanti voluti.
L’allenamento in gruppo si rivela spesso psicologicamente molto stimolante sia per le squadre veloci (che in alcuni casi possono essere tirate dalle squadre lente che fungono da lepri) sia per le squadre lente che possono allenarsi con atleti più evoluti.
Nota – Ai runner più evoluti consigliamo la lettura dell’articolo Allenamento della lepre, il miglior modo di allenarsi in gruppo quando le prestazioni dei runner che compongono il gruppo sono molto distanti fra loro.